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3. ASPETTI METABOLICI COMUNI

3.3. PROFILO LIPIDICO

3.3.1. Il profilo lipidico nella tiroidite di Hashimoto

Le pazienti affette da tiroidite di Hashimoto, in particolare quelle con ridotta funzionalità tiroidea, tendono ad avere un profilo lipidico pro-aterogeno, caratterizzato da concentrazioni elevate di trigliceridi, colesterolo totale e colesterolo LDL (Rizos et al., 2011). Uno studio condotto presso la Mayo Clinic su 295 pazienti affetti da ipotiroidismo conclamato ha rivelato che il 56% soffriva di ipercolesterolemia e un ulteriore 34% di ipercolesterolemia più ipertrigliceridemia, mentre solamente l’8,6% era esente da dislipidemie (Duntas & Brenta, 2016).

L’ipotiroidismo subclinico è associato ad aumenti del colesterolo totale e LDL e, secondo alcuni studi, anche a incremento dei trigliceridi e riduzione delle HDL (Rizos et al., 2011); le alterazioni lipidiche sembrano essere particolarmente evidenti nei pazienti con TSH maggiore di 10 mIU/L. Comunque, un’indagine condotta su oltre 30 mila norvegesi ha dimostrato che un aumento costante e significativo dei trigliceridi e del colesterolo totale, LDL e non HDL si verifica all’aumentare del TSH anche all’interno del range della normalità, nello specifico tra le 0,50 e le 3,5 mIU/L (Åsvold et al., 2007b). La ridotta funzionalità tiroidea può inoltre essere associata ad un’aumentata ossidazione delle LDL, ad un aumentato rischio di iperlipemia postprandiale e alla maggiore persistenza in circolo di lipoproteine remnants altamente aterogene (Duntas & Brenta, 2016).

Gli ormoni tiroidei sono tra i più importarti regolatori del metabolismo del colesterolo e la loro funzione primaria consiste nell’amplificare l’espressione dei recettori per le LDL, sia direttamente che mediante l’up-regolazione del fattore di trascrizione SREBP-2. Nei pazienti con ridotta funzionalità tiroidea il numero dei recettori per le LDL diminuisce, limitando la capacità delle cellule di internalizzare le LDL e le IDL circolanti; di conseguenza, il colesterolo tende ad accumularsi nel plasma

(Rizos et al., 2011). Gli ormoni tiroidei, inoltre, stimolano l’enzima epatico CYP7A1, che catalizza lo step limitante della conversione del colesterolo in acidi biliari. Nei soggetti ipotiroidei questa via metabolica fondamentale per la clearance del colesterolo risulta inibita e il fegato, non potendo disfarsi del colesterolo in eccesso, lo riversa in circolo esacerbando il problema (Duntas & Brenta, 2016). La diminuita attività della HMG-CoA reduttasi, l’enzima che dà inizio alla sintesi endogena del colesterolo e che gli ormoni tiroidei up-regolano agendo su SREBP-2, non è sufficiente a controbilanciare la ridotta clearance e il risultato netto è l’aumento della colesterolemia (Duntas & Brenta, 2018). Per giunta, alcuni studi hanno recentemente evidenziato che il TSH, interagendo con il proprio recettore sugli epatociti, può amplificare l’espressione dell’HMG-CoA reduttasi e prevenirne la fosforilazione inibitoria, attenuando (potenzialmente) gli effetti della carenza di T3 (Zhang et al., 2015).

Dai risultati di diversi studi effettuati sia in vitro che in vivo emerge un possibile ruolo degli ormoni tiroidei anche nella prevenzione dell’ossidazione delle LDL, un fenomeno che rendendole più suscettibili alla fagocitosi da parte dei macrofagi ne aumenta l’aterogenicità. In particolare, uno studio ha rivelato che le LDL dei pazienti ipotiroidei sono meno resistenti all’ossidazione e contengono un numero di dieni superiore al normale; in seguito alla terapia sostitutiva con LT4 e al ripristino dell’eutireosi la resistenza all’ossidazione si normalizzava e il contenuto di dieni si riduceva. L’effetto sembra essere legato all’interazione di T3 e T4 con l’apolipoproteina B (ApoB), la principale componente proteica delle LDL (Diekman et al., 1998).

Nell’ipotiroidismo si assiste spesso anche a un incremento della concentrazione plasmatica di trigliceridi, legato da una parte all’aumentata lipogenesi epatica e dall’altra alla ridotta attività delle lipasi sia nel fegato che in periferia. Gli ormoni tiroidei stimolano contemporaneamente sia processi che tendono ad incrementare il contenuto intracellulare di trigliceridi, come l’uptake degli acidi grassi e la de novo lipogenesi, sia processi che tendono a ridurlo, come la ß-ossidazione mitocondriale e la lipofagia (che consiste nella “digestione” di goccioline lipidiche da parte dei perossisomi). Inoltre la T3 può inibire la produzione dell’apolipoproteina B100, un componente fondamentale di LDL e VLDL, e livelli elevati di TSH sembrano amplificare la lipogenesi up-regolando SREBP-1c. In caso di ridotta funzionalità tiroidea l’effetto netto è un aumento del

contenuto intra-epatico di trigliceridi, che si accompagna sia ad un rischio accentuato di sviluppare la NAFLD sia ad un incremento della produzione e secrezione di VLDL ricche di trigliceridi nel circolo sanguigno (Sinha et al., 2018).

Gli ormoni tiroidei amplificano l’attività della lipoproteina lipasi (LPL), un enzima presente nell’endotelio di cuore, muscolo scheletrico e tessuto adiposo che ha il compito di idrolizzare i trigliceridi trasportati dalle VLDL trasformandole in VLDL- remnants prima e in IDL poi. Le IDL verranno successivamente endocitate dal fegato grazie al legame con il recettore per le LDL oppure ulteriormente “spogliate” di trigliceridi e convertite in LDL dalla lipasi epatica, che è anch’essa up-regolata dalla T3. La ridotta attività delle lipasi nell’ipotiroidismo può contribuire significativamente all’ipertrigliceridemia, ma anche all’iperlipemia postprandiale e all’aterosclerosi (Duntas & Brenta, 2018).

Nel 2006, dei ricercatori turchi hanno dimostrato che la somministrazione di un pasto ad alto contenuto di lipidi provocava iperlipemia postprandiale, ovvero un incremento della concentrazione plasmatica di trigliceridi uguale o superiore all’80% rispetto al baseline entro 4-6 ore, nel 79% dei pazienti con ipotiroidismo conclamato, nel 67% dei pazienti con ipotiroidismo subclinico e nel 27% dei controlli sani. Nel complesso, i soggetti con TSH superiore a 5 mIU/L avevano un rischio 7 volte maggiore di sviluppare iperlipemia postprandiale (Tanaci et al., 2006). L’eccessivo aumento dei trigliceridi dopo il pasto sembra essere dovuto in larga misura all’accumulo di chilomicroni e chilomicroni remnants e, in misura minore, alla ridotta clearance delle VLDL. I chilomicroni sono lipoproteine sintetizzate dagli enterociti; il loro compito è quello di trasportare in circolo i lipidi introdotti con la dieta, costituiti per la maggior parte da trigliceridi. Una volta giunti a livello del tessuto adiposo, del muscolo scheletrico o del cuore, i chilomicroni interagiscono con la LPL, che ne idrolizza il contenuto trasformandoli in chilomicroni remnants, i quali verranno endocitati dal fegato in seguito al legame con il recettore delle LDL (Hyson et al., 2003). Nell’ipotiroidismo, la ridotta attività lipasica e il minor numero di recettori per le LDL potrebbero dunque associarsi ad una ridotta rimozione dei chilomicroni dal plasma. Il fatto che i chilomicroni, nell’interagire con la LPL, “competano” con le VLDL può inoltre ulteriormente compromettere la clearance di queste ultime (Hyson et al., 2003).

La permanenza in circolo di residui di lipoproteine ricche di trigliceridi (TRLs), secondo diversi studi, non è priva di conseguenze, dato che esse sembrano contribuire allo sviluppo delle placche aterosclerotiche tanto quanto le LDL, se non addirittura di più. Una volta raggiunta una dimensione sufficientemente ridotta, infatti, i residui di TRLs - che sono più grandi delle LDL e quindi trasportano più colesterolo - possono penetrare nell’intima delle arterie e raggiungere lo spazio sub-endoteliale, dove vengono fagocitate dai macrofagi anche senza aver prima subito alcuna modificazione ossidativa. In aggiunta, il contatto con i residui di TRLs e con diversi prodotti derivati dalla loro lipolisi (come gli acidi grassi ossidati) può danneggiare l’endotelio, a causa dell’aumentato stress ossidativo e dell’attivazione di vie di segnalazione pro- infiammatorie, pro-apoptotiche e pro-coagulanti (Peng et al., 2017).

I livelli di colesterolo HDL negli ipotiroidei, infine, tendono ad essere normali o aumentati, sia a causa della ridotta attività dell’enzima CETP, che trasferisce gli esteri del colesterolo dalle HDL alle VLDL in cambio di trigliceridi, sia a causa della diminuita clearance delle HDL da parte della lipasi epatica (Rizos et al., 2011).