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Salvemini e la libertà politica del Sud

Nel documento Piero Gobetti. Un liberale rivoluzionario (pagine 103-105)

III. GRAMSCI E GOBETTI: DUE INTELLETTUALI ‘ORGANICI’ A CONFRONTO

1. Due liberali ‘sui generis’

2.3 Salvemini e la libertà politica del Sud

Nel discorso che Gaetano Salvemini, esponente della corrente riformista del Partito socialista, fece ai suoi colleghi di partito al congresso di Firenze del 1908, il problema del Meridione venne affrontato con quella lucidità e senso critico che suscitarono in Gobetti tanta ammirazione da arrivare a definire l’intellettuale e politico pugliese un «chiarificatore» capace di una «feroce intransigenza»409.

In quell’occasione Salvemini aveva posto il problema politico ed economico del Mezzogiorno in termini di libertà: «aiutateci a diventare liberi» era stato il suo vigoroso appello ai colleghi socialisti. Lo scenario presentava delle similitudini con la situazione di «lotta esasperata per le condizioni di libertà più elementari» che Gobetti prospettava imminente, constatata la generale «incapacità»410 politica dell’Italia. Ciò su cui Salvemini

intendeva focalizzare l’attenzione dei socialisti era come, di fatto, presso le popolazioni disagiate del Sud, la mancanza della libertà più elementare fosse riscontrabile

406 RL, p. 100.

407 Seton-Watson, op. cit., p. 770. 408 RL, p. 75.

409 Ivi, p. 80. 410 SP, p. 475.

103 nell’impossibilità per le persone di esprimersi politicamente. Il fatto poi che Salvemini non giungesse a teorizzare la necessità, per i meridionali, di sviluppare una autonomia politica che si esprimesse in forme più mature di quelle del semplice voto per dei candidati politici già prescelti, era frutto della angusta prospettiva riformistica che Gobetti descriveva come il «punto morto» del suo «franco liberismo»411. L’elemento che restava, tuttavia, più

interessante della sua presa di posizione era l’aver compreso come il germe dei problemi che impedivano all’Italia meridionale di mettersi in pari con la situazione del resto della penisola non fosse da ricercare nei particolari individui, bensì nel contesto, perché anche «ottimi elementi, messi in un ambiente mefitico, […] intristiscono e muoiono asfissiati»412. Dalla

spregiudicatezza dei prefetti volta a proteggere le clientele dei vari deputati governativi presso i comuni; alla circostanza che un politico intraprendente, volendo metter su una impresa di lavoro, finisse inevitabilmente per urtare contro appaltatori meschini, l’ambientazione parassitaria del quadro meridionale fu da Salvemini nitidamente dipinta. Quello che da lui venne descritto come il più urgente dei problemi da risolvere al Sud, il problema del suffragio universale, era, a ben vedere, solo una funzione di quello che Salvemini stesso riconobbe essere alla base dell’isolamento del Mezzogiorno: la mancanza di una educazione politica. L’isolamento, di cui il principale responsabile era la classe dirigente italiana, aveva reso le popolazioni meridionali – Salvemini non faceva distinzioni di classe sociale, dando alla sua critica un carattere universale – incapaci di discernere tra la complicità interessata e la sintonia disinteressata; aveva creato delle mentalità facili ad essere irretite dall’avventuriero politico di turno. Quando parlava di «massa intermedia»413 – l’aggettivo

aveva una pura caratterizzazione geometrica – tra due schieramenti politici avversi, Salvemini si riferiva a quella frangia di popolazione sempre disponibile all’uso e al consumo da parte dello schieramento più spregiudicato che volesse portare dalla sua una significativa maggioranza.

È da notare che Salvemini descriveva la tendenza a farsi aggiogare al carro del primo arrivato come insita nel carattere di gran parte dei meridionali, laddove, invece, egli era molto ottimista rispetto all’esistenza di una psicologia contadina unitaria e combattiva, emotivamente pronta a ribaltare il carro dell’ingiustificato vincitore. All’opposto, Gramsci, dieci anni dopo il discorso di Salvemini, vedeva ancora nelle masse contadine un infantilismo e una istintività tali da non poter giovare alla classe agraria un immediato successo nel tentativo di associarsi per contrastare i soprusi perpetrati dalla classe dei proprietari. In

411 Ivi, p. 465. Lavriano suggerì che l’inizio dell’interesse di Gobetti per la Rivoluzione russa coincise con il

distacco di quest’ultimo dal suo ‘maestro’ Salvemini. La ragione che Lavriano adduceva per giustificare questo allontanamento era l’impressione che le moltitudini «autocoscienti» che furono protagoniste dell’Ottobre russo rappresentassero agli occhi di Gobetti una avanguardia rispetto ai «contadini derelitti del Mezzogiorno» la cui causa stava a cuore a Salvemini (Id., op. cit., pp. 72-73).

412 Intervento di Salvemini al X Congresso del Partito Socialista Italiano (Firenze, settembre 1908) (fonte:

http://www.italianieuropei.it/it/component/k2/item/2226-salvemini-la-questione-meridionale-e-la-

costruzione-dello-stato-nazionale-democratico.html).

104 fondo, nel definire la psicologia dei contadini «incontrollabile», nell’insieme di «sentimenti occulti» in quanto «primordiali»414, Gramsci fornì gli elementi utili a dare coerenza al discorso

di Salvemini sulla fondamentale mancanza di libertà riscontrata da quest’ultimo nel Mezzogiorno.

In effetti, le responsabilità per Salvemini erano quasi tutte da additare in alto, nella ingiusta condotta adottata dalle istituzioni; diversamente, Gramsci cercava il problema nello stesso luogo dove trovava la sua possibile soluzione: presso le masse. Mentre per il secondo la questione fondamentale era come far sì che lo Stato diventasse, permeato dagli strati sociali produttivi, un «organismo», il primo non si pose con sufficiente chiarezza il problema di come le popolazioni più corrose dai tradizionali trasformismi potessero farsi raggiungere da oneste proposte per il miglioramento della loro condizione dal fondo della rete in cui erano rimaste intrappolate.

Anche Gobetti riscontrava nella cosiddetta ‘questione meridionale’ un problema di natura essenzialmente politica. Addirittura, per lui, l’estinguersi, allo stato presente, della lotta ideale avrebbe reso illegittimo parlare di politica nel vero senso della parola. Quello che Gobetti si spinse a definire un «regresso» era accompagnato dalla sentenza che «non si possono elaborare idee politiche quando gli uomini che le pensano sono soffocati»415, la quale, se pure

fu da lui emessa in riferimento alla situazione italiana in generale, risultava direttamente aderente alla realtà del Mezzogiorno. Quando nel medesimo scritto, poco più avanti, Gobetti metteva in relazione la determinazione politica con la libertà, asserendo che «la lotta politica nel mondo moderno ha la sua premessa necessaria nella libertà»416, il collegamento con il

discorso di Salvemini era immediatamente costituito e il problema si mostrava con tutta la sua imponenza.

Nel documento Piero Gobetti. Un liberale rivoluzionario (pagine 103-105)