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L’«apocalissi antitedesca»

Nel documento Piero Gobetti. Un liberale rivoluzionario (pagine 47-51)

4. Mussolini e il fascismo

4.2 L’«apocalissi antitedesca»

Senonché, il 24 novembre del 1914, Mussolini fu espulso dal Partito socialista, pochi giorni dopo essersi dimesso dalla direzione del giornale, l’Avanti!, che di quel partito era stato il portavoce.

Ma i suoi progetti rivoluzionari erano tutt’altro che sopiti; tant’è vero che egli fondò immediatamente un nuovo movimento, denominato «fascio autonomo per l’azione

161 Seton-Watson, op. cit., pp. 460-461.

162 L’intervista è contenuta nel documentario Nascita di una dittatura, di Sergio Zavoli, 1972. 163 RL, p. 164.

47 rivoluzionaria», che intendeva appellarsi a «tutti i veri socialisti rivoluzionari». L’organizzazione di Mussolini fece presto causa comune con i Fasci di Azione Rivoluzionaria di Corridoni, Bianchi e i sindacalisti interventisti165.

Se fu chiaro, dunque, che Mussolini non intendeva abbandonare i motivi della rivoluzione socialista che lo avevano animato durante il periodo della sua militanza nel Psi, era altresì evidente che il concretizzarsi della possibilità di entrata in guerra dell’Italia a fianco di Francia ed Inghilterra aveva portato Mussolini a riflettere sull’eventualità di mutare atteggiamento nei confronti della prospettiva bellica. Se davvero la guerra era inevitabile, essa poteva trasformarsi in una opportunità di suscitare, assieme agli attacchi alle altre nazioni, una spinta al rinnovamento sociale in Italia. La rivoluzione, per Mussolini, veniva ancora prima di tutto, perciò i ponti con il Partito socialista, e con la sua fiacca neutralità, andavano tagliati definitivamente.

Mussolini preparò il terreno per il suo cambio di sponda politica con lo slogan «Dalla neutralità assoluta alla neutralità attiva ed operante», titolo che gli costò l’allontanamento dalla direzione dell’Avanti!. Il messaggio sottinteso era che la possibilità di attaccare l’Austria diveniva, d’ora in poi, più concreta, nel caso in cui la nazione asburgica avesse attaccato l’Italia166.

Dal momento che allearsi in guerra coi paesi dell’Intesa significava rompere la Triplice Alleanza, che l’Italia aveva stipulato nel 1882 con Austria e Germania, l’atteggiamento di Mussolini, come quello delle altre frange di interventisti, assunse toni sempre più spiccatamente antiteutonici.

Dopo la guerra i rapporti di Mussolini con la Germania, che dal 1919 al 1933 fu retta da un regime repubblicano, si fecero più ambigui. L’insofferenza nutrita dai tedeschi verso i pesanti debiti di guerra che il Trattato di Versailles le imponeva di pagare – fra i più consistenti: restituzione alla Francia dell’Alsazia-Lorena; occupazione da parte di Francia e Belgio del distretto carbonifero e industriale della Ruhr; 132.000.000.000 di marchi da versare, come indennità, nelle casse delle potenze vincitrici167 – stava rinvigorendo dei gruppi di giovani

nazionalisti, i quali proiettavano il loro astio per la posizione critica della Germania sul piano internazionale sull’ipocrisia della pace che la Repubblica di Weimar dava mostra di stare faticosamente mantenendo.

Dopo la conferenza di Cannes168, cui aveva partecipato in qualità di giornalista, Mussolini si

era convinto che le opzioni, per la politica estera dell’Italia, fossero due: o appoggiare la

165 Seton-Watson, op. cit., p. 566. 166 Ivi, p. 565.

167 Banti, L’età contemporanea. Dalla Grande Guerra a oggi, cit., pp. 68-71.

168 I lavori della conferenza di Cannes, svoltisi fra il 6 e il 13 gennaio del 1922, erano falliti per l’incapacità delle

due potenze vincitrici della guerra, Francia ed Inghilterra, di trovare un accordo sul nuovo equilibrio di pace europeo. Fu soprattutto la diversa posizione assunta dalle due potenze nei confronti della situazione della Germania ad impedire di raggiungere un compromesso: l’Inghilterra riteneva che, per il bene dell’equilibrio economico e politico europeo, le misure punitive del Trattato di Versailles andassero attenuate; la Francia puntava soprattutto a ristabilire la propria economia nazionale, e per far questo doveva poter contare con

48 posizione morbida degli inglesi, che intendevano applicare delle sanzioni meno severe alla Germania, affinché l’equilibrio europeo non fosse alterato favorendo una nuova preponderanza francese; o avallare la linea dura della Francia. Convinto che baricentro della storia europea, in quel momento, fosse Berlino, per approfondire la situazione si recò egli stesso in Germania nel marzo del 1922, per quello che doveva essere un «viaggio di studio»169.

Tornato in Italia, ufficialmente, Mussolini dichiarò le sue intenzioni, e quelle del Partito nazionale fascista, in un articolo apparso sulla rivista Gerarchia nel marzo del 1922: «l’Italia deve accettare e sostenere il punto di vista inglese», scriveva, non senza tralasciare che, «dare un respiro alla Germania», significasse, al contempo, «vigilarla, costringerla […] a pagare». Tutto l’articolo, dal titolo suggestivo Maschere e volto della Germania, era teso sul sottile filo del dilemma di come reagire nei confronti di un Paese costretto a restare pacifico per l’impossibilità di fare la guerra. Scriveva ancora Mussolini: «Quello che si è stipulato a Versaglia non è un trattato di pace: è un trattato di guerra». Il fatto che la Germania avesse perso, non per inefficienze militari, ma in conseguenza del blocco dei rifornimenti al fronte oppostole dalle potenze avversarie, stimolava ancor di più nei giovani un «irrefrenabile desiderio di rivincita»170.

Negli anni ’20 la Baviera era la regione tedesca in cui la presenza di gruppi politici nazionalistici era più forte. Questi gruppi, che si riunirono, nel gennaio del 1920, attorno al Partito Nazionalsocialista, lavoravano per la ripresa da parte della Germania di una politica estera espansionistica che andasse direttamente a spese dell’odiata Francia – soprattutto dopo l’occupazione da parte di quest’ultima della Ruhr – e, in parallelo, auspicavano l’instaurazione di una nuova potente Germania. Gobetti già si spingeva a definire questi primi nuclei del nazismo «grettezze bavaresi»171, le cui istanze aggressive non erano state colte

appieno dal governo della Repubblica di Weimar, forse a causa di una scarsa ampiezza di vedute e di mancanza di un piano di politica nazionale unitaria, e guardava con apprensione all’emergere di un’ostilità che presto avrebbe emulato nei metodi il già brutale fascismo italiano.

Anche a questo proposito l’atteggiamento di Mussolini restò ambiguo. Nell’articolo del ’22 già citato, egli descriveva la «Baviera» come «già di fatto monarchica». A trapelare dalle sue parole era un misto di attrazione e repulsione nei confronti del progressivo «orientamento a destra» della Germania repubblicana.

Il giudizio di Cassels172 era che il favore prestato da Mussolini al nascente partito nazista

fosse meramente strumentale: in cambio della rinuncia da parte della Baviera ad

certezza sul disarmo tedesco (fonte: http://www.treccani.it/enciclopedia/cannes_%28Enciclopedia- Italiana%29/).

169 Renzo De Felice, Mussolini il fascista, Einaudi, Torino 1976, Vol. I, p. 230. 170 Fonte: http://www.adamoli.org/benito-mussolini/pag0156-.htm. 171 SP, p. 523.

172 Alan Cassels, “Mussolini and German nationalism, 1922-25”, in The Journal of Modern History, June 1963, pp.

49 un’espansione nell’ambito Alto Adige, Mussolini si sarebbe impegnato a dare i rifornimenti di armi che servivano ai gruppi estremisti per i loro propositi antirepubblicani. L’Alto Adige doveva restare italiano, e il duce avrebbe appoggiato i nazionalisti tedeschi a patto che essi espletassero i loro progetti insurrezionalisti al di là delle Alpi.

Fino alla firma del Trattato di Rapallo173 (16 aprile 1922) l’atteggiamento di Mussolini, per

quanto non privo di ambiguità, fu, tutto sommato, aperto alla prospettiva di alleggerire i debiti tedeschi per poter avviare distesamente i rapporti di pace europei previsti dal «patto di garanzia» proposto dagli inglesi.

Ma quando la prospettiva di un avvicinamento della Germania alla Russia si concretizzò, Mussolini cominciò a temere per l’Italia, oltre che da nord, anche da est174, e fu allora che la

possibilità di avvicinarsi alle intransigenti posizioni francesi non risultò più essergli così estranea.

Insomma, i timori per una eventuale ripresa dell’espansione germanica a sud, in direzione di Bolzano, uniti alla non ancora definita posizione dell’Italia sul piano internazionale, stretta tra i due fuochi della Francia revanscista e della Russia filotedesca, determinarono in Mussolini, nel periodo che precedette la marcia su Roma, una posizione prima di diffidenza, poi di più aperta ostilità nei confronti della Germania repubblicana. E fu, evidentemente, l’assunzione di quest’ultimo atteggiamento a far attribuire a Gobetti l’epiteto di «apocalissi antitedesca» in riferimento alla fase politica del Mussolini fascista militante. Un odio per la Germania che maturò lentamente, sempre puntellato dalla paura di una invasione, prima di far esplodere Mussolini in affermazioni dal chiaro tenore nazionalistico: «Ognuno cominci dal curare se stesso; ogni nazione tenda con tutte le sue energie a ricostruire se stessa»175.

A giudizio di De Felice, le scelte di politica estera operate da Mussolini nel 1922 andavano analizzate alla luce della direzione presa dalla sua politica interna. Nel periodo immediatamente precedente alla definitiva presa del potere da parte del fascismo, Mussolini avrebbe, cioè, modellato la «politica estera» sulla «più vasta e concreta azione politica […] condotta […] sul piano interno», facendo della prima un semplice aspetto della seconda. Più precisamente, il propendere, dopo Rapallo, per l’assunzione di una posizione di ostilità verso la Germania, la quale sempre più mostrava di orientarsi verso una politica di destra di stampo

173 Il secondo Trattato di Rapallo fu siglato tra Germania e Russia con l’intenzione, da parte delle due potenze

uscite sconfitte dalla Prima guerra mondiale e politicamente rese isolate, di riprendere i rapporti commerciali e diplomatici. Come premessa di ciò, le due nazioni si impegnavano a rinunciare alle reciproche riparazioni belliche. Ciò che suscitò un cambio di atteggiamento, fino a quel momento conciliante, verso la Germania da parte di Mussolini fu il protocollo segreto aggiuntivo, firmato di notte fra Rathenau e Cicerin, che stabiliva l’inizio di una cooperazione militare fra i due paesi: la Germania si sarebbe riarmata ed esercitata clandestinamente in territorio sovietico; la Russia avrebbe fruito della tecnologia tedesca per rimettere in piedi la propria industria (fonte: http://www.treccani.it/enciclopedia/trattati-di-rapallo_%28Dizionario-di-Storia%29/).

174 Così Mussolini scriveva nell’articolo Si può chiudere, signori!, pubblicato su Il Popolo d’Italia del 19 aprile

1922: «L’accordo russo-tedesco esclude un sincero e leale accordo europeo […] Questa alleanza tedesco-russa rimette in gioco i destini di tutte le nazioni europee, non esclusa l’Italia, che ha ai suoi confini di terra e di mare minacciose genti slave e minacciose genti tedesche» (cit. in De Felice, op. cit., p. 231).

50 espansionistico aggressivo, a detta di De Felice, sarebbe stato motivato dalla necessità di legittimare il fascismo agli occhi dell’opinione pubblica nazionale, di confermarne la raggiunta «maturità» ed «i titoli ad essere stabilmente accolto tra le forze liberali»176. L’atteggiamento di

ostilità nei confronti della Germania fu, pertanto, uno strumento di cui Mussolini si servì, per qualche momento, per farsi attraente agli occhi dell’Italia e del mondo, che consideravano con timore crescente la prospettiva di un riarmo tedesco e di una ripresa del conflitto.

La marcia su Roma, tuttavia, parve decisamente rimettere in discussione gli equilibrismi mussoliniani, facendo passare l’immagine del nazionalismo italiano da moderato ad estremistico.

L’atmosfera sinistra che nel dopoguerra aleggiava sulle nazioni europee apparentemente pacificate aveva portato Gobetti a scrivere della necessità di sbloccare una situazione caratterizzata dalla «volontà esperta di ognuno di non decidersi», in una coreografia diplomatica retta da un «gioco reciproco di nascondersi» tipico di una «politica estera [che] fotografa le convulsioni interne ed esclude la mutua confidenza»177. La pace apparente poté

dirsi conclusa il 28 ottobre del ’22, quando la marcia su Roma sancì la trasformazione dell’Italia in Stato fascista, ed il fragile equilibrio europeo postbellico sembrò spezzarsi in favore di una rinascita dei nazionalismi.

Nel documento Piero Gobetti. Un liberale rivoluzionario (pagine 47-51)