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Capitolo IV: La responsabilità dell’ente da reato colposo

3. La controversa compatibilità dei reati colposi con il criterio

3.2. Interesse e vantaggio riferiti alla condotta

3.2.2. L’interesse in senso soggettivo ed oggettivo

Altra parte della dottrina ha ricercato nell’interesse il criterio oggettivo di ascrizione della responsabilità alla società, al cui interno è possibile far confluire due chiavi di lettura differenti: quella dell’interesse in un’accezione soggettivistica e quella che intende l’interesse in chiave oggettiva.

101 R. Bricchetti e L. Pistolelli, Responsabili anche gli enti coinvolti, in Guida dir., 2007, n.35, p. 40ss.

102 P. Aldovrandi, La responsabilità amministrativa degli enti per i reati in materia di

sicurezza e salute sui luoghi di lavoro, in Ind. pen., 2, 2009, p. 504 e ss.

103 Art. 5, comma 2, d.lgs. 231/2001: “L’ente non risponde se le persone indicate nel comma 1 hanno agito nell’interesse esclusivo proprio o di terzi”.

104 P.Ielo, Lesioni gravi, omicidi colposi aggravati dalla violazione della normativa

antinfortunistica e responsabilità degli enti, in Responsabilità amministrativa delle società e degli enti, 2008, p. 57ss.

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La prima tende ad interpretare l’interesse “come finalità che orienta in una certa direzione il comportamento dell’autore individuale”105, da valutare ex ante, come descritto dalla Relazione Governativa; tesi seguita da coloro che ritengono i criteri di interesse e vantaggio distinti ed alternativi.

È stato così affermato che anche i reati colposi possano essere commessi nell’interesse dell’ente, ma con l’evidente limite di essere strutturalmente compatibile con le sole ipotesi di colpa cosciente, ossia quando, pur non volendo l’evento, il soggetto attivo tenga un comportamento contrastante con la normativa cautelare, al fine di procurare un vantaggio all’ente.106

Il reato commesso con colpa incosciente - in cui manca per definizione la consapevolezza della situazione di rischio e della violazione di una regola cautelare - non potrebbe essere ascritto alla persona giuridica, poiché difetterebbe il requisito dell’interesse. È in queste ipotesi che eventualmente troverebbe applicazione il criterio del vantaggio.

Ne consegue che nell’ipotesi in cui l’autore del fatto abbia agito volendo la violazione della norma cautelare, ma non l’evento derivato, l’ente potrebbe essere dichiarato responsabile.

Siffatta riflessione comporta, però, una riduzione del campo di applicazione dell’articolo 25-septies, poiché nelle ipotesi di colpa incosciente la responsabilità dell’ente verrebbe ad essere esclusa per omicidio o lesioni colpose quando la violazione della regola cautelare è inconsapevole, ma comunque tenuta nell’interesse dell’ente.

A ciò, si aggiunge il rischio che l’impostazione “soggettiva” in esame, nei casi in cui la tensione finalistica della condotta rispetto all’utilità immediata dell’ente non sia evidente, possa da un lato responsabilizzare sempre l’ente o dall’altro non responsabilizzarlo mai,

105 G. De Simone, La responsabilità da reato degli enti: natura giuridica e

criteri(oggettivi) d’imputazione, in Dir. Pen. cont., 2010, cit., p. 42.

106 A. Gargani, Delitti colposi commessi con violazione delle norme sulla tutela della

sicurezza sul lavoro: responsabile “per definizione” la persona giuridica?, in AA.VV., Studi in onore di Mario Romano, (a cura di) M. Bertolino, L. Eusebi, G. Forti, III, Napoli, 2011, p. 1944; T. E. Epidendio e G. Piffer, La responsabilità degli enti per reati colposi, in Le società, Milano, 2011, p.33ss; G. De Simone, La responsabilità da reato degli enti: natura giuridica e criteri(oggettivi) d’imputazione, in Dir. Pen. cont., 2010, p. 40ss; G. De Vero, La responsabilità penale delle persone giuridiche, Milano, 2008, p.156ss; C. Santoriello, Violazioni delle norme antinfortunistiche e reati commessi nell’interesse o a vantaggio delle società, in Resp. amm. soc. enti, 2008, 1, 173.

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“a seconda del grado di interpretazione che si decida di assegnare al concetto di interesse/vantaggio”.107

La seconda linea interpretativa concepisce l’interesse in un’accezione oggettiva, ossia come qualità caratterizzante la condotta in sé idonea a produrre un beneficio per l’ente e quindi non già come dolo specifico dell’autore del reato.108 Mediante una simile opzione ermeneutica, nel fondare la responsabilità dell’ente, non assume più rilievo il fine soggettivo del reo, bensì l’oggettiva finalizzazione della condotta “e cioè la tendenza obbiettiva o esteriormente riconoscibile del reato a realizzare un interesse della societas”.109

In una prospettiva oggettivistica, parte della dottrina, trasferendo l’attenzione sul contesto in cui si colloca la condotta costitutiva del reato, ritiene che siano commessi nell’interesse o a vantaggio dell’ente i reati colposi consumati nell’ambito di attività compiute in favor dell’ente.

L’interesse diviene il solo criterio che esprime la necessità che l’illecito compiuto dall’agente “si collochi in una prospettiva funzionale di gestione degli interessi e di promozione delle attività”110.

In base alla teoria in questione, sarebbe sufficiente che il fatto colposo sia stato commesso dal soggetto qualificato nell’espletamento delle attività istituzionali, proprie dell’ente di appartenenza, senza indagare né su particolari finalità avute di mira dall’agente individuale, né tanto meno su concreti vantaggi che la persona giuridica abbia tratto dall’accaduto.111

In quest’ottica è stata avanzata la teoria dell’interesse in senso mediato. Secondo questa ricostruzione, l’illecito può essere commesso o, immediatamente, nell’interesse dell’ente, ovvero “in occasione dello

107 Vitali e Burdese, La legge 3 agosto 2007, n. 123: prime riflessioni in tema di

responsabilità degli enti, in Res. Amm. Soc. ent., 2007, 4, p. 134 citati da M. Riverditi, “Interesse o vantaggio” dell’ente e reati (colposi) in materia di sicurezza sul lavoro: cronistoria e prospettive di una difficile convivenza, in Arc. Pen., n.2, 2011, cit., p. 5.

108 T. E. Epidendio e G. Piffer, La responsabilità degli enti per reati colposi, in Le società, Milano, 2011, p.33ss.; C. De Maglie, Note su infortuni sul lavoro e responsabilità autonoma dell’ente, in AA.VV., La tutela penale della sicurezza del lavoro, (a cura di) G. Casaroli, F. Giunta, R. Guerrini, A. Melchionda, Pisa, 2015, p. 187ss.

109 L. Della Ragione, Responsabilità da reato degli enti e sicurezza sul lavoro: profili

problematici in tema di delitti colposi di evento, in Giu. Pen., 2011, cit., p. 307.

110 A. Gargani, Delitti colposi commessi con violazione delle norme sulla tutela della

sicurezza sul lavoro: responsabile “per definizione” la persona giuridica?, in AA.VV., Studi in onore di Mario Romano, (a cura di) M. Bertolino, L. Eusebi, G. Forti, III, Napoli, 2011, cit., p. 1946.

111 G. De Vero, La responsabilità penale delle persone giuridiche, Milano, 2008, cit., p. 280.

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svolgimento di un’attività in contesto lecito, a sua volta finalizzata a perseguire quell’interesse”112.

Nel caso dei reati dolosi, il rapporto sarebbe senza dubbio di immediatezza, in quanto l’illecito viene commesso direttamente nell’interesse dell’ente, si pensi all’ipotesi del reato di corruzione. Nel caso dei reati colposi d’impresa, invece, l’evento illecito non potrà essere funzionale al perseguimento di un interesse della persona giuridica, ma lo sarà l’attività nel corso della quale è stato commesso.

Di fatto, il risparmio sulla sicurezza o sui sistemi di gestione aziendale è effettuato nella convinzione che in nessun caso l’infortunio o in generale l’evento si verifichi in quanto, in quella eventualità, le conseguenze negative sarebbero superiori all’economia effettuata.

In aggiunta, mentre un ente che commette una truffa o un altro reato di quelli previsti dal decreto può fondatamente sperare che l’illecito non venga scoperto, l’infortunio, anche non necessariamente mortale, difficilmente potrà rimanere sconosciuto all’autorità giudiziaria.113

Anche la teoria dell’interesse mediato risulta inapplicabile poiché si introduce un criterio diverso da quello previsto dal Legislatore, che non è possibile introdurre in via interpretativa senza incorrere sul versante dell’analogia in malam partem, vietata nel diritto penale, creando così un criterio d’imputazione differenziato a seconda che il reato presupposto sia doloso o colposo. Tuttavia, una simile distinzione non è possibile individuarla nel D.lgs. 231/2001.

La stessa sorte colpisce un’altra tesi in base alla quale l’interesse è configurabile nei casi in cui si possa affermare che la persona fisica è la destinataria della norma violata, in virtù della posizione che essa ricopre all’interno della struttura organizzativa dell’ente.114

Si tratta di regole cautelari dirette allo stesso ente collettivo, o meglio all’attività d’impresa, e dunque riconducibili ad attività svolte in veste qualificata all’interno dell’ente. L’agente non viola la norma cautelare a titolo personale, ma nella sua veste qualificata: l’interesse dell’ente diviene configurabile ogni qual volta possa ritenersi che il soggetto in posizione qualificata, proprio per tale posizione, sia destinatario del precetto penale e della norma cautelare riguardanti

112 G. De Simone, Persone giuridiche e responsabilità da reato, Pisa, 2012, cit., p. 381ss.

113 N. D’Angelo, Responsabilità “penale” degli enti e delle persone giuridiche, Rimini, 2008, p. 212ss.

114 T. E. Epidendio e G. Piffer, La responsabilità degli enti per reati colposi, in Le società, Milano, 2011, p.43ss.

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l’attività di impresa e, quindi, un’attività svolta dal soggetto persona fisica nella sua veste qualificata all’interno dell’ente e non a titolo personale.

3.2.3. Una ricostruzione logico-sistematica: l’interesse, il vantaggio