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Il matrimonio nel diritto canonico antico

Capitolo 5. Cristianesimo e diritto canonico antico

2. Il matrimonio nel diritto canonico antico

a) Teologia del matrimonio nella Chiesa delle origini. Rapporto con la società romana pagana

Il Cristianesimo innestò il proprio diritto matrimoniale, come molti altri istituti giuridici, sul diritto matrimoniale romano,

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(Così se la donna possa dimostrare nelle forme legittime che l’uomo la prese in questo modo (con promessa di matrimonio) nella usa casa per tenerla come sposa legittima e madre di figli legittimi, non sia permesso a questi di cacciarla di casa senza un ordine della legge, ma tenga lei come moglie legittima e i figli di lei gli appartengano).

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informandolo di nuovi principi di cui era portatore, riprendendo spesso in chiave escatologica i molti elementi che non contrastavano con la sua dottrina241.

Anche a proposito della celebrazione delle nozze il Cristianesimo riprese alcuni riti ed usanze pagane, attribuendo ad essi un significato nuovo.

La Chiesa dei primi secoli non sviluppa un proprio sistema matrimoniale, indipendente da quello civile: gli scrittori apologetici dei primi secoli del Cristianesimo, in cui erano frequenti le persecuzioni, sottolineavano il principio di appartenenza dei Cristiani all’Impero (il “civis romanus sum” di San Paolo) e il loro conformarsi alle leggi civili:

Anonymi Epistula ad Diognetum 5, 6 (P. G. 2, 1174): (lat.) Uxores ducunt, ut omnes, et liberos procreant242.

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Cfr. L.DUCHESNE, Origines du culte chrétien1, Paris 1889, pag. 455: “Salvo l'aruspicina, tutto il rituale nuziale romano è stato conservato nell'uso cristiano. E sono state mantenute fin le corone...La Chiesa, essenzialmente conservatrice , in questo genere di cose modificava solo ciò che era incompatibile con le sue credenze”. In realtà, a prescindere dal rito del sacrificio, il ruolo del sacerdote cristiano presenta affinità con quello dell’auspex pagano: entrambi infatti sono semplici testimoni del rito, in cui attori e celebranti sono gli stessi nubendi. A.D. MANFREDINI, Istituzioni di diritto romano2,Torino 2001, pag. 99, ci mostra il medesimo fenomeno dalla prospettiva della legislazione laica: “anche in età postclassica, ove pure la dottrina e la pratica cristiana collegano la nascita del matrimonio al compimento di un atto nuziale (il sacramento), non si può dire che sia mutata la concezione originaria, che vede il matrimonio come essenzialmente costituito dal consenso continuativo. Quel che cambia è il fatto che, sovente e per casi particolari, il legislatore tardo imperiale impone delle solemnitates matrimoniorum, cioè determinate forme di celebrazione”.

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(- i Cristiani - si sposano come tutti e generano figli).

L’epistola a Diogneto, anonima, è datata tra il 120 e il 200-210 d. C. Il primo autore cristiano a parlare esplicitamente di leggi matrimoniali cristiane è, nel II sec. d. C., ATHENAGORAS, Legatio pro Christianis 33a (P. G. 6, 965): (lat.): Unusquisque nostrum uxorem suam, quam secundum leges a nobis positas duxit, uxorem existimat usque ad liberorum procreationem. (Ciascuno di noi considera sua moglie, presa secondo le vostre leggi, tale fino alla procreazione dei figli). Si discute molto sulla portata del termine nÒmouj contenuto nel testo: si ritiene che

Atenagora si riferisse a norme regolatrici della vita delle comunitá cristiane, non unitarie, per quanto sia giá ravvisabile nel II sec. d. C. una tendenza progressiva all’unitarietá. Cfr. J. DE CHURRUCA, Die Grundnormen der christlichen Ehe in

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Manifesto teologico della concezione matrimoniale cristiana era la lettera di San Paolo agli Efesini:

Eph. 5, 24-25: (lat.) Sed ut ecclesia subiecta est Christo, ita et

mulieres viris in omnibus. Viri, diligite uxores vestras sicut et Christus dilexit ecclesiam et semet ipsum tradidit pro illa243.

L’Apostolo paragonava il matrimonio cristiano al rapporto tra Cristo e la Chiesa: come la Chiesa è sottomessa a Cristo, così le donne devono essere sottomesse ai loro mariti; gli uomini, sull’esempio di Cristo, devono amare le proprie mogli dando tutto per esse.

Con l’elevazione del matrimonio umano ad immagine dell’unione tra Cristo e la Chiesa, il matrimonio acquisì una dimensione nuova, diventando un sacramento:

Eph. 5, 32: (lat.) Sacramentum hoc magnum est; ego autem

dico de Christo et ecclesia! 244

Il precetto paolino fu fatto proprio dal diritto canonico e dalla Patristica, quale modello del rapporto matrimoniale tra uomo e donna, come insegna bene S. Agostino:

AUGUSTINUS, De continentia 9, 23 (P. L. 40, 364): Vir et uxor,

quales secum esse debeant, praeceptum accipiunt et exemplum. Praeceptum est: Mulieres viris suis subditae sint, sicut Domino: quia der Apologie des Athenagoras, in Status familiae. Festschrift für Andreas Wacke zum 65. Geburtstag, München 2001, pagg. 95-96 e 107 con ulteriore bibliografia.

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(Ma come la Chiesa è sottomessa a Cristo, così anche le mogli -lo sono- ai loro mariti. Uomini, amate le vostre mogli come anche Cristo ha amato la sua Chiesa e ha dato se stesso per essa).

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vir caput mulieris est et: Viri, diligite uxores vestras. Exemplum autem datur mulieribus de Ecclesia, viris de Christo: “Sicut Ecclesia, inquit, subdita est Christo, ita et mulieres viris suis in omnibus”. Similiter et viris dato praecepto, ut uxores suas diligant, adiecit exemplum: Sicut Christus dilexit Ecclesiam245.

a) Il rito ed il ruolo del celebrante

Nel neonato Cristianesimo, prima dell’affermazione di regole e liturgie, sembra che i riti matrimoniali venissero celebrati oralmente246.

A partire dal IV secolo abbiamo attestazioni di preghiere e della benedizione impartita dal vescovo o dal sacerdote nei matrimoni cristiani.

La dottrina è divisa sul ruolo del celebrante: secondo alcuni la benedizione era ispirata da motivi pastorali e morali,

non era necessaria ad substantiam, bensì attestava

essenzialmente la santità dell’unione247.

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(Il marito e la moglie, per sapere come devono comportarsi, hanno ricevuto un precetto ed un esempio. Il precetto è: “ Le donne siano sottomesse ai loro mariti, come al Signore; perché il marito è il capo della donna” (Eph. 5, 22-23), e “Mariti, amate le vostre mogli” (Eph. 5, 25). L’esempio proposto è , per le donne, la Chiesa, per gli uomini, Cristo: “Come la Chiesa, dice l’Apostolo, è sottomessa a Cristo, così anche le donne lo siano ai loro mariti in tutto (Eph. 5, 24). Ugualmente, dopo aver dato ai mariti il precetto di amare le proprie mogli, aggiunge l’esempio: “Come Cristo ha amato la Chiesa” (Eph. 5, 25).

246

Sul rituale del fidanzamento cfr. H.J.WIELING, Kuß, Verlobung und Geschenk in Status familiae. Festschrift für Andreas Wacke zum 65. Geburtstag, München 2001, pagg. 541-557.

247

Cfr. A. SAJE, La forma straordinaria e il ministro della celebrazione del matrimonio secondo il Codice latino e orientale, Roma 2003, pag. 27; K.RITZER, Formen, Riten cit., pagg. 44 s. Cfr. il can 54 del concilio di Elvira.

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Altri autori ritengono invece che i matrimoni celebrati senza l’intervento del vescovo fossero invalidi e considerati pertanto alla stregua di unioni extraconiugali248.

In ogni caso è riscontrabile una progressiva liturgizzazione della cerimonia matrimoniale. Il rito variava da regione a regione: mentre in Italia si impose la

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Cfr. E.VOLTERRA, in RISG 2 cit., pag. 36 nt. 3 (= Scritti 1, pag. 158 nt. 3), il quale cita a sostegno della propria tesi numerose fonti patristiche. Cfr. TERTULLIANUS,De pudicitia, caput IV (P. L. 2, 987): « Ideo penes nos occultae quoque coniunctiones, id est non prius apud Ecclesiam professae, juxta moechiam et fornicationem judicari periclitantur»(Perciò presso di noi anche le unioni contratte senza pubblicità, ovvero non notificate presso la chiesa, rischiano di essere giudicate come adulterio e fornicazione); TERTULLIANUS, Ad uxorem

2, 9 (P. L. 1, 1415): “Unde sumeamus ad enarrandam felicitatem eius matrimonii quod Ecclesia conciliat et confirmat oblatio et obsignat benedictio, angeli renuntiant, Pater rato habet? Nam nec in terris filii sine consensu patrum recte iure nubunt”(Come riusciremo mai a descrivere la felicità di quel matrimonio che la Chiesa celebra, l’offerta eucaristica conferma, la preghiera di benedizione sigilla, gli angeli notificano e il Padre ratifica? Neppure sulla terra infatti i figli possono sposarsi a giusto titolo senza il consenso dei loro padri); TERTULLIANUS, De monogamia, 11, 1-2 (P. L. 2, 993): «Ut igitur in Domino nubas secundum legem et Apostulum (si tamen vel hoc curas), qualis est id matrimonium postulane, quod eis, a quibus postulas, non licet habere. Ab episcopo monogamo a Presbiteris et Diaconis eiusdem sacramenti a viduis quam sectam in te recusasti?

Et illi piane sic dabunt viros et uxores quommodo buccellas… et coniungent vos in ecclesia virgine, unius Christi unica sponsa »(Se dunque intendi sposarti nel Signore, secondo la legge e l’apostolo (ammesso che ti preoccupi almeno di questo), come mai vai allora a chiedere un tipo di matrimonio, che è proibito avere a quelli ai quali lo chiedi, al vescovo, che si è sposato una sola volta, ai presbiteri, ai diaconi, che sono vincolati allo stesso impegno solenne, alle vedove, la cui condotta hai rifiutato di seguire? E magari quelli si metteranno a distribuire mariti e mogli come distribuiscono i pezzi di pane... e vi terranno uniti come sposi nella Chiesa vergine, unica sposa dell’unico Cristo); TERTULLIANUS, Ad uxorem 2, 2 (P. L. 1, 1405): “fideles, gentilium matrimonia subeuntes stupri reos esse constat et arcendos ab omni communicatione fraternitatis” (I fedeli, i quali contraggono i matrimoni dei Gentili, sono rei di unione illecita e vanno allontanati da ogni contatto con la comunità); Cfr. CYRILLUS, In Joannis Evangelium 2, 1 (P. G. 73, 226) AMBROSIUS, Epistulae 19, 7 (P. L. 16, 984): « Nam cum ipsum coniugium velamine sacerdotali et benedictione sanctificari oporteat quommodo potest coniugium dici ubi non est fidei concordia? (Infatti essendo necessario che lo stesso coniugio sia santificato col velo sacerdotale e con la benedizione, in che modo può parlarsi di coniugio dove manca la concordia della fede?).

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cosiddetta velatio nuptialis, in Spagna e in Francia prevalse la benedictio in thalamo.

La velatio nuptialis (detta anche rito romano) finì con l’imporsi e la benedizione dei nubendi entrò a far parte della celebrazione eucaristica a partire dal V secolo d. C249.