• Non ci sono risultati.

Pur con la consapevolezza di non poter essere esaustivi, nell’analisi della Direttiva 2000/78/CE del Consiglio d’Europa, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro

e M. Bonini Baraldi, “La pensione di reversibilità al convivente registrato dello stesso sesso: prima

applicazione positiva della direttiva 2000/78/CE”, in

www.europeanrights.eu/index.php?funzione=S&op=5&id=134. 245

Per un ulteriore approfondimento del valore giuridico della Carta di Nizza nel Trattato di Lisbona, si veda J. Ziller, Il nuovo Trattato europeo, Il Mulino, Bologna, 2007, pp. 135 e ss.

246

In tal senso, cfr. M. Cartabia, “I diritti fondamentali e la cittadinanza dell’Unione”, in Quaderni di

Astrid:.Le nuove istituzioni europee, Commento al Trattato di Lisbona, F. Bassanini-G. Tiberi (a cura di ),

106

generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, pare comunque opportuno rilevare alcuni aspetti significativi, soprattutto tenendo presente che per mezzo della direttiva in commento, molti Paesi hanno per la prima volta introdotto nei propri ordinamenti giuridici il divieto di discriminazione fondato sull’orientamento sessuale, nell’ambito del lavoro.

La Direttiva 2000/78/CE che, come sopra rilevato, dà attuazione all’art. 13 del Trattato di Amsterdam, ha come obiettivo quello di “stabilire un quadro generale per la lotta alle discriminazioni fondate sulla religione o le convinzioni personali, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali, per quanto concerne l’occupazione e le condizioni di lavoro al fine di rendere effettivo negli Stati membri il principio della parità di trattamento”. Per quanto concerne il campo di applicazione, si includono le seguenti aree: condizioni di accesso all’occupazione e al lavoro, compresi i criteri di selezione; condizioni di assunzione; promozioni, orientamento e formazione professionale; perfezionamento e riqualificazione professionale, compresi i tirocini professionali; occupazione e condizioni di lavoro, comprese quelle relative al licenziamento e alla retribuzione e affiliazione e attività di un’organizzazione di lavoratori o datori di lavoro. Si osserva che gli esempi più ovvi di discriminazione, soprattutto in riferimento all’orientamento sessuale, si verificano nell’ambito del licenziamento e della remunerazione, nonché nell’accesso all’impiego, e per tali ragioni sono stati inclusi nell’ampio ambito di applicazione contemplato all’art. 3 della Direttiva. A tal proposito si ricorda che già la Corte Europea dei diritti dell’uomo aveva stabilito, nella sentenza Lustig-Prean e

Beckett247, che le indagini del datore di lavoro circa l’orientamento sessuale di un

dipendente costituiscono una violazione dell’art. 8 della CEDU.

La direttiva in commento stabilisce, inoltre, che per “principio della parità di trattamento” si debba intendere l’assenza di qualsiasi discriminazione diretta o indiretta basata su uno dei motivi previsti all’art. 1. Come disposto all’art. 2, “sussiste una discriminazione diretta quando, sulla base di uno dei motivi di cui all’art. 1, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un’altra in una

247 Sentenza del 27 settembre 1999, Lustig-Prean e Beckett c. Regno Unito, della Corte europea dei diritti

107

situazione analoga”. Come rilevato in dottrina248, un esempio di discriminazione diretta fondato sull’orientamento sessuale è evincibile chiaramente nella condotta seguita dall’impresa South-West TRains Ltd contro la signora Grant, sopra menzionata. Sussiste una discriminazione indiretta “quando una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente neutri possono mettere in una posizione di particolare svantaggio le persone che professano una determinata religione o ideologia di altra natura, le persone portatrici di un particolare handicap, le persone di una particolare età o di una particolare tendenza sessuale, rispetto ad altre persone”; si ha, ad esempio, una discriminazione indiretta quando i lavoratori con un determinato orientamento sono sistematicamente trattati in modo pregiudiziale in uno degli ambiti materiali individuati all’art. 3 della Direttiva.

Si sottolinea un ulteriore importante aspetto della Direttiva 2000/78 concernente l’inclusione della molestia nella nozione di discriminazione; in particolare, all’art. 2 par. 3, si afferma che: “le molestie sono da considerarsi una discriminazione in caso di comportamento adottato per uno dei motivi di cui all’art. 1 avente lo scopo e l’effetto di violare la dignità di una persona e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante od offensivo…). Come osservato in dottrina, tale aspetto, consente di definire un’adeguata protezione giuridica integrale allo scopo di impedire la discriminazione a causa dell’orientamento sessuale, nel luogo di lavoro che, nei Paesi europei costituisce un fenomeno in tendenziale crescita249.

Tra le misure di esecuzione e di ricorso volte a tutelare le persone omosessuali ed a rimuovere eventuali discriminazioni, assumono particolare rilevanza le azioni positive e le misure specifiche, di cui all’art. 7, volte ad assicurare completa parità nella vita professionale, dunque, non impedendo allo Stato membro di adottare o mantenere misure specifiche dirette ad evitare o compensare svantaggi correlati alle discriminazioni vietate nella direttiva stessa; od ancora, l’alleggerimento dell’onere della prova a carico del soggetto colpito250. Si attribuisce, altresì, un ruolo rilevante al

248

Si veda C. Chartegui Jàvega, “La direttiva 2000/78/Ce e il principio di non discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale nel diritto comunitario… cit., p. 63.

249 Ibidem, p. 64.

250 In riferimento ai mezzi di ricorso e di esecuzione, in particolare per quanto concerne ‘l’onere della

108

‘dialogo sociale’ (art. 13.1) tra le parti sociali al fine di promuovere il principio di parità di trattamento, tra l’altro attraverso il monitoraggio delle prassi nei luoghi di lavoro, i contratti collettivi, i codici di comportamento e le ricerche o gli scambi di esperienze e di buone pratiche.

Infine, non può non rilevarsi un aspetto della direttiva in commento che ha sollevato alcune perplessità, in specie con riguardo al principio di parità di trattamento nei casi di un determinato orientamento sessuale. Si tratta della previsione contenuta all’art. 4, par. 1 della direttiva, dove si afferma che “fatto salvo l’art. 2, par. 1 e 2, gli Stati membri possono stabilire che una differenza di trattamento basata su una caratteristica correlata a uno qualunque dei motivi di cui all’art. 1 non costituisca discriminazione laddove, per la natura di un’attività lavorativa o per il contesto in cui essa viene espletata, tale caratteristica costituisca un requisito essenziale e determinante per lo svolgimento dell’attività lavorativa, purché la finalità sia legittima e il requisito proporzionato”. Come già sottolineato251, pare che tale disposizione sia stata introdotta per porre un’eccezione al principio di parità di trattamento nei casi in cui la religione o le convinzioni personali del lavoratore siano incompatibili con l’etica dell’organizzazione in cui questo esercita le proprie funzioni; tuttavia, non può escludersi preventivamente che nel caso in cui ci si trovi dinanzi a funzioni lavorative che presuppongono la condivisione dell’ideologia, un lavoratore omosessuale non possa possedere le qualificazioni professionali richieste per il corretto svolgimento delle sue funzioni nelle organizzazioni ideologiche o di tendenza. Ancora una volta sembra perdersi di vista il concetto di orientamento sessuale, inteso come libertà dell’individuo di scegliere la forma in cui desidera vivere la sua affettività e la propria sessualità, espressione del libero sviluppo della personalità e dunque inerente alla dignità della persona stessa. Per tali motivi l’orientamento sessuale non dovrebbe essere preso in considerazione nell’ambito di accesso al lavoro.

prendono le misure necessarie, conformemente ai loro sistemi giudiziari nazionali, per assicurare che, allorché persone che si ritengono lese dalla mancata applicazione nei loro riguardi del principio della parità di trattamento espongono, dinnanzi a un tribunale o un’altra autorità competente, fatti dai quali si può presumere che vi sia stata una discriminazione diretta o indiretta, incomba alla parte convenuta provare che non vi è stata violazione del principio di parità di trattamento”.

251 Cfr. M. Bonini Baraldi, La discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale nell’impiego e nell’occupazione: esempi concreti ed aspetti problematici… cit., p. 8.

109

Resta da verificare ora, la modalità di recepimento della Direttiva 2000/78/CE, nell’ordinamento nazionale, esaminando, seppur sinteticamente, alcune delle disposizioni del decreto legislativo n. 216 del 2003 in relazione alla parità di trattamento indipendentemente dall’orientamento sessuale.

Outline

Documenti correlati