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Capitolo IV: La responsabilità dell’ente da reato colposo

4. Modelli di organizzazione e gestione e reati colposi

4.1. Il modello in materia di sicurezza sul lavoro

La diversità fra i reati contemplati dal d.lgs. 231/2001 impone la presenza di elementi specifici e peculiari per ciascuna area di rischio, in modo da prevenire le diverse tipologie di illecito che si possono porre nei diversi settori di attività dell’ente.

Se fino all’introduzione dei reati di omicidio colposo e lesioni gravi o gravissime commessi con violazione della normativa antinfortunistica, il d.lgs. 231/2001 conteneva solo fattispecie dolose, con il d.lgs. 81/2008 (T.U.S.S.L.)208, il Legislatore ha introdotto delle regole affinché i modelli organizzativi disciplinati dagli artt. 6 e 7 d.lgs. 231/2001 potessero adattarsi alle peculiarità dei nuovi reati inseriti nel catalogo dei reati presupposto.209

In particolar modo, in un contesto come quello della sicurezza e dell’igiene nei luoghi di lavoro, caratterizzato da una vasta normativa di settore, il contenuto dei modelli organizzativi dovrà essere indirizzato

Studi in onore di Mario Romano, (a cura di) M. Bertolino, L. Eusebi, G. Forti, III, Napoli, 2011, cit., p. 1962.

206 A. Alessandri, Reati colposi e modelli di organizzazione e gestione, in An. giur. ec., n. 2, 2009, p. 350

207 A. Gargani, Delitti colposi commessi con violazione delle norme sulla tutela della

sicurezza sul lavoro: responsabile “per definizione” la persona giuridica?, in AA.VV., Studi in onore di Mario Romano, (a cura di) M. Bertolino, L. Eusebi, G. Forti, III, Napoli, 2011, cit., p. 1962.

208 Il Testo Unico sulla Salute e Sicurezza sul Lavoro, introdotto con il d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 30 aprile 2008, n. 101.

209 Cfr. R. Lottini, I modelli di organizzazione e gestione nel settore antinfortunistico: le

indicazioni provenienti dalla dottrina e dalla giurisprudenza, in AA.VV., La tutela penale della sicurezza del lavoro, (a cura di) G. Casaroli, F. Giunta, R. Guerrini, A. Melchionda, Pisa, 2015, p. 151ss.

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all’adempimento degli obblighi giuridici210, indicati dalla legislazione antinfortunistica.

L’art. 30 d.lgs. 81/2008 ha, infatti, la finalità di indicare il contenuto che devono avere i modelli organizzativi al fine di escludere la responsabilità degli enti in relazione ai reati indicati all’art. 25-

septies.211

Si è così reso necessario il coordinamento tra le due disposizioni, dal momento che gli specifici adempimenti richiesti dal T.U.S.S.L. non si identificano con la predisposizione del modello organizzativo di cui al d.lgs. 231/2001, trattandosi di due attività autonome e distinte, sul piano della natura giuridica e della ratio.212

Anzitutto, mentre gli adempimenti precauzionali individuati dal T.U.S.S.L. rappresentano veri e propri obblighi per i soggetti destinatari, l’adozione e l’implementazione del modello organizzativo di cui agli artt. 6 e 7 d.lgs. 231/2001 rappresenta solo una facoltà per l’ente213.

Inoltre, da un lato, con i compliance programs di cui al d.lgs. 231/2001 si mira ad introdurre nell’organizzazione dell’ente un sistema che prevenga la commissione delle specifiche fattispecie di reato individuate dalla stessa normativa. Dall’altro lato, il sistema prevenzionistico richiesto dal T.U.S.S.L., ha come finalità quella di predisporre un ambiente di lavoro sicuro, che non metta in pericolo la salute e la sicurezza dei lavoratori. È proprio nell’ambito di questa finalità che è ricompresa anche la prevenzione delle fattispecie di

210 Tali obblighi riguardano: a) il rispetto degli standard tecnico-strutturali di legge relativi ad attrezzature, impianti, luoghi di lavoro, agenti chimici, fisici e biologici; b) le attività di valutazione dei rischi e di predisposizione delle misure di prevenzione e protezione conseguenti;

c) le attività di natura organizzativa, quali emergenze, primo soccorso, gestione degli appalti, riunioni periodiche di sicurezza, consultazioni dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza;

d) le attività di sorveglianza sanitaria;

e) le attività di informazione e formazione dei lavoratori;

f) le attività di vigilanza con riferimento al rispetto delle procedure e delle istruzioni di lavoro in sicurezza da parte dei lavoratori;

g) l’acquisizione di documentazioni e certificazioni obbligatorie di legge;

h) le periodiche verifiche dell’applicazione e dell’efficacia delle procedure adottate. 211 V. Mongillo, Il dovere di adeguata organizzazione della sicurezza tra responsabilità

penale individuale e responsabilità da reato dell’ente, in AA.VV., Infortuni sul lavoro e doveri di adeguata organizzazione: dalla responsabilità penale individuale alla «colpa» dell’ente, (a cura di) A.M. Stile, A. Fiorella, V. Mongillo, Napoli, 2014, p. 35ss.;

212 Cfr. C. Mancini, L’introduzione dell’articolo 25-septies: criticità e prospettive, in

Resp. amm. soc. ent., 2, 2008, p. 56.

213 Si rimanda al Cap. III, sez. 2.3.1. in cui viene affrontata la questione dalla dottrina circa il considerare l’adozione del modello di organizzazione e gestione un onere od un obbligo.

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omicidio e lesioni gravi colpose, ma non è questo lo scopo primario della normativa. Ciò è dimostrato dal fatto che la violazione degli obblighi contenuti dal T.U.S.S.L. è autonomamente sanzionata, a prescindere dalla verificazione degli eventi di reato.

Tuttavia, le indicazioni fornite dal Legislatore sull’idoneità del modello ai sensi del d.lgs. 231/2001, sono frammentarie e generiche nel tratteggiare l’organizzazione interna, richiedendo di fatto, un’ulteriore attività di specificazione al fine di svolgere la propria funzione esimente214, mentre, per quanto riguarda gli infortuni sul lavoro, l’art. 30 d.lgs. 81/2008 delinea istruzioni specifiche e precise sul contenuto del modello.

Pertanto, diviene opportuno, individuare quale sia il rapporto instauratosi tra gli artt. 6 e 7 D.lgs. 231/2001 e l’art. 30 D.lgs. 81/2008. Alcuni esponenti della dottrina hanno ravvisato nell’art. 30 la mera funzione di specificare le previsioni generali contenute nella parte generale del modello in relazione ai reati previsti dall’art.25-septies215. Di conseguenza la disposizione di cui all’art. 30 d.lgs. 81/2008, non sembra aggiungere molto rispetto alla disciplina generale. Difatti, anche l’articolo appena citato, alla stregua di quanto già previsto dagli artt. 6 e 7, richiede comunque: lo svolgimento di un’attività di risk

assessment e risk management216; un controllo sull’efficacia ed

214 Cfr. C. Piergallini, Paradigmatica dell’autocontrollo penale (dalla funzione alla

struttura del “modello organizzativo” ex d.lgs. 231/2001), in AA. VV., Studi in onore di Mario Romano, (a cura di) M. Bertolino, L. Eusebi, G. Forti, vol. III, Napoli, 2011, cit. p. 2054.

215 A. Rossi, F. Gerino, Art. 25-septies d.lgs. 231/2001, art. 30 d.lgs. 81/2008 e modello

di organizzazione, gestione e controllo: ambiti applicativi e rapporti, in Resp. amm. soc. ent., 2009, 2, pp. 5-24; R. Lottini, I modelli di organizzazione e gestione, in Il nuovo diritto penale della sicurezza dei luoghi di lavoro, (a cura di) F. Giunta, D. Micheletti, Milano, 2010, p. 169ss.

216 V. Cap. III, sez. 2.3.2.; Così V. Mongillo, Il dovere di adeguata organizzazione della

sicurezza tra responsabilità penale individuale e responsabilità da reato dell’ente, in AA.VV., Infortuni sul lavoro e doveri di adeguata organizzazione: dalla responsabilità penale individuale alla «colpa» dell’ente, (a cura di) A.M. Stile, A. Fiorella, V. Mongillo, Napoli, 2014, cit., p. 36: “(…) il governo sistemico di un certo rischio si articola, dal punto di vista metodologico, secondo una sequenza logica così scomponibile:

a) Il risk assessment, cioè l’iniziale individuazione e valutazione dei rischi, condizione logica di un’efficace gestione, di cui deve anche essere assicurata sufficiente formalizzazione sul piano documentale;

b) Il risk management in senso stretto, cioè la vera e propria gestione dei rischi, che si snoda in alcuni sub-processi, quali:

–l’organizzazione della struttura e delle competenze: selezione del

personale, ripartizione dei ruoli e delle responsabilità,

formazione/informazione, dotazioni finanziarie; –la pianificazione degli interventi preventivi;

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idoneità del modello; infine, la predisposizione di un adeguato sistema disciplinare finalizzato a sanzionare le violazioni delle regole contenute nel modello.

Perciò le uniche novità contenute nell’art. 30 sono rappresentate dalla “acquisizione di documentazioni e certificazioni obbligatorie di legge”, come statuito al comma 1 dello stesso articolo, dalla presunzione d’idoneità dei modelli, prevista al comma 5 e dalla disciplina di cui al comma 5-bis in relazione alle piccole e medie imprese.217

Secondo altra parte della dottrina218, invece, l’art. 30 si pone in rapporto di specialità con la generale disciplina di cui agli articoli 6 e 7 d.lgs. 231/2001. L’art. 30 introdurrebbe una nuova tipologia di

compliance program in materia di sicurezza sul lavoro che appare avere

finalità, ma anche un contenuto differente rispetto alla matrice dell’art. 6, poiché “mentre lo scopo delle procedure contemplate dal d.lgs. 81/2008 è quello di garantire il massimo livello possibile di sicurezza nei luoghi di lavoro, i modelli di organizzazione e di gestione di cui al d.lgs. 231/2001 sembrano integrare una sorta di cautela di secondo livello”.219

–la determinazione delle concrete misure di prevenzione: tecniche, procedurali e organizzative;

–l’effettiva attuazione delle misure preventive individuate; (…).

217 R. Lottini, I modelli di organizzazione e gestione, in Il nuovo diritto penale della

sicurezza dei luoghi di lavoro, (a cura di) F. Giunta, D. Micheletti, Milano, 2010, p. 169ss.

218 P. Aldrovandi, Responsabilità amministrativa degli enti per i delitti in violazione di

norme antinfortunistiche, in Igiene e Sicurezza del Lavoro, 2007, p. 571ss; G. Morgante, Responsabilità amministrativa degli enti collettivi, in Reati contro la salute e la dignità del lavoratore (a cura di) B. Deidda, A. Gargani, Torino, 2012, p. 487ss.

219 P. Aldrovandi, La responsabilità amministrativa degli enti per i reati in materia di

sicurezza e salute sui luoghi di lavoro, in Ind. pen., 2, 2009, cit. 507.

“E’ tuttavia evidente che il sistema introdotto dal d.lgs., n.231 del 2001 impone alle imprese di adottare un modello organizzativo diverso e ulteriore rispetto a quello previsto dalla normativa antinfortunistica, onde evitare in tal modo la responsabilità amministrativa. (…) Non a caso, (…) mentre il documento di valutazione di un rischio è rivolto anche ai lavoratori per informarli dei pericoli incombenti in determinate situazioni all‘interno del processo produttivo e quindi è strutturato in modo da garantire a tali destinatari una rete di protezione individuale e collettiva perché addetti concretamente a determinate mansioni, il modello del d.lgs., n. 231 deve rivolgersi non tanto a tali soggetti che sono esposti al pericolo di infortunio, bensì principalmente a coloro che, in seno all’intera compagine aziendale, sono esposti al rischio di commettere reati colposi e di provocare quindi le lesioni o la morte nel circuito societario, sollecitandoli ad adottare standard operativi e decisionali predeterminati, in grado di obliterare una responsabilità dell’ente”. Così Trib. Trani, sez. distaccata di Molfetta, 11 gennaio 2010, Truck Center, in www.olympus.uniurb.it

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Dunque, il giudice al fine di valutarne l’idoneità per verificare l’efficacia esimente del modello in materia di sicurezza sul lavoro dovrà: da un lato, verificare la correttezza rispetto alle condizioni richieste dagli artt. 6 e 7 d.lgs. 231/2001, e dall’altro gli specifici obblighi giuridici finemente elencati al co.1 dell’art. 30 d.lgs. 81/2008.

Tuttavia, sulla valutazione giudiziale del modello sorge un’ulteriore problematica relativa a quanto previsto dal quinto comma dell’art. 30, che sembrerebbe aver introdotto una presunzione legale d’idoneità dei “modelli di organizzazione aziendale definiti conformemente alle Linee guida UNI-INAIL per un sistema di gestione della salute e sicurezza sul lavoro (SGSL) del 28 settembre 2001 o al British Standard OHSAS 18001:2007”220.

Anche in questo caso, la dottrina si interroga in ordine alla tipologia di presunzione introdotta. Da un lato c’è chi ritiene che dal comma 5, emerga una presunzione iuris tantum, superabile dal giudice qualora la verifica dovesse indurre a ritenere il modello concretamente inidoneo a prevenire ex ante la commissione del reato che si è verificato in concreto, nonostante il modello abbia recepito le linee guida UNI-INAIL o BS OHSAS.221

Dall’altro lato, è sostenuto che la presunzione sia da considerarsi

iuris et de iure, portando così il giudice a dover assolvere l’ente nel

momento in cui sia accertato che il modello adottato sia conforme alle linee guida UNI-INAIL o BS OHSAS.222

Nonostante la “diatriba”, è possibile concludere come il comma 5 dell’art. 30 comporti una sorta di ulteriore inversione dell’onere probatorio, poiché è l’accusa che dovrà dimostrare l’inidoneità del modello organizzativo adottato dall’ente in conformità alle linee guida sopra citate.