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Capitolo IV: La responsabilità dell’ente da reato colposo

2. Il 2007 quale anno della svolta

2.1. L’art 25-septies

Come anticipato, di fronte alle violazioni della normativa antinfortunistica, colpire la singola o le singole persone fisiche, espressione dell’organizzazione, non appariva sufficiente.

Il coinvolgimento della persona giuridica, nelle ipotesi previste dall’art. 25-septies, è ancor più determinante nella realizzazione dell’illecito in ambito lavorativo, il quale sembra costituire la conseguenza più evidente della disorganizzazione aziendale. Difatti,

10 “L’ininterrotta sequenza di decessi in ambito lavorativo non può lasciare indifferenti (…). Il numero delle morti sul lavoro rimane (…) inaccettabile (…) specie se si considera (…) l’oscurità che avvolge il numero delle vittime delle malattie professionali. (…) Per l’anno 2006 l’INAIL ha registrato 927.998 denunce di infortuni (…) quanto al numero degli infortuni sul lavoro determinati da lesioni gravi o gravissime (…) è ragionevole ipotizzare che si tratti di cifre computabili nelle diverse decine di migliaia.” S. Dovere, Osservazioni in tema di attribuzione all’ente collettivo dei reati presupposto dall’art. 25 septies del d.lgs. n. 231/2001, 2008, p. 316ss, in Riv. Tri. Dir. Pen. eco.

11 O. Di Giovine, Sicurezza sul lavoro, malattie professionali e responsabilità degli enti, in Cass. pen., 2009, cit., p.1332.

12 V. Mongillo, Il dovere di adeguata organizzazione della sicurezza tra responsabilità

individuale e responsabilità da reato dell’ente, in Infortuni sul lavoro e doveri di adeguata organizzazione: dalla responsabilità individuale alla «colpa» dell’ente, (a cura di) A. M. Stile, A. Fiorella, V. Mongillo, Napoli, 2014, cit., p. 20.

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l’incidente sul lavoro è collegato ad un agire scoordinato o negligente a livello collettivo, piuttosto che all’imprudenza di un singolo lavoratore. Le potenzialità della disposizione apparivano enormi: da un lato, essa si rivolgeva ad un ambito molto sensibile nelle realtà aziendali, ora di grandi dimensioni, ora medio-piccole. Dall’altro, rendeva auspicabile un concreto incremento dell’applicabilità della disciplina, come dimostrato negli altri Paesi laddove tali reati presupposto rappresentavano la grande maggioranza delle vicende processuali a carico delle società.13

In virtù dell’art. 25-septies, l’ente diviene allora destinatario di doveri di adeguata organizzazione della sicurezza, distinti da quelli delle persone fisiche operanti per suo conto e la cui violazione può comportare, in caso di omicidio o lesione colposa, l’irrogazione non solo di sanzioni pecuniarie, ma anche interdittive particolarmente incisive.

Tuttavia, alcune scelte tecniche e sanzionatorie operate dal legislatore destarono immediatamente alcune perplessità, tanto che la disposizione fu oggetto di modifica attraverso l’art. 300 d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81 (c.d. Testo Unico sulla salute e sicurezza sul lavoro), non senza criticità.

Difatti, una parte della dottrina14 ha sollevato il dubbio dell’illegittimità costituzionale dell’art. 300, d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, dal momento che la delega al governo per il riordino della normativa antinfortunistica era contenuta all’art. 1, l. 3 agosto 2007, n. 123, mentre la previsione dell’introduzione del nuovo art. 25-septies nel corpo del d.lgs. 231/2001 era “esterna” alla delega stessa. Dunque, l’art. 300, riformulando l’art. 25-septies in ordine al trattamento sanzionatorio “originario” previsto, era intervenuto in un ambito di disciplina che non aveva formato oggetto di delega, tanto da evidenziare un fondato sospetto di illegittimità costituzionale per difetto di delega.15

13 Cfr. A. Astrologo, I reati presupposto, in AA.VV. Diritto penale delle società, (a cura di) G. Canzio, L. D. Cerquia, L. Luaparia, I, Lavis (TN), 2014, p.979ss; G. Zanalda, La responsabilità degli enti per gli infortuni sul lavoro prevista dalla legge 3 agosto 2007, n. 123, in Resp. Amm. Soc. ent., n.4, 2007, p. 98. L’A. riporta alcune statistiche relative a Francia e Belgio, attestando come in quest’ultimo su 381 casi di procedimento a carico di soggettivi collettivi il 46.7% è relativo a reati concernenti la sicurezza in ambito lavorativo, il 13,5% riguarda il diritto ambientale, il 9,3% il diritto fiscale, il 7,7% il diritto commerciale, il 7,1% i reati relativi al codice penale.

14 E. Amati, La responsabilità degli enti alla luce del Testo Unico in materia di salute e

sicurezza sul lavoro, in Crit. Dir., 2007, p. 145; O. Di Giovine, Sicurezza sul lavoro, malattie professionali e responsabilità degli enti, in Cass. Pen., 2009, p. 418

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Già il testo originario dell’art. 25-septies aveva suscitato alcune problematicità in ordine al modus operandi adottato.

In primo luogo, aveva destato dubbi la portata applicativa della norma, poiché aveva limitato la responsabilità degli enti al solo omicidio colposo e alle lesioni gravi o gravissime, lasciando escluse le lesioni lievi di cui all'art. 590 c.p.

Ma il punto più discusso è rappresentato dalla mancata corrispondenza della norma e il rinvio in essa contenuto all’articolo 590, comma 3, c.p.16

Tale disposizione, infatti, prevede una circostanza aggravante per le lesioni gravi o gravissime, commesse in violazione soltanto delle norme “per la prevenzione degli infortuni” senza alcun riferimento a quelle per l’igiene e la salute sul lavoro, come contenuto nell’art. 25-septies, specificatamente dettate per le malattie professionali.17

Da questo si poteva dedurre che la responsabilità degli enti fosse esclusa in caso di lesioni gravi e gravissime derivanti da malattia professionale.

Per aggirare l’ostacolo, l’interpretazione giurisprudenziale ha fatto ricorso alla nozione di malattia-infortunio18, utilizzata per “forzare gli argini della legalità e allargare l’area della responsabilità”19, secondo cui le lesioni colpose aggravate, cosi come l’omicidio colposo aggravato,

16 Cfr. A. Gargani, Delitti colposi commessi con violazione delle norme sulla tutela della

sicurezza sul lavoro: responsabile “per definizione” la persona giuridica?, in AA.VV., Studi in onore di Mario Romano, (a cura di) M. Bertolino, L. Eusebi, G. Forti, III, Napoli, 2011, p. 1950; L. Della Ragione, Responsabilità da reato degli enti e sicurezza sul lavoro: profili problematici in tema di delitti colposi di evento, in Giu. Pen., 2011, p. 303; N. Valiani, La responsabilità degli enti ex art. 25 septies D.lgs. 231/2001 e il “Corporate Manslaughter and Corporate Homicide Act” del 2007, in La tutela penale della sicurezza del lavoro Luci e ombre del diritto vivente, (a cura di) G. Casaroli, F. Giunta, R. Guerrini, A. Melchionda, Pisa, 2015, p. 260; R. Guerrini, Le modifiche al decreto legislativo 8 giugno 2001, n.231, in Il nuovo diritto penale della sicurezza nei luoghi di lavoro (a cura di) F. Giunta e D. Micheletti, Milano, 2010, p. 137ss.

17 F. D’Arcangelo, La responsabilità da reato degli enti per gli infortuni sul lavoro, in

Resp. amm. soc. enti, 2008, p. 77 ss.

18 “la sindrome morbosa insorta in esecuzione di lavoro e prodotta da agenti esterni di varia natura (elettrica, radioattiva, chimica) evitabile con determinati accorgimenti” in Cass. Pen., sez. I, 20 novembre 1998, in Ced n. 212202-3 con commento di Mantovani, in Dir. pen. proc., 1999, p. 293 ss

19 A. Gargani, Delitti colposi commessi con violazione delle norme sulla tutela della

sicurezza sul lavoro: responsabile “per definizione” la persona giuridica?, in AA.VV., Studi in onore di Mario Romano, (a cura di) M. Bertolino, L. Eusebi, G. Forti, III, Napoli, 2011, cit., p. 1951.

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“concernerebbero la violazione della normativa antinfortunistica, ma anche di prevenzione delle malattie professionali”20.

Si tratterebbe di una scelta criticabile sulla scorta del “lex ubi voluit

dixit, ubi noluit, tacuit”, poiché una differenziazione tra le due

fattispecie è espressamente prevista all’ultimo comma dell’art. 590 c.p., in tema di procedibilità21.

L’opzione preferibile sarebbe stata quella di richiamare non il comma terzo dell’art. 590 c.p., bensì il comma secondo, che “segnala

tout court le ipotesi di lesioni gravi e gravissime”22.

Tuttavia, i reati di omicidio e di lesione gravi e gravissime che possono dar luogo alla responsabilità degli enti, sono “quelli definiti dall’articolo 25-septies d.lgs. 231/2001 e precisamente riassunti già nella relativa rubrica”23. A tale conclusione inducono le modifiche operate dal d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, laddove è stato eliminato il riferimento all’igiene e salute sul lavoro, ancorando così i nuovi reati presupposto all’inosservanza delle regole precauzionali previste dal Testo unico in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro e alle norme antinfortunistiche.24

In secondo luogo, la riforma del 2008 non ha dato ascolto alle critiche mosse contro il limitato ambito applicativo della responsabilità degli enti ai soli delitti colposi, escludendo ogni atteggiamento diverso dalla colpa25, lasciando fuori dal d.lgs. 231/2001 sia le contravvenzioni,

20 L. Della Ragione, Responsabilità da reato degli enti e sicurezza sul lavoro: profili

problematici in tema di delitti colposi di evento, in Giu. Pen., 2011, cit., p. 303.

21 Per approfondimenti sul tema della procedibilità si rinvia a G. De Vero, La

responsabilità penale delle persone giuridiche, Milano, 2008, p. 278ss.

22 G. De Vero, La responsabilità penale delle persone giuridiche, Milano, 2008, cit., p. 278.

23 G. De Vero, La responsabilità penale delle persone giuridiche, Milano, 2008, cit., p. 278.

24 “Rimarrebbe (…) da chiarire per quale ragione in tema di omicidio, l’art. 25-septies rinvia alla fattispecie base, includendo (…) le ipotesi di omicidio commesso con violazione delle norme sulla salute del lavoro, mentre (…) sul versante delle lesioni – anche nella seconda formulazione della disposizione in esame, ex art. 300, d.lgs. n. 81/2008 – ci si collega alle fattispecie circostanziate di cui all’art. 590, co. 3, c.p. Il legittimo sospetto che una simile dilatazione possa rivelarsi in contrasto con l’intento selettivo del legislatore (…) viene considerato come la sopravvalutazione di una trascurabile differenza di disciplina. (…) è sintomatica della diffusa tendenza a considerare la disciplina della responsabilità dell’ente un quid minoris, (…) diversamente soggetta ai tradizionali principi di garanzia”. Critico A. Gargani, Delitti colposi commessi con violazione delle norme sulla tutela della sicurezza sul lavoro: responsabile “per definizione” la persona giuridica?, in AA.VV., Studi in onore di Mario Romano, (a cura di) M. Bertolino, L. Eusebi, G. Forti, III, Napoli, 2011, cit., p. 1951.

25 L. Della Ragione, Responsabilità da reato degli enti e sicurezza sul lavoro: profili

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in gran parte contenute nel Testo unico26, sia i delitti contro l’incolumità pubblica specificamente orientati all’ambito prevenzionistico (art. 437 c.p. e art. 451 c.p.)27.

Una limitazione che si rivela significativa nel contesto delle morti cagionate nell’ambito dello svolgimento di attività lavorative, soprattutto in casi di “scivolamento” della colpa verso forme di dolo eventuale. Si pensi al datore di lavoro che violi consapevolmente le norme di sicurezza, facendo sorgere un rischio elevato di verificazione dell’evento morte o lesione, di cui non solo prevede la realizzazione, bensì finisce per accettarla come conseguenza della sua condotta.28

In ultimo, il problema legato alla compatibilità dei reati di omicidio colposo e lesioni gravi o gravissime, commesse in violazione della normativa antinfortunistica, con il criterio oggettivo di imputazione del reato all’ente e cioè il requisito dell’interesse o vantaggio.

Esso rappresenta la criticità principale e sarà oggetto di approfondita analisi nei paragrafi successivi.

Riguardo al trattamento sanzionatorio, originariamente l’art. 25-

septies prevedeva, in caso di realizzazione dei delitti di omicidio colposo

o lesioni gravi o gravissime poste in essere in violazione della normativa antinfortunistica, l’irrogazione all’ente di una sanzione pecuniaria non inferiore a mille quote; inoltre, in caso di condanna per uno di questi reati, dovevano essere applicate anche le sanzioni interdittive previste dall'art. 9, comma 2 d.lgs. 231/2001 per una durata non inferiore a tre mesi e non superiore ad un anno.

26 Sul punto G. Amarelli, Le ipotesi estintive delle contravvenzioni in materia di

sicurezza del lavoro, Napoli, 2008, p. 58ss.

27 N. Valiani, La responsabilità degli enti ex art. 25 septies D.lgs. 231/2001 e il

“Corporate Manslaughter and Corporate Homicide Act” del 2007, in La tutela penale della sicurezza del lavoro Luci e ombre del diritto vivente, (a cura di) G. Casaroli, F. Giunta, R. Guerrini, A. Melchionda, Pisa, 2015, p. 260.

28 Sul punto, si pensi ad esempio al caso Thyssen-Krupp: in seguito al tragico rogo avvenuto all’interno dello stabilimento di Torino in cui morirono sette persone, i Giudici di primo grado (Corte d’Assise Torino, sez. II, 14 novembre 2011, n. 31095) hanno condannato per omicidio doloso nella forma del dolo eventuale l’amministratore delegato della struttura, poi riformata in sede di appello a colpa cosciente. Se nell’accaduto fosse stata dimostrata l’esclusiva responsabilità di quest’ultimo, non sarebbe stato assolutamente possibile condannare la società sulla base dell’art. 25-septies non essendo appunto l’omicidio doloso ricompreso nella previsione dello stesso. La condanna dell’ente è comunque sopraggiunta, avendo i Giudici preso in considerazione il comportamento di altri cinque amministratori della società, condannati a loro volta tutti per omicidio colposo. L. Della Ragione, Responsabilità da reato degli enti e sicurezza sul lavoro: profili problematici in tema di delitti colposi di evento, in Giu. Pen., 2011, p. 303.

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In merito al contenuto della disposizione sono state avanzate critiche sia in relazione alle sanzioni interdittive, sia in relazione a quelle pecuniarie.29

Nel primo caso, le perplessità riguardavano il fatto che non era prevista alcuna gradualità, lasciando quindi piena discrezionalità al giudice, il quale avrebbe potuto applicare all'ente, in presenza di un omicidio o di una lesione grave o gravissima commessi con violazione della normativa antinfortunistica, tutte le sanzioni interdittive previste dall'art. 9, comma 2 d.lgs. 231/2001; questo perché il Legislatore si era semplicemente limitato a fare rinvio all'articolo, senza escludere l’irrogazione di alcune di esse.30

Tuttavia, le previsioni di cui agli artt. 13 e 14 del d.lgs. 231/2001, individuano i criteri di scelta ed applicazione delle sanzioni interdittive e indirizzano l’operato del giudice, che dovrà calibrare la sanzione al caso concreto.

Nel secondo caso, le perplessità riguardavano il fatto che la sanzione pecuniaria non potesse essere inferiore a mille quote. In questo modo, il Legislatore si era limitato ad indicare solo il minimo della pena applicabile e non il massimo; così facendo qualsiasi infortunio sul lavoro rientrante nell’illecito presupposto, imponeva l’irrogazione di una sanzione pecuniaria particolarmente ingente, senza alcuna flessibilità. Le critiche mosse all’art. 25-septies ruotavano attorno alla mancata graduazione del trattamento sanzionatorio: ciò si evince mettendo a confronto quanto previsto dall'articolo appena richiamato e quanto disposto dall’art. 10 d.lgs. 231/2001, con riferimento al trattamento sanzionatorio applicabile all'ente.31

L'art. 10, al secondo comma, prevede che la sanzione pecuniaria venga applicata per quote in un numero non inferiore a cento né superiore a mille. Confrontando le due disposizioni sopracitate, si nota come il minimo di pena previsto dall'art. 25-septies, coincida con il massimo di pena applicabile all'ente, previsto dall'art. 10.

29 N. Valiani, La responsabilità degli enti ex art. 25 septies D.lgs. 231/2001 e il

“Corporate Manslaughter and Corporate Homicide Act” del 2007, in La tutela penale della sicurezza del lavoro Luci e ombre del diritto vivente, (a cura di) G. Casaroli, F. Giunta, R. Guerrini, A. Melchionda, Pisa, 2015, p. 260.

30 G. Zanalda, La responsabilità degli enti per infortuni sul lavoro, prevista dalla legge

3 agosto 2007, n, 123, in Resp. amm. soc., 2007, p. 101; R. Guerrini, Le modifiche al decreto legislativo 8 giugno 2001, n.231, in Il nuovo diritto penale della sicurezza nei luoghi di lavoro (a cura di) F. Giunta e D. Micheletti, Milano, 2010, p. 164.

31 R. Guerrini, Le modifiche al decreto legislativo 8 giugno 2001, n.231, in Il nuovo

diritto penale della sicurezza nei luoghi di lavoro (a cura di) F. Giunta e D. Micheletti, Milano, 2010, p. 160.

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Pertanto, il minimo e il massimo di pena coincidono in relazione ai reati di omicidio colposo o lesioni gravi o gravissime commessi in violazione della normativa antinfortunistica.

Quindi il giudice, in sede processuale, in relazione a tutte le ipotesi di illeciti previsti dall’art. 25-septies, era costretto ad applicare solo una pena fissa di 1000 quote, non avendo la possibilità di scendere al di sotto di questa, senza potersi soffermare né sulle modalità della condotta, né sugli eventi lesivi, creando così un distinguo tra omicidio e lesioni.32

A tal proposito, basti ricordare la sentenza n. 50 del 1980 della Corte Costituzionale in cui fu affermato come “in linea di principio, previsioni sanzionatorie fisse non appaiono in armonia con il volto costituzionale del sistema penale”.33

In conclusione, in ordine al trattamento sanzionatorio sono sorti alcuni dubbi di legittimità costituzionale in virtù del fatto che reati caratterizzati da un disvalore diverso, quali appunto l'omicidio colposo e le lesioni gravi o gravissime, finivano per essere puniti allo stesso modo.

Al fine di porre rimedio a queste criticità, il Legislatore ha riscritto l'art. 25-septies attraverso l'art. 300 d.lgs. n.81/2008, introducendo una gradazione del carico sanzionatorio a seconda della diversa tipologia e del differente disvalore del reato presupposto.34

Il “nuovo” art. 25-septies35 prevede tre diverse ipotesi di illecito,

caratterizzate da un decrescente grado di offensività, distintein base al

32 N. Valiani, La responsabilità degli enti ex art. 25 septies D.lgs. 231/2001 e il

“Corporate Manslaughter and Corporate Homicide Act” del 2007, in La tutela penale della sicurezza del lavoro Luci e ombre del diritto vivente, (a cura di) G. Casaroli, F. Giunta, R. Guerrini, A. Melchionda, Pisa, 2015, p. 260.

33 C. cost. 2.4.1980, n. 50, in www.giurcost.org; per approfondimenti, G. Leo,

Automatismi sanzionatori e principi costituzionali, 2014, in penale contemporaneo.

34 Cfr. R. Guerrini, Le modifiche al decreto legislativo 8 giugno 2001, n.231, in Il nuovo

diritto penale della sicurezza nei luoghi di lavoro (a cura di) F. Giunta e D. Micheletti, Milano, 2010, p. 160ss; P. Aldrovandi, La responsabilità amministrativa degli enti per i reati in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro alla luce del d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, 2009, p. 526ss, in Ind. Pen.

35 Art. 25-septies: “1. In relazione al delitto di cui all’articolo 589 del codice penale, commesso con violazione dell’articolo 55, comma 2, del decreto legislativo attuativo della delega di cui alla legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di salute e sicurezza sul lavoro, si applica una sanzione pecuniaria in misura pari a 1.000 quote. Nel caso di condanna per il delitto di cui al precedente periodo si applicano le sanzioni interdittive di cui all’articolo 9, comma 2, per una durata non inferiore a tre mesi e non superiore ad un anno.

2. Salvo quanto previsto dal comma 1, in relazione al delitto di cui all’articolo 589 del codice penale, commesso con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro, si applica una sanzione pecuniaria in misura non inferiore a 250

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reato presupposto, al contesto nel quale si è verificato e alla specificità della norma cautelare violata.

La prima ipotesi, la più grave, prevista dal primo comma, è quella dell’omicidio colposo commesso con violazione dell’articolo 55, comma 2, d.lgs. 81/2008, a cui corrisponde la risposta sanzionatoria più incisiva, ossia una sanzione pecuniaria pari a mille quote e sanzioni interdittive di cui all’art. 9, comma 2, d.lgs. 231/2001, da tre mesi ad un anno.

L’addebito indicato dall’art. 55 d.lgs. n.81/2008, è previsto dall’espresso rinvio all’art. 29, comma 1, del Testo unico sulla sicurezza, il quale prevede l’obbligo indelegabile per il datore di lavoro di effettuare la valutazione ed elaborare il documento di cui all’art. 17, comma 1, lett. a), ossia il documento di valutazione dei rischi.

La norma trova applicazione solo nell’ambito di particolari complessi produttivi considerati a maggior rischio, riconducibili in tre categorie.

In primo luogo, quelle indicate tassativamente dall’art. 31, comma 6, d.lgs. 81/2008, ossia aziende esposte a particolare rischio incendi; centrali termoelettriche; impianti soggetti a radiazioni ionizzanti; aziende per la fabbricazione ed il deposito di esplosivi, polveri e munizioni; industrie estrattive con oltre 50 lavoratori; strutture di ricovero pubbliche e private con oltre 50 lavoratori.

In secondo luogo, nelle aziende in cui si svolgono attività che espongono i lavoratori a rischi biologici da atmosfere esplosive, cancerogeni mutageni, e da attività di manutenzione, rimozione smaltimento e bonifica di amianto.

In terzo luogo, nelle attività edili o di ingegneria civile svolte nei cantieri temporanei o mobili caratterizzate dalla compresenza di più imprese e la cui entità presunta di lavoro non sia inferiore a 200 uomini- giorno.

Si tratta di contesti lavorativi altamente pericolosi, nei quali il corretto adempimento degli obblighi relativi alla prevenzione degli infortuni, in primis quello relativo alla valutazione di tutti i rischi connessi all’attività svolta, diviene fondamentale.

quote e non superiore a 500 quote. Nel caso di condanna per il delitto di cui al precedente periodo si applicano le sanzioni interdittive di cui all’articolo 9, comma 2, per una durata non inferiore a tre mesi e non superiore ad un anno.

3. In relazione al delitto di cui all’articolo 590, terzo comma, del codice penale, commesso con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro, si applica una sanzione pecuniaria in misura non superiore a 250 quote. Nel caso di condanna per il delitto di cui al precedente periodo si applicano le sanzioni interdittive di cui all’articolo 9, comma 2, per una rata non superiore a sei mesi.”

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Pertanto, il primo comma dell’art. 25-septies punisce l’omicidio colposo derivato dalla violazione dei sopracitati obblighi e dal difetto di redazione del documento, descritto agli artt. 28 e 29 d.lgs. 81/2008, in riferimento ad aziende caratterizzate da un elevato rischio, o per attività cantieristiche di rilevanti dimensioni in cui vi è la presenza di più imprese.

L’omicidio, dunque, deve essere causalmente riconducibile alla mancata valutazione dei rischi e all’omessa redazione del relativo documento.36

Il rinvio all’art. 29, comma 1, contenuto nell’art. 55, comma 2, d.lgs. 81/2008, a cui fa riferimento il primo comma dell’art. 25-septies, ha sollevato alcuni dubbi interpretativi; in particolare, non è chiaro se rilevi soltanto l’omessa valutazione dei rischi e l’omessa predisposizione del relativo documento, o anche l’adozione di quest’ultimo in mancanza