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Capitolo IV: La responsabilità dell’ente da reato colposo

2. Il 2007 quale anno della svolta

2.2. I reati di cui all’art 25-undecies

L’art. 2, d. lgs. 7 luglio 2011, n. 121, recante l’ “Attuazione della

Direttiva 2008/99/CE sulla tutela penale dell’ambiente, nonché della Direttiva 2009/123/CE che modifica la Direttiva 2005/35/CE relativa all’inquinamento provocato dalle navi e all’introduzione di sanzioni per violazioni”, ha costituito il primo passo nell’introduzione dei reati

ambientali tra i reati presupposto, mediante l’inserimento nel d.lgs. 231/2001 dell’art. 25-undecies. Quest’ultima disposizione è stata successivamente riformata dalla legge n. 68/2015, la quale ha esteso il numero dei reati ambientali originariamente previsti dalla “parte speciale” del decreto 231/2001.

Tuttavia, alcune fattispecie ambientali dovevano essere già incluse

ab origine tra i reati presupposto, mediante il d.lgs. 231/2001.

Difatti, la legge delega 29 settembre 2000, n. 300 prevedeva la responsabilità degli enti anche per i reati in materia ambientale37 punibili con la pena detentiva non inferiore nel massimo ad un anno, anche se alternativa alla pena pecuniaria.38

Il Legislatore, tuttavia, nel momento del varo definitivo del decreto, per le inevitabili difficoltà di metabolizzazione del nuovo sistema da parte delle imprese39, attuò un deciso ridimensionamento dei reati presupposto, sopprimendo gran parte dei reati ascrivibili alla politica di

37 I reati contro l’ambiente ed il territorio (artt. 28 Reati in materia di impiego dell’energia nucleare, 29 Reati in materia di radiazioni ionizzanti, 30 Reati in materia dei pericoli di incidenti rilevanti connessi con determinate sostanze pericolose, 31 Reati in materia di inquinamento atmosferico, 32 Reati in materia di pesca marittima, 33 Reati in materia di difesa del mare, 34 Reati in materia di tutela delle acque dall’inquinamento, 35 Reati in materia di prevenzione e riduzione integrale dell’inquinamento, 36 Reati in materia di utilizzazione di fanghi in agricoltura e 37 Reati in materia di rifiuti); i reati contro l’urbanistica ed il paesaggio (artt. 38 Reati in materia di edilizia, 39 Reati in materia di aree protette e di beni culturali e ambientali). 38 G. Casartelli, La responsabilità degli enti per i reati ambientali, 2010, cit., p. 2, in

penale contemporaneo.

39 A. Scarcella e M. Chilosi, Art. 25 undecies, in La responsabilità amministrativa delle

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impresa e alla criminalità economica, tra cui anche i delitti in materia ambientale.40

Come spesso accade, furono le spinte sovranazionali a costringere il nostro Legislatore a prendere atto della lacuna normativa e a dover “ripensare” l’assetto della parte speciale, che non poteva più permettersi di tralasciare gli illeciti in esame.

La prima tappa del lungo iter che ha portato al d.lgs. 121/2011, è data dalla Convenzione di Strasburgo per la tutela dell’ambiente attraverso il diritto penale, adottata dal Consiglio di Europa in data 4 novembre 1998, la quale disponeva per la prima volta l’introduzione di sanzioni punitive a carico di società per conto delle quali erano stati commessi crimini ambientali41.

Sebbene la Convenzione fu ratificata dalla solo Estonia, essa fu alla base dei successivi interventi in materia da parte della Comunità europea.

Si è giunti così alla approvazione delle due fondamentali direttive sulla tutela penale dell’ambiente (2008/99/CE)42 e sull’inquinamento provocato da navi (2009/123/CE)43, le quali furono attuate mediante il decreto legislativo anzidetto.44

Esse vincolano gli Stati membri a contemplare “sanzioni efficaci proporzionate e dissuasive” nei confronti degli enti, a vantaggio dei quali fossero stati commessi, intenzionalmente o per grave negligenza, una serie di reati ambientali in materia di rifiuti e di inquinamento da navi.45

40 Le motivazioni date dal Legislatore nella relazione di accompagnamento, analizzate nel precedente capitolo, sono ritenute deboli da parte della dottrina: G. Amarelli, I nuovi reati ambientali e la responsabilità degli enti collettivi: una grande aspettativa parzialmente delusa, in Responsabilità da reato degli enti (a cura di R. Borsari), Padova, 2016, p. 352; G. De Simone, La responsabilità da reato degli enti nel sistema sanzionatorio italiano, 2004, in Riv. Tri. Dir. Pen. eco., p. 663.

41 G. Casartelli, La responsabilità degli enti per i reati ambientali, 2010, cit., p. 1, in

penale contemporaneo.

42Pubblicata in G.U.C.E. del 6 dicembre 2008. 43 Pubblicata in G.U.C.E del 27 ottobre 2009.

44 In realtà, il Consiglio d’Europa aveva adottato le decisioni quadro GAI 2003/80 e 2005/67 che proponevano un modello di responsabilità degli enti con specifico riguardo a condotte intenzionali o colpose in violazione di precetti comunitari posti a tutela dell’ambiente. Le decisioni, tuttavia, furono annullate dalla Corte di Giustizia, con le sentenze del 13 settembre 2005, causa C-176/039, e del 23 ottobre 2007, causa C-440/05, per violazione delle competenze riservate alla Commissione europea nel settore della protezione ambientale. Vedi L. Siracusa, La competenza comunitaria in ambito penale al primo banco di prova: la direttiva europea sulla tutela penale dell’ambiente, in RIv. Trim. dir. Pen. eco., 2008, p. 866ss.

45 Per approfondimenti: G. Casartelli, La responsabilità degli enti per i reati ambientali, 2010, cit., p.3ss, in penale contemporaneo; A. Scarcella e M. Chilosi, Art. 25 undecies,

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A seguito di questi provvedimenti il Parlamento italiano ha quindi emanato la legge n. 96 del 201046 - c.d. legge comunitaria 2009 - delegando il Governo al recepimento delle due direttive attraverso un decreto legislativo, con la previsione espressa dell’introduzione nel sistema previsto dal d. lgs. 231/2001 degli illeciti ambientali contemplati dalle stesse.

Nel recepire le direttive, il legislatore ha optato per una selezione delle condotte criminose rilevanti nella materia in questione.

Furono così inserite fattispecie già previste dall’ordinamento penale, in aggiunta a quelle introdotte dalla novella, quali gli artt. 727-bis e 733-

bis c.p.47.

Tuttavia, la selezione effettuata dal Legislatore italiano ha comportato alcune esclusioni eccellenti, alimentando così alcune critiche da parte della dottrina48.

Innanzitutto, l’art. 3 della direttiva 2008/99/CE contempla fattispecie caratterizzate da un evento di danno o di pericolo concreto, intendendo così garantire un livello minimo e comune di protezione penale dell’ambiente, ponendo, quindi, a criterio di selezione delle condotte da sanzionare, le conseguenze dannose o pericolose per gli esseri umani49.

Mentre nel nostro ordinamento la tutela penale ambientale è affidata “ad un sistema di contravvenzioni che nella maggior parte dei casi hanno ad oggetto fattispecie di pericolo astratto”50.

Così facendo, la responsabilità degli enti è limitata ad offese meno rilevanti, rispetto a quanto statuito a livello comunitario, tanto da aver

in La responsabilità amministrativa delle società e degli enti, M. Levis e A. Perini, Bologna, 2014, p. 701ss; L. Siracusa, La competenza comunitaria in ambito penale al primo banco di prova: la direttiva europea sulla tutela penale dell’ambiente, in RIv. Trim. dir. Pen. eco., 2008, p. 872ss.

46Pubblicata in G.U. del 25 giugno 2010.

47 727-bis c.p. (Uccisione, distruzione, cattura, prelievo, detenzione di esemplari di specie animali o vegetali selvatiche protette) mentre l’art. 733-bis c.p. (Distruzione o deterioramento di habitat all’interno di un sito protetto).

48 A. Scarcella e M. Chilosi, Art. 25 undecies, in La responsabilità amministrativa delle

società e degli enti, M. Levis e A. Perini, Bologna, 2014, p. 706ss; G. Amarelli, I nuovi reati ambientali e la responsabilità degli enti collettivi: una grande aspettativa parzialmente delusa, in Responsabilità da reato degli enti (a cura di R. Borsari), Padova, 2016, p. 360ss; C. Ruga Riva, Il decreto legislativo di recepimento delle direttive comunitarie sulla tutela penale ambientale, 2010, p. 13ss, in penale contemporaneo; A. Picillo, La responsabilità da ecoreato degli enti: il criterio di imputazione oggettiva, 2013, p. 14, in Arc. Pen.

49 A. Picillo, La responsabilità da ecoreato degli enti: il criterio di imputazione

oggettiva, 2013, p. 17, in Arc. Pen.

50 A. Scarcella e M. Chilosi, Art. 25 undecies, in La responsabilità amministrativa delle

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indotto il legislatore ad omettere fattispecie particolarmente dannose come ad esempio il c.d. disastro innominato previsto rispettivamente nella sua forma dolosa e colposa dall’art. 434 e dall’art. 449 c.p., e le fattispecie di avvelenamento delle acque destinata all’alimentazione, di cui all’art. 439 e all’art. 452 c.p.51

Altra critica mossa dalla dottrina riguarda l’inserimento nel catalogo di reati esclusivamente dolosi52, nonostante la direttiva richieda espressamente anche la criminalizzazione dei comportamenti posti in essere per grave negligenza.

A tal proposito53 è tuttavia esclusa una possibile violazione della normativa comunitaria, poiché le incriminazioni in questione non sembrano appartenere al novero di quelle imposte dalla direttiva, in quanto sono fattispecie poste a tutela, in via mediata, dell’ambiente, “disegnate secondo lo schema del pericolo astratto, e non concreto come richiesto dalla disciplina comunitaria”54.

Dunque, l’opzione accolta dal Legislatore con il d.lgs. 121/2011, è stata quella limitarsi ad un intervento di semplice trasposizione normativa, preferendo rinviare a data da destinarsi una riforma organica del diritto penale ambientale, maggiormente coerente con le indicazioni che provengono dall’ambito comunitario.

L’art. 25-undecies, ricomprende tra i reati ambientali potenzialmente capaci di impegnare la responsabilità dell’ente: le due fattispecie penali di nuovo conio, entrambe di natura contravvenzionale, quali l’art. 727-bis c.p. - “uccisione, distruzione,

51 “Ciò significava che un processo penale a carico di un ente collettivo poteva essere avviato solo per l’eventuale commissione nel suo interesse o vantaggio di alcuni fatti colposi di minore disvalore, ma non certamente per quelli di maggiore rilevanza e di natura dolosa capaci di produrre un macro-evento dannoso o pericoloso per l’ecosistema (…). Appariva però davvero poco ragionevole che un ente dovesse rispondere di condotte meramente pericolose o rischiose per l’ambiente (…) come lo sversamento di acque o l’immissione di gas al di sopra di limiti tabellari e non invece per quelle effettivamente produttive di un macroevento dannoso per l’ecosistema come l’inquinamento o il disastro ambiente”. Così G. Amarelli, I nuovi reati ambientali e la responsabilità degli enti collettivi: una grande aspettativa parzialmente delusa, in Responsabilità da reato degli enti (a cura di R. Borsari), Padova, 2016, p. 360. Per analisi approfondita C. Ruga Riva, Il decreto legislativo di recepimento delle direttive comunitarie sulla tutela penale ambientale, 2010, p. 13ss.

52 Si pensi agli illeciti previsti agli artt. 258, co. 4 e 260-bis del codice dell’ambiente (falsità legate al certificato di analisi di rifiuti e al trasporto di rifiuti pericolosi) ovvero a quello di cui all’art. 3-bis, co. 1, l. n. 150 del 1992 (assenza o falsificazione per l’importazione di animali).

53 A. Scarcella e M. Chilosi, Art. 25 undecies, in La responsabilità amministrativa delle

società e degli enti, M. Levis e A. Perini, Bologna, 2014, cit., p. 710.

54 A. Picillo, La responsabilità da ecoreato degli enti: il criterio di imputazione

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cattura, prelievo, detenzione di esemplari di specie animali o vegetali selvatiche protette” - e l’art. 733-bis c.p. - “La distruzione o il deterioramento di habitat all’interno di un sito protetto” -; reati ambientali in materia di inquinamento di acque, aria e rifiuti già disciplinati dal c.d. “Testo Unico Ambientale” (d. lgs. 152/2006)55; reati di inquinamento previsti da altre leggi speciali (l. 150/1992; l. 549/1993; d. lgs. 202/2007)56.

Da un lato, l’introduzione della responsabilità degli enti per i reati ambientali è salutata positivamente perché costituisce un primo doveroso passo verso l’adeguamento dell’ordinamento ai precetti europei, caratterizzati dal considerare in modo diretto la tutela dell’ambiente quale una delle priorità della attuale epoca storica.

Dall’altro lato, le aspettative riposte in suddetta normativa si sono rivelate vane.

55 I reati in oggetto, divisi per settore tematico, sono i seguenti: I) in materia di

inquinamento di acque: scarico idrico di sostanze pericolose e in violazione delle prescrizioni contenute nell’autorizzazione (art. 137 commi 2 e 3 d. lgs. 152/2006) nonché dei limiti tabellari per talune sostanze (art. 137 comma 5 primo periodo);scarico idrico in violazione dei limiti tabellari per talune sostanze particolarmente pericolose (art. 137 comma 5 secondo periodo); violazione del divieto di scarico sul suolo, nel sottosuolo o in acque sotterranee (art. 137 comma 11); scarico in acque marine da parte di navi od aeromobili (art. 137 comma 13); II) in materia di rifiuti: gestione abusiva di rifiuti non pericolosi e pericolosi (art. 256 comma 1 lett. a e b);-realizzazione e gestione di discarica abusiva di rifiuti non pericolosi e pericolosi (art. 256 comma 3 primo e secondo periodo); miscelazione di rifiuti (art. 256 comma 5); deposito temporaneo presso il luogo di produzione di rifiuti sanitari pericolosi (art. 256 comma 6); omessa bonifica di sito contaminato da rifiuti non pericolosi (art. 257 comma 1) e pericolosi (art. 257 comma 2); trasporto di rifiuti pericolosi senza formulario e mancata annotazione nel formulario dei dati relativi (art. 258 comma 4 secondo periodo); spedizione illecita di rifiuti (art. 259 comma 1); attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti (art. 260); violazione delle prescrizioni in materia di sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti (Sistri) (art. 260-bis); III) in materia di inquinamento atmosferico: superamento dei valori limite di emissione e dei valori limite di qualità dell’aria previsti dalla normativa di settore (art. 279 comma 5). V. G. Casartelli, La responsabilità degli enti per i reati ambientali, 2010, cit., p. 11, in penale contemporaneo.

56 Si tratta, nello specifico, dei reati di importazione, esportazione, trasporto ed uso illeciti di specie animali e commercio di piante riprodotte artificialmente (art.1 commi 1 e 2 e art. 2 commi 1 e 2, l. 150/1992); falsificazione o alterazione di certificazioni e licenze ed uso di certificazioni e licenze falsi o alterati per l’importazione di animali (art. 3 bis, l. 150/1992); violazione delle disposizioni sull’impiego delle sostanze nocive per lo strato di ozono (art. 3 comma 6 l. 549/1993); sversamento doloso in mare da navi di sostanze inquinanti (art. 8, commi 1 e 2 d. lgs. 202/2007); sversamento colposo in mare da navi di sostanze inquinanti (art. 9 commi 1 e 2 d. lgs. 202/2007). V. G. Casartelli, La responsabilità degli enti per i reati ambientali, 2010, cit., p. 11, in penale contemporaneo.

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In primo luogo, la disciplina prevista dal d.lgs. 121/2011 era limitata a reati ambientali, per così dire, “secondari”, ossia di natura meramente contravvenzionale e colposa in materia di inquinamento idrico ed atmosferico, nonché in materia di rifiuti. Da qui, il limite, visto precedentemente, era quello di non aver incluso nel catalogo dei reati presupposto anche le fattispecie delittuose più gravi di natura codicistica in materia ambientale e di incolumità pubblica.

Difatti, la normativa penale, nonostante l’intervento del 2011, è risultata inadeguata a contrastare i fatti più gravi per l’ecosistema derivanti da fattispecie di danno o di pericolo, focalizzando l’attenzione o su condotte meramente rischiose, oppure sull’introduzione di fattispecie incriminatrici del tutto marginali come quelle di cui agli artt. 727-bis e 733-bis c.p. poste a tutela di specie animali ed habitat naturali protetti.57

A ciò si aggiunge un sistema sanzionatorio imperniato sugli illeciti contravvenzionali, con la conseguenza di un termine prescrizionale assai ridotto rispetto ai delitti. Ebbene, dinanzi a reati, quali sono quelli in materia ambientale, che necessitano di complesse e durevoli indagini in sede processuale, appare difficoltoso far sì che i tre gradi di giudizio possano concludersi prima che scatti la prescrizione.58

L’assenza nel sistema penale di norme idonee a fronteggiare i fenomeni più gravi di contaminazione ambientale ha determinato una sempre maggiore “indebita sostituzione della giurisprudenza al legislatore nell’attività di definizione delle norme incriminatrici.”59

A causa della compresenza di un’inefficacia normativa e l’esigenza di una risposta a livello penale da parte della collettività verso le migliaia di vittime per malattie conseguenti al contatto o all’inalazione di sostanze tossiche, i giudici hanno agito supplendi causa, utilizzando

57 G. Amarelli, La riforma dei reati ambientali: luci ed ombre di un intervento a lungo

atteso, 2015, cit. 3ss, in penale contemporaneo; M. Raimondo, La responsabilità degli enti per i delitti e le contravvenzioni ambientali: godot è arrivato?, 2015, cit. 3ss, in penale contemporaneo.

58 A. Picillo, La responsabilità da ecoreato degli enti: il criterio di imputazione

oggettiva, 2013, cit., p. 18, in Arc. Pen. Per un’analisi positiva della disciplina F. Palazzo, I nuovi reati ambientali: Tra responsabilità degli individui e responsabilità dell’ente, 2018, in Riv. Tri. Dir. Pen. con., p. 330ss; C. Ruga Riva, Il decreto legislativo di recepimento delle direttive comunitarie sulla tutela penale ambientale, 2010, p. 13ss, in penale contemporaneo; M. Raimondo, La responsabilità degli enti per i delitti e le contravvenzioni ambientali: godot è arrivato?, 2015, cit. 14ss, in penale contemporaneo; L. Siracusa, La legge 22 maggio 2015, n. 68 sugli “ecodelitti”: una svolta “quasi epocale” per il diritto penale dell’ambiente, 2015, cit., p. 198, in Riv. Tri. Dir. Pen. con.

59 G. Amarelli, La riforma dei reati ambientali: luci ed ombre di un intervento a lungo

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“alternative esegetiche capaci di sopperire all’inerzia del legislatore (…) poco rispettose delle esigenze garantiste della legalità penale”.60

La assoluta inadeguatezza è ben visibile nella sentenza della Corte di Cassazione, Sezione I, 23 febbraio 2015, n. 7941, Schmidheiny, relativa alla nota e tragica vicenda Eternit.61

Difatti, nei primi gradi di giudizio si è assistito ad una giurisprudenza “creativa”, orientata principalmente a riconoscere prevalenza alla tutela delle vittime piuttosto che al garantismo individuale. Nonostante la Corte di Cassazione abbia riconosciuto “la fondatezza della riconducibilità del macro-evento offensivo derivante dall’esposizione ad amianto alla fattispecie di disastro ambientale”62, nella decisione assolutoria è stata riscontrata l’impossibilità giuridica di giungere ad una sentenza di condanna nel caso di specie, a causa della decorrenza dei termini di prescrizione.

Questo poiché il momento consumativo del delitto di cui all’art. 434, co. 2 c.p., era individuato nella cessazione della condotta, prescindendo dalle morti e lesioni eventualmente causate - dopo anni di latenza - dalle malattie professionali.63

Dunque, per l’assenza nel nostro sistema penale di una norma incriminatrice ad hoc in materia di disastro ambientale, la Corte, posta di fronte “alla scelta drammatica tra diritto e giustizia” non ha potuto

60 G. Amarelli, I nuovi reati ambientali e la responsabilità degli enti collettivi: una

grande aspettativa parzialmente delusa, in Responsabilità da reato degli enti (a cura di R. Borsari), Padova, 2016, cit., p. 363.

61Cass. pen., sez. I, 19 novembre 2014 (dep. 23 febbraio 2015), n. 7941, Pres. Cortese, Est. Di Tomassi, imp. Schmidheiny, con nota di S. Zirulia, Eternit, il disastro

è prescritto. Le motivazioni della cassazione, 2015, in penale contemporaneo. Per

un’attenta, puntuale ed approfondita analisi del caso Eternit si rinvia: A. Gargani,

Esposizione ad amianto e disastro ambientale tra diritto vivente e p rospettive di riforma, 2016, p. 8ss, in www.lalegislazionepenale.eu

62A. Gargani, Esposizione ad amianto e disastro ambientale tra diritto vivente e

prospettive di riforma, 2016, cit., p. 9, in www.lalegislazionepenale.eu

63 Critico A. Gargani, Esposizione ad amianto e disastro ambientale tra diritto

vivente e prospettive di riforma, 2016, cit., p. 9, in www.lalegislazionepenale.eu : ”Se i fatti ricondotti dal diritto vivente al “disastro ambientale” presentano, dunque, una strutturale estraneità rispetto ai requisiti necessari per la configurabilità di un disastro, l’estensione dell’art. 434 Cp alla messa in pericolo della salute di più persone attraverso la prolungata esposizione a sostanze tossiche

diffusenell’ambiente deve, allora, considerarsi un’operazione analogica in malam

partem, con conseguenze inevitabili sugli esiti dei processi. (…) L’eredità, tutta negativa, del processo Eternit si risolve nell’irreversibile perdita d’identità del reato di disastro: da reato di pericolo comune a reato plurioffensivo, “a forma liberissima”.

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far altro che seguire il diritto, dichiarando la prescrizione del reato di disastro innominato previsto dall’art. 434, comma 2 c.p.64

È in suddetto delicatissimo contesto, amplificato dall’esito del processo Eternit, che si inserisce, allo scopo di far fronte alle esigenze di tutela emerse circa la responsabilità delle persone giuridiche in ambito ambientale, la legge 22 maggio 2015, n. 68, “Disposizioni in

materia di delitti contro l’ambiente”.

L’intervento normativo ha inserito all’interno del codice penale il nuovo Titolo VI-bis, “Dei delitti contro l’ambiente”, sancendo così l’ingresso dei “grandi” eco-delitti e la loro inclusione tra i reati presupposto della responsabilità degli enti, nonché l’irrobustimento della risposta punitiva sul terreno del decreto 231.65

È stata così prevista l’introduzione di alcune nuove fattispecie di reato di danno o di pericolo concreto nel corpus codicistico e nell’impianto del decreto 231, necessarie per fronteggiare le macro- lesioni all’ecosistema, precedentemente affrontate dalla giurisprudenza, come anzidetto, attraverso l’interpretazione ed applicazione di fattispecie codicistiche originariamente poste a protezione di altri beni giuridici.66

64 Così il P.G. in Schema della requisitoria pronunciata avanti alla Sezione I penale della

Corte di cassazione nel processo Eternit, 19 novembre 2014, in penale contemporaneo.

65 A. Gargani, Esposizione ad amianto e disastro ambientale tra diritto vivente e

prospettive di riforma, 2016, cit., p. 14, in www.lalegislazionepenale.eu ; G. Amarelli, I nuovi reati ambientali e la responsabilità degli enti collettivi: una grande aspettativa parzialmente delusa, in Responsabilità da reato degli enti (a cura di R. Borsari), Padova, 2016, cit., p. 366; M. Raimondo, La responsabilità degli enti per i delitti e le contravvenzioni ambientali: godot è arrivato?, 2015, cit. 21, in penale contemporaneo; L. Siracusa, La legge 22 maggio 2015, n. 68 sugli “ecodelitti”: una svolta “quasi epocale” per il diritto penale dell’ambiente, 2015, cit., p. 199, in Riv. Tri. Dir. Pen. con.; F. Palazzo, I nuovi reati ambientali Tra responsabilità degli individui e responsabilità dell’ente, 2018, p. 331, in Riv. Tri. Dir. Pen. con.; M. Casellato, Sul criterio oggettivo dell’interesse o vantaggio ai fini dell’imputazione dell’illecito colposo alla persona giuridica. In particolare, la responsabilità da reato ambientale dell’ente ex art.25undecies d.lgs.231/2001, tra criticità attuali ed incertezze future, 2015, p. 48, in Riv. Tri. Dir. Pen. eco.; M. Telesca, Osservazioni sulla L. N. 68/2015 recante “Disposizioni in materia di delitti contro l’ambiente”: ovvero i chiaroscuri di una agognata riforma, 2015, in penale contemporaneo; L. Masera, I nuovi delitti contro l’ambiente, 2015, in penale contemporaneo.

66 M. Casellato, Sul criterio oggettivo dell’interesse o vantaggio ai fini dell’imputazione

dell’illecito colposo alla persona giuridica. In particolare, la responsabilità da reato ambientale dell’ente ex art.25undeciesd.lgs.231/2001, tra criticità attuali ed incertezze future, 2015, cit., p. 48, in Riv. Tri. Dir. Pen. eco.

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Dunque, nell’art. 25-undecies vengono inseriti tra i reati presupposto anche i delitti di disastro67 e di inquinamento ambientale,