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Il «messianismo socialista»

Nel documento Piero Gobetti. Un liberale rivoluzionario (pagine 45-47)

4. Mussolini e il fascismo

4.1 Il «messianismo socialista»

Quello stesso Partito socialista che aveva fatto proprio l’incarico di riconquistare le masse allo Stato, ovvero di cementificare il corpo sociale nel suo complesso, ereditava strutturalmente una diffidenza verso i lavoratori stessi di cui avocava a sé la rappresentanza. Abbiamo visto come questo problema avesse portato alle ambigue conclusioni del ‘biennio rosso’.

Anche per questo l’irruzione di Benito Mussolini, figlio di un socialista rivoluzionario di professione fabbro, nella sezione socialista di Forlì, nel 1910, in qualità di segretario, fu accolta con entusiasmo dai giovani operai e dai braccianti della Romagna.

Nella sua prima giovinezza aveva trascorso due anni in Svizzera, dove si era guadagnato da vivere racimolando i magri compensi che gli venivano dalla sua attività di giornalista. Fu là che si diede per la prima volta all’attivismo politico, contribuendo all’organizzazione di alcune associazioni di lavoratori italiani emigranti. Nel 1909 era stato segretario della Camera del lavoro di Trento, offrendo la sua collaborazione all’irredentista Cesare Battisti.

A Forlì, negli anni ’10, oltre che per la fondazione della rivista settimanale Lotta di classe, si fece conoscere per il tentativo di suscitare nella sezione cittadina del Psi l’impeto rivoluzionario, che avrebbe dovuto originare una protesta tale da destabilizzare la tendenza riformista del movimento socialista, assestatasi in maggioranza al congresso di Milano di quell’anno. L’anno successivo, l’incitazione alle proteste contro la guerra di Libia cui guidò il proletariato locale, gli valse cinque mesi di prigione. Fu proprio questo episodio a conferirgli una reputazione nazionale presso i socialisti.

Al congresso di Reggio Emilia del 1912 Mussolini fece votare una mozione ed espellere gli esponenti della corrente riformista di destra del partito Bonomi, Bissolati, Cabrini e Podrecca. Espulsi gli «eretici», il Partito socialista si indirizzò verso nuove attitudini: lotta di classe, repubblicanesimo, espulsione di chiunque, fra i socialisti, avesse offerto la propria collaborazione ad altre classi di governo, non partecipazione alle elezioni. Il rinnovato partito elesse Lazzari alla segreteria e Mussolini al potere esecutivo156.

45 Di lì a poco, nel dicembre del 1912, Mussolini divenne direttore del quotidiano Avanti!. Uno dei temi che il giornale affrontava più di frequente era la necessità, per il Psi, di trasformarsi in una élite di militanti rivoluzionari, una «aristocrazia dell’intelletto e della volontà»157. Fu,

probabilmente, proprio dalle colonne del suo giornale, che Mussolini riuscì per la prima volta ad incitare alla lotta le giovani generazioni socialiste, complice il parallelo risveglio del sindacalismo rivoluzionario e dell’anarchismo che avvenne in quegli anni.

L’avallo, da parte di Mussolini, della candidatura in una delle sezioni milanesi del partito del veterano anarchico Amilcare Cipriani, il quale aveva partecipato alla spedizione dei Mille ed era un fervente antimonarchico, fu un gesto che rientrava pienamente nell’opera del duce – così cominciavano a chiamarlo i suoi ammiratori – di «preparazione psicologica del proletariato all’uso della violenza liberatrice»158. Cipriani, che in un quotidiano francese aveva

ammesso piacergli molto Mussolini159, in percentuale di preferenze ebbe la meglio su Turati.

L’anarchico, tuttavia, non si mosse mai da Parigi per prendere il posto che gli spettava. Ma Mussolini continuò a spendersi in azioni eclatanti per imporsi come il rinnovatore del Partito socialista e il fautore più intransigente della rivoluzione proletaria in Italia.

Lo fece al congresso socialista dell’aprile del 1914, ad Ancona, dove pose sul tavolo la questione della massoneria, da sempre una delle correnti più invise entro il partito. La sua mozione di sfiducia nei confronti dei massoni ancora presenti nel Psi fu avvalorata dal fatto che questi ultimi si ponevano a difesa di posizioni che Mussolini disprezzava: fra queste, la democrazia, la collaborazione fra le classi e l’internazionalismo umanitario. Espulsa la massoneria, uno degli ultimi legami fra il socialismo e ciò che rimaneva della vecchia sinistra del partito era stato sciolto. Seguì, per proclama mussoliniano, l’estensione del divieto di cooperazione con i partiti della borghesia liberale anche alle elezioni locali.

L’adesione di Mussolini, in quegli anni, alle rivendicazioni di migliori condizioni di lavoro da parte dei proletari, lo spinse a minacciare di proclamare lo sciopero generale qualora si fosse verificato un massacro di braccianti pari a quello avvenuto nelle campagne del Lazio nel gennaio del 1913160 per mano dell’esercito. E lo sciopero fu effettivamente proclamato, con il

significato di vendicare quello che, a detta di Mussolini, era stato «un assassinio premeditato». Fu accompagnato da una serie di insurrezioni, senza un leader o un piano, che sconvolsero le maggiori città della Lombardia, dell’Emilia, delle Marche e del Lazio, vedendo l’azione congiunta di socialisti, sindacalisti, anarchici e repubblicani. In alcune delle località che furono prese d’assalto, inneggiando alla repubblica, si proclamarono dei dittatori locali, i quali

157 Ivi, p. 452. 158 Ivi, p. 453.

159 «This man pleases me very much» (cit. in ivi, p. 548 nota 71).

160 I morti furono sette. Sul Messaggero del 7 gennaio 1913 si leggeva: «A Roccagorga questa mattina avvennero

gravissimi fatti, in seguito a una rivolta popolare contro il municipio che, secondo i rivoltosi, sarebbe colpevole di aver principalmente trascurato il servizio sanitario. Il paese di Roccagorga, che dista 7 chilometri da Piperno e 35 da Frosinone, si trova nel centro dei monti Lepini, a 298 metri s.l.m. È un ex feudo dei Doria-Pamphilj. Gli abitanti sono circa tremila, esiste una forte emigrazione…» (fonte: http://www.abitarearoma.net/6-gennaio-1913- leccidio-di-roccagorga-nel-basso-lazio/).

46 vararono leggi che abolivano le tasse e riducevano i prezzi per i consumatori. Sull’Avanti! Mussolini espresse la sua soddisfazione per il carattere aggressivo che lo sciopero aveva assunto grazie alla diffusione dei disordini, e definì la protesta come «la più seria insurrezione popolare che ha scosso l’Italia centro-settentrionale dal 1870 ad oggi». Ispezionò in prima persona la situazione sui luoghi degli scioperi, dichiarando di sentirsi animato da quella stessa «compiaciuta gioia con cui l’artigiano contempla la propria creazione»161.

Quest’ultima affermazione diceva molto su quale potesse essere il proposito che spinse il giovane Mussolini a dedicarsi con tanto fervore alla difesa dei diritti delle classi lavoratrici più povere: un insieme sincretico di motivi spontanei, che gli venivano dall’ambiente familiare in cui era cresciuto e dalle fatiche che aveva sopportato come emigrante, e di elementi enfatici, più costruiti, per cui egli tendeva ad identificarsi con tutta la propria persona alle cause che di volta in volta prendeva a cuore, quasi volesse imprimere su di esse il proprio sigillo d’artista, farle totalmente sue rivendicandone la paternità.

Pietro Nenni, che assieme Mussolini, nel 1913, trascorse qualche mese di carcere in seguito alle proteste socialiste contro la guerra di Libia, affermò in una intervista che «Mussolini era un ribelle più che un rivoluzionario. Il suo egocentrismo lo portava a ricondurre a sé ogni azione e ogni reazione, in bene o in male»162. Questa dichiarazione del segretario socialista

Nenni non si discostava molto da quella che Gobetti fece descrivendo Mussolini come un organizzatore di «espedienti attraverso cui l’inguaribile fiducia ottimistica dell’infanzia ama contemplare il mondo semplificato secondo le proprie misure»163. In fondo, il carattere di

«messianismo», vale a dire di attesa fiduciosa in un salvatore, che Gobetti riconobbe nel periodo in cui Mussolini, come socialista, mosse i suoi primi passi in politica, favorì l’ascesa di un personaggio che prometteva di rinsaldare gli intenti delle masse popolari con quelli dei vertici dell’organizzazione politica che pubblicamente li rappresentava. Il malcontento generale diffusosi negli ambienti popolari alla vigilia della Grande guerra, diede una gran mano a far emergere uno che non aspettava altro che spezzare il «ramo secco»164 – quello che,

a detta di Bissolati, era diventato il Partito socialista – per farsi riconoscere come il creatore di un tralcio più robusto e sferzante.

Nel documento Piero Gobetti. Un liberale rivoluzionario (pagine 45-47)