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3. ASPETTI METABOLICI COMUNI

3.4. IPERTENSIONE

3.4.1. Tiroidite di Hashimoto e ipertensione

Numerosi studi osservazionali nel corso degli anni hanno riscontrato un’associazione positiva tra ridotta funzionalità tiroidea e aumento della pressione sanguigna. Dei ricercatori giapponesi, analizzando 169 donne affette da ipotiroidismo conclamato, hanno rilevato una prevalenza di ipertensione quasi tre volte superiore rispetto a quella registrata nel gruppo di controllo (Cappola & Ladenson, 2003). Un’analisi condotta in Inghilterra su un campione di oltre 2000 soggetti ha evidenziato che i pazienti con ipotiroidismo subclinico avevano una pressione sistolica significativamente più elevata rispetto agli eutiroidei (146,9 ± 26,4 vs 139.5 ± 24.7 mmHg), mentre la pressione diastolica era anch’essa più elevata ma non in modo significativo (Razvi et al., 2010). Dai risultati di uno studio condotto su oltre 30 mila norvegesi è inoltre emerso che la pressione arteriosa cresce in modo lineare a mano a mano che il TSH aumenta all’interno del range di riferimento (0.50–3.5 mIU/L). In media, nelle donne, per ogni mIU/L in più di TSH la pressione sistolica aumentava di 1,8 mmHg e quella diastolica di 1,1 mmHg (Åsvold et al., 2007a). Dei ricercatori cinesi, dopo aver esaminato 20 studi per un totale di 50 mila persone coinvolte, sono invece giunti alla conclusione che gli aumenti della pressione sistolica e della pressione diastolica nell’ipotirodismo subclinico sono solo marginali (+1,47 e +0,44 mmHg, rispettivamente) e che le variazioni sono molto probabilmente da attribuire alle differenze d’età tra ipotiroidei ed eutiroidei analizzati (Ye et al., 2014).

Gli ormoni tiroidei hanno un ruolo essenziale nella regolazione di tutti i componenti chiave del sistema cardiovascolare, tant’è che sia l’ipertiroidismo che l’ipotiroidismo aumentano il rischio di sviluppare problematiche cardiache e ai vasi. Entrambe le condizioni possono innalzare la pressione sanguigna, ovviamente con meccanismi diversi. Nel caso dell’ipotiroidismo ad aumentare il rischio di ipertensione è principalmente il ridotto effetto rilassante degli ormoni tiroidei a livello della vascolatura periferica. È noto infatti che la T3 down-regola l’espressione dei recettori di tipo 1 per l’angiotensina II, riducendo la risposta contrattile delle cellule muscolari lisce vascolari all’ormone. Inoltre, la T3 stimola l’attività dell’ossido nitrico (NO) sintasi aumentando la produzione locale di NO, un potente vasodilatore. Il mancato rilassamento dei vasi sanguigni provoca un aumento della resistenza vascolare

periferica e della rigidità arteriosa, fattori che possono contribuire ad innalzare sia la pressione sistolica che quella diastolica (Grais & Sowers, 2014). In effetti, uno studio condotto nel Regno Unito su 12 pazienti ipotiroidei e 12 controlli sani con età, sesso, BMI e valori di pressione arteriosa comparabili ha confermato la presenza di una maggiore rigidità arteriosa nei soggetti con minore funzionalità tiroidea, due dei quali soffrivano di ipertensione diastolica (92 e 100 mmHg). Dopo sei mesi di terapia sostituiva con la LT4 tutti i soggetti erano eutiroidei, gli indici di rigidità arteriosa erano significativamente scesi e la pressione diastolica si era normalizzata anche nei due pazienti precedentemente ipertesi, attestandosi a 70 e 78 mmHg rispettivamente (Obuobie et al., 2002).

3.4.2. PCOS e ipertensione

Numerosi studi hanno evidenziato che la prevalenza dell’ipertensione nelle donne con PCOS è maggiore rispetto alla prevalenza nella popolazione generale. Uno studio cinese, per esempio, ha messo a confronto circa 3400 donne affette dalla sindrome e 1900 controlli, registrando una prevalenza di ipertensione pari al 19,2% nelle prime e all’11,9% nelle seconde (Shi et al., 2014). L’aumento del rischio di ipertensione sembra accentuarsi con l’età: secondo uno studio olandese, nella fascia 35-55 anni, la prevalenza di ipertensione nelle donne con PCOS era 2,5 volte superiore a quella registrata nella popolazione generale (28% vs 11%), nonostante la simile proporzione di donne sovrappeso/obese. Tra i 35 e i 44 anni, invece, era superiore di quasi 2 volte (8,2 vs 4,6%) ma le differenze erano largamente imputabili al maggior tasso di obesità (Elting et al., 2001).

Il monitoraggio della pressione sanguigna nelle 24 ore ha inoltre evidenziato alterazioni nella fluttuazione circadiana dei valori pressori in oltre la metà delle donne con PCOS. In particolare, il calo della pressione sistolica che dovrebbe verificarsi fisiologicamente durante la notte era assente nel 51,4% delle pazienti coinvolte nello studio, mentre la pressione diastolica non diminuiva nel 22,9% dei casi (Orbetzova et al., 2003). La mancata riduzione della pressione notturna è associata ad un incremento della rigidità arteriosa, ad un maggior rischio di disfunzioni del ventricolo sinistro e ad un’aumentata incidenza di malattie cardiache e cerebrovascolari rispetto alla semplice

ipertensione e potrebbe quindi aggravare ulteriormente la salute cardiovascolare delle pazienti affette dalla sindrome (Chen et al., 2018).

Nella PCOS, lo sviluppo dell’ipertensione sembra essere strettamente legato all’insulino-resistenza. A parità di BMI, infatti, le donne con PCOS ipertese sembrano avere livelli di glicemia, insulinemia e insulino-resistenza significativamente più elevati rispetto alle non ipertese (Shi et al., 2014). Analizzando il database dell’European Group for the Study of Insulin Resistance un gruppo di ricerca ha individuato una correlazione negativa significativa tra pressione arteriosa (sia sistolica che diastolica) e sensibilità insulinica, suggerendo che l’insulino-resistenza selettiva potrebbe interferire con alcune vie di segnalazione usate dall’insulina per regolare la pressione sanguigna e lasciarne intatte delle altre, determinando come effetto finale un aumento dei valori pressori. Nello specifico, nei soggetti insulino-resistenti sembra venir meno l’abilità dell’insulina di promuovere la vasodilatazione stimolando il rilascio di NO a livello endoteliale; allo stesso tempo, la via che amplifica il riassorbimento renale di sodio rimane attiva, finendo per essere sovra-stimolata dall’aumento compensatorio dell’insulina circolante. L’aumento della resistenza periferica e l’espansione del volume plasmatico che ne derivano inducono un aumento della pressione sanguigna. L’iperinsulinemia, inoltre, può sovra-attivare il sistema nervoso simpatico e aumentare il rilascio di catecolamine, molecole dai noti effetti ipertensivi (Yanai et al., 2008).

3.4.3. Tiroidite di Hashimoto, PCOS e ipertensione

Sia le pazienti con tiroidite di Hashimoto che quelle con PCOS sono a maggior rischio ipertensione rispetto alla popolazione generale, le prime a causa del mancato rilassamento della muscolatura vasale conseguente alla carenza di ormoni tiroidei e le seconde a causa dell’insulino-resistenza. Cosa succede nelle donne affette da entrambe le patologie? Yu e Wang (2016) riportano che le donne con PCOS e ipotiroidismo subclinico hanno una prevalenza di ipertensione aumentata rispetto alle donne con PCOS eutirodee (26 vs 16%) e che entrambe le categorie hanno una prevalenza maggiore rispetto alla popolazione di controllo (5,5%). Uno studio turco ha inoltre individuato una correlazione positiva significativa tra livelli plasmatici di TSH e pressione diastolica, così come tra volume tiroideo e pressione sistolica (Anaforoğlu et al., 2011).

Ganie e colleghi (2011), al contrario, non hanno riscontrato né differenze significative in termini di pressione arteriosa né correlazioni significative tra TSH e valori pressori. Gli studi disponibili sull’argomento, comunque, sono piuttosto limitati.