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Lo ‘sciopero legalitario’: la prima «vittoria» fascista

Nel documento Piero Gobetti. Un liberale rivoluzionario (pagine 41-44)

3. Il ‘biennio rosso’

3.5 Lo ‘sciopero legalitario’: la prima «vittoria» fascista

Il cosiddetto ‘sciopero legalitario’ del luglio del 1922 fu, a parole di Gobetti, «una battaglia combattuta con tutte le intenzioni di essere sconfitti»143. Si trattò di uno sciopero generale

contro gli atti violenti che, nei mesi precedenti, lo squadrismo fascista aveva perpetrato ai danni delle municipalità rette da governi socialisti o popolari. Esso fu indetto dall’Alleanza del Lavoro144 e a definirlo «legalitario» fu Turati, per il fatto che, in quell’occasione, venne

ingiunto dagli stessi sindacati ai lavoratori, dal momento che ragione delle manifestazioni era proprio quella di difendere le «libertà politiche e sindacali minacciate dalle insorgenti forze reazionarie», di astenersi da qualunque uso gratuito della violenza alla maniera degli avversari che con quest’azione si volevano combattere, «salvi i casi di legittima difesa delle persone e delle istituzioni»145. Trapelata sui giornali il 30 luglio, un giorno prima del suo

inizio, la notizia dello sciopero permise ai fascisti di prepararsi adeguatamente a contrastare le proteste. La stessa dirigenza del Partito nazionale fascista proclamò che il tempo a disposizione per le rimostranze sarebbe stato di non più di 48 ore; entro quel lasso temporale lo Stato sarebbe dovuto intervenire per sedare la protesta, altrimenti la responsabilità della repressione sarebbe stata assunta direttamente dal partito. In realtà, già nelle quarantotto ore precedenti alla scadenza dell’ultimatum, i fascisti si diedero da fare per sostituire gli

141 Cit. in ivi, p. 43. 142 RL, pp. 89-90. 143 Ibid.

144 L’Alleanza era costituita dalle seguenti organizzazioni operaie: Confederazione generale del lavoro, Unione

italiana del lavoro, Sindacato ferrovieri italiani e Federazione nazionale lavoratori dei porti (cfr. SP, p. 399 nota 1).

41 scioperanti in alcuni servizi di pubblica utilità con l’obiettivo di dimostrare che essi erano pronti ad assumersi la salvezza della nazione là dove lo Stato era vacante146.

Peraltro, l’adesione alle proteste fu molto scarsa: fra i salariati agricoli scioperarono in pochi; esiguo fu anche il numero di coloro che fra gli impiegati nelle ferrovie e nelle poste parteciparono all’iniziativa. Fu evidentemente questo l’elemento decisivo che impedì al movimento operaio socialista di imporsi per trovare una soluzione alla crisi parlamentare scaturita in seguito alle dimissioni del governo Facta. Va altresì sottolineato che l’iniziativa per lo sciopero partì dalla base in disaccordo coi dirigenti sindacali e socialisti. C’erano, dunque, tutte le premesse perché quest’azione sindacale avesse scarsa incidenza.

Lo sciopero venne dichiarato concluso dall’Alleanza del Lavoro il successivo 3 agosto e lo stesso Turati, che era stato uno dei promotori del suo carattere ‘legalitario’, dichiarò che si era trattato di una vera e propria Caporetto e che bisognava avere il coraggio di riconoscere che i fascisti erano, ormai, «i padroni del campo». Anche dopo la dichiarata cessazione dello sciopero, i fascisti attuarono rappresaglie in numerose città (Bologna, Trento, Bolzano), con l’intento di imporre all’attenzione dell’opinione pubblica l’intransigenza della loro linea147.

È certamente vero che, sin dall’autunno del 1920, in occasione delle elezioni amministrative, il Partito socialista aveva cominciato a mostrare segni di debolezza e che questo suo arretramento era avvenuto in contemporanea con la formazione dei primi gruppi politici fascisti. Il seguito del movimento socialista si faceva progressivamente più esiguo man mano che, per la mancata iniziativa dei rappresentanti politici degli operai, il profilarsi della rivoluzione contro lo Stato borghese diveniva più sfocato. Di fronte all’avanzata dei ‘difensori dell’ordine’148, il risentimento nei confronti dello Stato liberale e di quei membri del Partito

socialista che ad esso avevano prestato la loro collaborazione, venne, di conseguenza, fatto proprio soprattutto dai lavoratori della terra che aspiravano alla proprietà, lavoratori dell’industria, impiegati pubblici e privati, studenti; dai ceti medi provenivano anche la maggioranza dei dirigenti dei Fasci e dei capi dello squadrismo (ex ufficiali, giornalisti, impiegati, artigiani, commercianti)149.

Tuttavia, ciò che portò Gobetti a scrivere che il suddetto sciopero fu una battaglia condotta con l’intenzione di essere sconfitti, fu molto probabilmente la circostanza che il movimento fascista fosse, di fatto, già entrato nel Parlamento dopo che Giolitti, nel maggio del 1921, aveva aperto la lista elettorale dei cosiddetti Blocchi nazionali agli appartenenti ai Fasci150. E se

anche il «patto di pacificazione» – di cui il governo Bonomi aveva favorito la sottoscrizione il 3 agosto del 1921 e che, inizialmente, era stato avallato dallo stesso Mussolini – fra fascisti, socialisti e dirigenti della Cgl, era stato cancellato, i sindacalisti avrebbero dovuto avvedersi del fatto che, ormai, persino lo squadrismo, contro cui lo sciopero si indirizzava, era pratica

146 Ivi, p. 86.

147 Seton-Watson, op. cit., pp. 767-771. 148 Ivi, p. 722.

149 Cfr. Gentile, Fascismo. Storia e interpretazione, Laterza, Bari 2002, p. 12. 150 Conquistarono 35 seggi (cfr. ibid.).

42 accolta legittimamente dal Pnf, quindi dalle istituzioni stesse. In occasione della trasformazione del movimento dei Fasci in partito, infatti, – avvenuta nel novembre del 1921 – le squadre erano state incorporate nel partito stesso.

La proclamazione di uno sciopero contro i fascisti diventati parte integrante delle istituzioni avrebbe, dunque, dovuto come minimo tutelare meglio la propria propaganda.

L’impressione fu che, in quell’occasione, che chiuse di fatto il ‘biennio rosso’, si unì ad una inefficace organizzazione sindacale una incapacità di resistere alle minacce degli squadristi, e che tale débâcle strategica rappresentò una prima importante tappa nel percorso di presa del potere da parte dei fascisti.

Gobetti imputava agli organizzatori dello sciopero la responsabilità di aver consegnato la situazione in mano ai fascisti, concedendo loro, con questa «prima vittoria, non cercata»151, il

decisivo lasciapassare per la loro scalata al dominio.

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Nel documento Piero Gobetti. Un liberale rivoluzionario (pagine 41-44)