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Il Mere Exposure Effect

Nel documento Breaking through complexity (pagine 62-66)

Le preferenze costituiscono una delle fonti della stabilità sociale e individuale e del cambiamento. Esse danno vita e direzione alle azioni degli individui, ne influenzano i valori ideologici, gli impegni politici, il mercato, le strutture di parentela, e le norme culturali. Sono fonti di attaccamento e antagonismo, di alleanza e conflitto. Sarebbe difficile immaginare l’evoluzione di qualsiasi specie se essa non potesse attivamente distinguere tra oggetti, eventi e tra circostanze vantaggiose e dannose.

Le preferenze sono formate da processi. Alcuni oggetti, attraverso le loro proprietà intrinseche, inducono un’attrazione o un’avversione automatica. Il saccarosio, ad esempio, è attraente praticamente alla nascita, mentre le sostanze amare (ad esempio, il chinino) sono universalmente avversive. Le preferenze possono anche essere stabilite



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attraverso il condizionamento classico attivo (Pavlov, 1927), o possono anche essere acquisite per imitazione o anche derivare da pressioni alla conformità (Harrison, 1977). Nelle discipline economiche, la preferenza è considerata come il prodotto di una scelta razionale, un calcolo deliberato che pesa i pro e i contro delle alternative.

Tuttavia, ancora prima della scelta razionale, fra le diverse modalità in cui le preferenze possono essere acquisite la più semplice è l’esposizione ripetuta agli stimoli.

1.5.1 I primi studi sul Mere Exposure Effect

Il mere exposure effect è un fenomeno psicologico attraverso il quale le persone tendono a

sviluppare una preferenza per cose o persone che sono a loro più familiari rispetto ad altre. In termini pratici, l’esposizione ripetuta aumenta la familiarità. Questo effetto è quindi noto come effetto di riconoscimento.

Le prime ricerche note su tale effetto possono essere attribuite a Gustav Fechner nel 1876. Altri studiosi, come Robert Zajonc hanno continuato a esplorare questo effetto. Zajonc (1968), ha ipotizzato che la “semplice esposizione ripetuta dell’individuo ad uno stimolo è condizione sufficiente per provocare un atteggiamento più favorevole verso quello stimolo. Con ‘semplice esposizione’ si intende una condizione che rende un dato stimolo

accessibile alla percezione individuale” (p.1). Zajonc ha quindi suggerito che

l’esposizione semplice, non rinforzata, porta ad una maggiore propensione verso uno stimolo, e in breve, che la familiarità porta al gradimento.

Le prove di correlazione citate da Zajonc (1968) a sostegno di questa ipotesi hanno delineato quello che è diventato il prototipo delle metodologie utilizzate da altri ricercatori per indagare sulla relazione esposizione-risposta affettiva (gradimento). Il disegno di base della maggior parte della ricerca di laboratorio sulla semplice esposizione è derivata da tre esperimenti di Zajonc (1968), e l’approccio generale utilizzato successivamente dai ricercatori per esaminare la relazione esposizione-gradimento è derivato dalle prove di correlazione citate da Zajonc.

Nel primo esperimento di Zajonc (1968), ai soggetti sono state presentate una serie di parole senza senso con frequenze che vanno da 1 a 25 esposizioni; essi hanno poi valutato ogni parola per la “bontà di senso” (vale a dire hanno classificato la parola come “buona” o “cattiva”) su una scala di sette punti. Al termine dell’esperimento Zajonc ha rilevato una



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relazione positiva tra il numero di esposizioni e i punteggi di bontà media attribuiti dai soggetti di una parola. Egli ha successivamente replicato questo studio utilizzando una procedura simile, ma servendosi di stimoli differenti, ovvero di ideogrammi cinesi. I risultati del secondo esperimento sono stati coerenti con i risultati del primo studio, vale a dire, ancora una volta la bontà nominale del significato è risultata positivamente correlata alla frequenza dell’esposizione.

Nel terzo esperimento l’autore ha indagato quali tipici effetti dell’esposizione possono essere ottenuti con stimoli socialmente rilevanti. In questo esperimento, i partecipanti sono stati esposti a una serie di facce (fotografie di studenti tratte da un annuario di college) con differenti frequenze di esposizione, dopo di che è stato chiesto loro di dare valutazioni di gradimento per ogni persona, su una scala a sette punti. Il risultato è stata una positiva e significativa correlazione tra frequenza di esposizione e la valutazione media di gradimento dello stimolo.

Anche Harrison (1977) ha esaminato il fenomeno della semplice esposizione, giungendo alla conclusione che la complessità dello stimolo in un’eterogenea sequenza di presentazione e il ritardo tra le esposizioni e le valutazioni migliorano la relazione esposizione-gradimento. Harrison ha suggerito che gli effetti dell’esposizione potrebbero essere dovuti ad un processo rivale simile a quello descritto da Salomon e Corbit (1974). La premessa di base di questo modello è che quando uno stimolo produce una risposta emotiva, la rimozione di questo stimolo si traduce in un effetto di “rimbalzo” sulla risposta emotiva al processo rivale. Applicando esposizioni ripetute allo stimolo per rafforzare la risposta al processo rivale, è stata indebolita l’iniziale risposta emotiva allo stimolo stesso (Solomon, 1980). Così, Harrison ha proposto che uno stimolo che inizialmente è poco familiare (sconosciuto) evoca una risposta emotiva negativa, e l’esposizione ripetuta allo stimolo porta a un indebolimento della risposta iniziale sgradevole e ad un rafforzamento dell’effetto positivo associato al processo rivale.

In apparenza, questo modello sembra dare una spiegazione ragionevole dell’aumento delle valutazioni positive che segue le ripetute esposizioni dello stimolo. Tuttavia, il modello del processo-rivale può giustificare solo alcuni dei risultati che emergono dalle analisi e dalle meta-analisi sul fenomeno, ed è contraddetto da alcuni risultati. Per esempio, il modello del processo-rivale è in contraddizione con l’evidenza che la presentazione di stimoli omogenei non produce nessun aumento del gradimento in seguito



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a ripetute esposizioni. Inoltre, questo modello non prevede forti effetti per esposizioni di breve durata, per la relazione inversa tra il numero di presentazioni dello stimolo e la forza dell’effetto dell’esposizione, né per la constatazione che il ritardo tra le esposizioni e le classificazioni produce un miglioramento dell’effetto. Il modello del processo-rivale, inoltre, non prevede che le presentazioni subliminali dello stimolo producano effetti dell’esposizione particolarmente forti, né prevede cambiamenti evolutivi nell’effetto dell’esposizione.

Infine, l’approccio processo-rivale suggerisce che le parole reali dovrebbero produrre effetti dell’esposizione significativamente più deboli delle parole senza senso. Questo perché le parole vere sono più familiari rispetto alle parole prive di senso, sono meno sorprendenti, e come tali producono inizialmente un effetto di rimbalzo iniziale più piccolo e una minore variazione complessiva delle valutazioni affettive in seguito alle esposizioni ripetute. Tuttavia, i risultati di alcune meta-analisi successivamente condotte indicano esattamente l’effetto opposto, ossia gli stimoli formati da parole reali producono effetti dell’esposizione più forti rispetto alle parole senza senso.

1.5.2 La meta-analisi di Bornstein (1989)

Il lavoro di Zajonc (1968) ha stimolato un grande interesse per il Mere Exposure Effect, e nei 20 anni successivi alla pubblicazione del suo saggio seminale, oltre 130 articoli riportanti più di 200 esperimenti separati, valutanti la relazione esposizione-gradimento sono apparsi nella letteratura psicologica e di consumer behavior. Indagando questa relazione su una vasta gamma di argomenti, tra cui gli effetti della pubblicità (Sawyer, 1981), le reazioni dei bambini a nuovi stimoli (Hutt, 1975), l’influenza subliminale sul comportamento (Bornstein, Leone e Galley, 1987), le percezioni sociali (Saegert, Swap e Zajonc, 1973), le preferenze alimentari (Pliner, 1982), le preferenze ambientali (Herzog, Kaplan e Werner, 1986), i giudizi estetici (Berlyne, 1974) e l’apprendimento verbale (Grush, 1976), i ricercatori hanno tutti usato le argomentazioni e le procedure tipiche della ricerca degli effetti dell’esposizione.

In particolare, i risultati della meta-analisi condotta da Bornstein (1989) su 134 articoli si sono dimostrati coerenti con le prime conclusioni di Zajonc, confermando l’effetto della



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mera esposizione come uno dei più stabili alla verifica sperimentale e sul campo. In tal modo, Bornstein è arrivato a circoscrivere le caratteristiche del fenomeno:

- caratteristiche dello stimolo. Fra i vari stimoli (parole, foto, poligoni, disegni) analizzati, è stato osservato che lo spostamento di atteggiamento verso il polo positivo grazie all’aumento della frequenza di esposizione, emerge chiaramente in tutti i casi tranne in quello dei disegni.

- Presentazione degli stimoli. Dopo un certo numero di esposizioni l’atteggiamento

favorevole aumenta, ma in maniera più moderata. La presentazione di sequenze eterogenee di stimoli (2 o 3 figure geometriche diverse presentate più volte) produce un effetto più forte rispetto alle sequenze omogenee. Per quanto riguarda la durata, le esposizioni inferiori ad un secondo provocano effetti più forti rispetto ad esposizioni prolungate. Inoltre, il riconoscimento consapevole dello stimolo non è un prerequisito volto ad aumentare l’atteggiamento favorevole.

- Misurazione delle variabili. Ogni misurazione ha rilevato in modo statisticamente

significativo l’influenza della frequenza di esposizione, che risulta più evidente se la rilevazione viene effettuata non immediatamente dopo l’esposizione, ma dopo un certo lasso temporale.

- Variabili relative ai soggetti. I soggetti che presentano alti punteggi sulle misure di

bisogno di approvazione, ricerca di sensazioni, tolleranza per l’ambiguità e ansia manifesta, mostrano valutazioni più favorevoli rispetto a soggetti che presentano punteggi bassi nelle medesime misure. I bambini mostrano, invece, un effetto contrario: più si aumenta il numero delle esposizioni più l’oggetto viene giudicato in modo negativo. È importante ricordare che la noia rende l’effetto delle esposizioni ripetute meno evidente.

Nel documento Breaking through complexity (pagine 62-66)