2. Analisi urbanistica e architettonica dei quartieri residenziali dell’abitato di Tharros
2.2 Il quartiere centrale a ridosso delle aree sacre
2.2.1 Il quartiere centrale: l’Area VI (nn 39-53)
L’area VI, occupata dalle strutture contrassegnate con i nn. 39-53 (Fig. 278), è stata indagata integralmente da G. Pesce nel 1958834. Gli ambienti individuati occupano il settore adiacente al tempio “delle semicolonne doriche” (Fig. 27), la cui esplorazione è avvenuta nello stesso periodo ed è stata completata nel 1959. Rimandando a studi specifici presenti in letteratura per un’analisi di dettaglio del santuario835, si è preso in esame in questa sede il settore adiacente costituito da vani ritenuti pertinenti, al tempo degli scavi, a nuclei abitativi. Tale area risulta delimitata su tre lati da assi stradali, in particolare a Nord dal decumanus maximus, a Ovest dal cardo maximus e a Sud da un asse decumano secondario che separa tale settore da quello adiacente al tempio “a pianta di tipo semitico”, denominato
833 Sull’argomento è stata discussa una tesi di dottorato, nell’anno accademico 2009-2010, da parte
della Dott.ssa E. Usai (Tutor Prof. P. Bartoloni; Ciclo XXIII), dal titolo “Dall’archeologia dell’acqua: canali, vasche, piscine, pozzi…alle implicazioni cultuali nei santuari fenici e punici di Sardegna”, nella quale sono state analizzate e catalogate le strutture idrauliche e gli elementi naturali legati all’acqua nelle aree sacre fenicio-puniche in Sardegna. Sull’argomento si ricorda la sintesi di tale lavoro da parte della stessa autrice: USAI 2010, pp. 2107-2110.
834 Cfr. supra.
Area VII836 (Fig. 27). Una strada interna, inoltre, parallela alla precedente, sembra dividere l’intero nucleo di ambienti in due parti, quella settentrionale costituita dagli edifici indicati con i nn. 39-41 e 45-49, e quella meridionale occupata dalle strutture contrassegnate con i nn. 42-44 e 50-53 (Fig. 8). Entrambe sono separate dal tempio adiacente, posto oltre il lato orientale, da un apparato murario continuo lungo tutto il settore, con orientamento Nord-Sud nel quale è sopravvissuto, nel tratto meridionale, un frammento di canalizzazione in terracotta (Fig. 44) che convogliava l’acqua proveniente dagli ambienti addossati al santuario, ubicati nella parte meridionale dell’Area VI, verso la grande cisterna contrassegnata con il n. 5. Lungo tutta la muratura è sopravvissuta una seconda canalizzazione conservata nel tratto orizzontale proveniente da Nord fino a immettersi nell’angolo nord-occidentale del medesimo apparato idrico (Fig. 46): questa è costituita da elementi fittili giustapposti sui quali scorreva l’acqua e da una copertura, conservata in alcuni tratti limitati, costituita da elementi piani in terracotta poggiati sull’estremità dei precedenti (Fig. 46). A queste attestazioni va aggiunto il tratto di canalizzazione che convoglia l’acqua nella cisterna n. 3, ubicata nell’edificio n. 52, la quale è collocata in uno scasso ricavato nel muro occidentale del vano ed è conservata per tutto il tratto della muratura sopravvissuta fino all’interno dell’apparato idrico stesso (Fig. 153).
Lungo la muratura che separa l’area templare dagli ambienti in esame lo scavatore aveva ipotizzato che potesse esserci una stradina oggi inesistente dalla quale forse si doveva accedere allo spazio lastricato in basalto contrassegnato con il n. 50837 (Fig. 8). Dall’osservazione autoptica non si sono riscontrati elementi che permettano di confermare tale ipotesi ma non è possibile neanche escluderla. L’analisi dell’area ha evidenziato la totale assenza di resti di lastre in basalto che possano far pensare all’esistenza effettiva di un asse viario. Inoltre, non va tralasciata la presenza lungo il percorso, procedendo verso Nord, di alcuni apparati murari838 e di due cisterne, quella con copertura a piattabanda e la n. 6,
836 Cfr. infra.
837 PESCE 1966b, p. 132.
838 Uno dei muri rilevati si è conservato per un altezza massima di circa 1.5 m e mostra la
compresenza di due tecniche murarie, la più antica costituita da pietrame in biocalcarenite e in basalto di piccole dimensioni messi in opera in modo irregolare, mentra la più recente è formata da alcuni blocchi in biocalcarenite di medie e grandi dimensioni messi in opera in modo più regolare rispetto ai precendenti. In quest’ultimo tratto si nota il riuso di una metà di un frammento di un fusto di colonna scanalato, sul quale sopravvivono alcuni resti di intonaco: questo è stato alloggiato con il lato con le scanalature rivolto verso l’interno dell’apparato murario, in modo da sfruttare il lato liscio dove è stata praticata la divisione con la parte restante dell’elemento. Nelle
del tipo a bagnarola, con lastre di copertura poste a doppio spiovente. Anche l’assenza di tracce di un’eventuale canale fognario che doveva correre al di sotto dell’asse viario, come accade per tutte le altre strade finora rimesse in luce nel sito, si allinea con gli altri elementi rilevati. Tali principi portano a escludere la presenza di una strada cardinale continua lungo tutto il lato occidentale del tempio “delle semicolonne doriche”, non essendovi lo spazio effettivo per un suo impianto. Tali considerazioni non portano a escludere, invece, la presenza di un breve tratto viario pubblico limitato alla parte meridionale del settore collegato con lo spazio lastricato n. 50: tale ipotesi porta a ritenere che vi potesse essere una via di penetrazione verso l’interno del settore che probabilmente doveva ricollegarsi, attraverso un percorso non più conservato, alla strada decumana interna all’intera area dalla quale si doveva accedere, per mezzo di una soglia in
situ, all’altro spazio lastricato in basalto posto nelle vicinanze del precedente,
indicato nella planimetria generale del sito con il n. 52 (Figg. 8, 27). Sulla natura pubblica o privata di tali spazi lo scavatore al tempo delle indagini archeologiche non si è espresso in maniera definitiva proponendo entrambe le possibilità: infatti se da un lato ritenne che potesse trattarsi di cortili839, dall’altro, in riferimento all’area n. 50, affermò che «non [era] da escludere […] che possa essere stata una pubblica piazzetta, accessibile mediante qualche stradina nel suo lato orientale […]»840. Dall’osservazione autoptica dell’area risulta evidente la particolarità e l’unicità di tali spazi tra i resti sopravvissuti dell’abitato, che sembra dovessero essere ben delimitati anche lungo i lati dove allo stato attuale non sono presenti degli apparati murari: infatti, il preciso allineamento delle lastre basaltiche lungo tutti i lati nel caso dell’area n. 52 e lungo i lati occidentale e settentrionale della n. 50 fa ritenere che quella preservata dovesse essere l’estensione prevista al momento della realizzazione. L’irregolarità, invece, del lato orientale dello spazio n. 50 mette nuovamente in luce il problema della spoliazione del sito che ha portato a un’inevitabile perdita di informazioni urbanistiche e architettoniche delle aree abitative riportate in luce. Tale aspetto del lato orientale di tale area potrebbe essere un’ulteriore conferma della presenza di una via di accesso verso l’interno di tale settore, conservata unicamente in questo breve tratto. Quindi più vicinanze, precisamente a Sud dell’area lastricata n. 50, è stato osservato un altro frammento di fusto di colonna scanalato segato e sembra plausibile, sulla base delle dimensioni, che si possa trattare della metà pertinente all’elemento riadoperato nell’apparato murario esaminato.
839 PESCE 1966b, pp. 132-133. 840 Ivi, p. 132.
che un cortile o una piazzetta, la lastricatura potrebbe essere ciò che rimane di tale stradina che avrebbe dovuto avere, quindi, un andamento a L, costituito da un tratto con orientamento Nord-Sud lungo il lato sud-occidentale del tempio “delle semicolonne doriche”, collegato ad angolo retto con un secondo percorso, con andamento Est-Ovest, del quale sopravvive la parte terminale. Non va tralasciato il diverso tipo di lastricatura delle due aree: infatti, anche se entrambe sono realizzate in basalto, la n. 50 è costituita da blocchi di forma varia, del tutto simili a quelli adoperati per gli assi stradali nei tratti non interessati dai canali fognari; mentre la n. 52 è stata realizzata con la messa in opera di lastre di forma abbastanza squadrata e regolare paragonabili a quelle adoperate per la copertura delle cloache. Per cui non va tralasciata la possibilità nel secondo dei due casi, alla luce dei numerosi rifacimenti attestati nel corso dell’occupazione dell’abitato, di un recupero di materiale edilizio ai fini della realizzazione di tale area841. Inoltre, si ritiene che questa lastricatura non sia da riferire a un tratto stradale, come la precedente area esaminata, essendo di una forma regolare ben definita ed essendo presente un accesso dal vicino decumano per mezzo di una soglia che quindi funge da divisorio e che non sarebbe giustificabile se fossimo di fronte a un tratto della viabilità interna all’intera Area VI. Si ritiene plausibile, quindi, che questo secondo spazio fosse un’area a cielo aperto dal quale accedere agli ambienti adiacenti, come testimonierebbe una soglia in situ presente lungo il lato occidentale che immette nel vano indagato nel 1958 e contrassegnato nei diari di scavo con il n. 13842 (Fig. 28).
Nell’analisi complessiva dell’Area VI non sfugge la presenza di numerosi impianti idrici rispetto agli altri settori dell’abitato: questi, con l’organizzazione degli spazi, fanno ulteriormente propendere verso una destinazione non prettamente abitativa del settore. Infatti, nella parte settentrionale sono presenti due cisterne addossate l’una all’altra e ubicate nelle immediate vicinanze dell’area sacra. A queste vanno aggiunti il pozzo n. 13 con l’imboccatura quadrata e altre due cisterne presenti al limite occidentale dell’area, la n. 1 e la n. 2 ubicate rispettivamente nei complessi contrassegnati con i n. 40 e 41843. Entrambe del tipo a bagnarola, non conservano in posto la copertura ma sulla base delle
841 Il recupero di materiale edilizio per la sistemazione di tale lastricatura è confermato anche
dall’individuazione di un frammento di soglia basaltica riadoperato in tale spazio (PESCE 1966b, p. 133)
842 Cfr. supra.
caratteristiche strutturali e delle evidenze sopravvissute si ritiene che dovesse essere a piattabanda, con la vera di attingimento ricavata in una delle lastre di copertura nella n. 2, all’interno della quale ne è stato rinvenuto un frammento, mentre risulta ricavata lungo il lato settentrionale nella n. 1844. Quest’ultima appare interessante anche per l’evidente rifacimento ricevuto in antico che ha interessato il lato settentrionale dove è possibile osservare «[…] l’alzato del pozzetto [realizzato] a mezzo di un paramento murario composto da blocchetti calcarei […] alternati a ricorsi laterizi»845 (Fig. 154), tecnica differente rispetto a quella dell’impianto originario della cisterna, osservabile lungo gli altri lati, e quindi riferibile a una fase edilizia successiva. Nelle adiacenze di tale apparato, già al tempo delle indagini archeologiche, G. Pesce aveva riportato alla luce un ambiente di forma rettangolare nel quale lo scavatore individuò «una piccola cisterna di forma quadrata [che] misura m. 1,77 X m. 1,45 [con] le pareti incorniciate in pietrame poco visibile a causa dell’intonaco[…]» nella quale si riscontrò la presenza a «[…] m. 2,90 dal p[iano] di c[ampagna] [de]l pavimento in coccio pesto in discreto stato [di conservazione] ai margini [del quale] si trova un piccolo gradino (risega) alto m. 0,6 largo m. 0,6 […]»846. L’impianto risulta scavato nella roccia nei lati Nord e Ovest mentre «[il] lato E[st] e [il] lato S[ud] [sono] a blocchetti di arenaria» e per i quali «non è possibile ricavarne le larghezze in quanto sono sovrapposti dal pavimento»847 del vano conservato per un tratto lungo il lato meridionale. Dato l’interro presente all’interno dell’apparato, risulta impossibile poter verificare e analizzare le caratteristiche strutturali notate al tempo dell’esplorazione, sulla base delle quali sembrano esserci alcune similarità con la cisterna con copertura a piattabanda, ubicata a Sud della n. 6, nelle adiacenze del tempio “delle semicolonne doriche”, nella quale si ricorda la presenza di un gradino delle stesse dimensioni di quello appena descritto848 (Fig. 32). Appare evidente, quindi, la necessità di poter asportare il terreno presente all’interno di entrambi gli apparati idrici in modo da poter considerare in modo più puntuale l’uso effettivo degli impianti e in particolar modo del gradino
844 Ibidem. 845 Ivi, p. 111.
846 ASSACO-Giornale di Scavodel 19.06.1958. Si ricorda che tale apparato è stato contrassegnato
con il n. 1 nello schizzo di tale settore realizzato in corso di scavo, mentre il vano in cui è ubicato è indicato nei diari di scavo come A1 (ASSACO-Giornale di Scavo dei giorni 16, 17, 18, 19, 20.06.1958).
847 ASSACO-Giornale di Scavodel 20.06.1958. 848 Cfr. supra.
presente nell’interno in modo da poter verificare la sua funzione, forse ricollegata all’approvvigionamento dell’acqua o alla discesa verso l’interno. In quest’ultimo caso sarebbe necessario definire la contemporaneità del gradino con l’impianto originario dell’apparato idrico, in quanto non è da escludere che sia da riferire a rifacimenti successivi delle cisterne stesse che nel corso del loro sfruttamento potrebbero aver subito dei cambiamenti sia strutturali sia funzionali. In tale direzione si colloca un caso del tutto simile riscontrato nella città di Nora, dove nella cisterna n. 17 la realizzazione di gradini, in epoca imprecisata, è stata ricollegata a un uso come deposito dell’impianto idrico849. Inoltre, l’ampliamento dello studio analitico dei rivestimenti impermeabilizzanti a tali apparati, oltre quelli a bagnarola già realizzato sul finire del secolo scorso850, potrebbe dare un’importante contributo sulla successione di eventuali rifacimenti e sulla loro collocazione cronologica. Tale intervento risulta particolarmente interessante per poter determinare se l’impianto originario sia da riferire all’«epoca punica» o a momenti successivi di occupazione del sito. Per cui, in particolar modo per le fasi più antiche, si ritiene necessario un confronto con campioni prelevati da cisterne di siti punici all’interno e all’esterno del territorio sardo in modo da definire in modo puntuale l’epoca di realizzazione degli impianti e dei rifacimenti. Tale confronto sarebbe auspicabile anche per alcune cisterne a bagnarola del sito già analizzate in passato per le quali si erano riscontrate delle analogie macroscopiche, ma non microanalitiche, con le descrizioni di intonaci impermeabilizzanti presenti in letteratura e considerati di tradizione punica851. In mancanza di tali analisi non è possibile avanzare delle ipotesi puntuali sull’epoca di realizzazione della cisterna in esame, ubicata all’angolo nord-occidentale del quartiere, incertezza attestata anche dal materiale recuperato di natura varia, per il quale non vengono fornite dallo scavatore delle informazioni stratigrafiche: infatti, viene attestato il rinvenimento contestuale di ceramica «etrusco-campana», «punica», «aretina» e «augustea», tra cui ciotole, lucerne e anfore, oltre ad altri reperti come un vago di collana in pasta vitrea, un dado e una fusaiola, resto di attività di tessitura svolte forse nell’ambiente in cui si trova l’apparato idrico852. Inoltre, non è da escludere
849 BONETTO, CESPA, ERDAS 2012, pp. 2612-2613. Sul sistema di approvvigionamento idrico di
Nora si veda anche DI GREGORIO, FLORIS, MATTA, TRONCHETTI 2006.
850 BULTRINI, MEZZOLANI, MORIGI 1996, pp. 123-127.
851 Ivi, p. 125. Per le trattazioni sugli intonaci riferiti a epoca punica, si vedano CINTAS 1979, p.
134 e BARRECA, FANTAR 1983, p. 53.
la presenza di una copertura sulla cisterna sostenuta da pali, forse lignei, che dovevano essere alloggiati in scassi ricavati nella roccia in cui è scavato l’impianto, sistema a cui sembra plausibile riferire un’impronta a sezione quadrata presente nel banco roccioso, lungo il margine interno della parete occidentale. Da un punto di vista dell’organizzazione degli spazi di tale settore, l’ambiente in cui è ubicata la cisterna esaminata, ritenuto dallo scavatore pertinente al complesso n. 39 (Fig. 8), non trova riscontro in realtà nella tipologia di case tharrensi presente in letteratura (Fig. 188). Infatti, non si ritiene che questo e gli altri ambienti dell’area siano da riferire a complessi di natura abitativa, come per la zona occidentale alle pendici della collina della Torre di S. Giovanni, sulla base dell’organizzazione degli spazi, che dà all’area in esame l’aspetto di un blocco organico legato al tempio, e sulla base delle evidenze sopravvissute, a differenza di quanto affermato al tempo degli scavi archeologici853. Non va tralasciata la lacunosità degli apparati murari e i rifacimenti che si sono susseguiti nel corso dell’occupazione dell’abitato che in alcuni casi hanno compromesso del tutto la comprensione delle evidenze sopravvissute mentre in altri hanno portato a un cambiamento dell’organizzazione degli spazi, modificando le originarie planimetrie degli edifici. L’impressione generale data dall’Area VI è, nella maggior parte dei casi, che si tratti più di singoli ambienti, in alcuni casi comunicanti con gli adiacenti, piuttosto che di complessi abitativi organici e planimetricamente definiti, come accade invece per il settore occidentale. Infatti, dall’osservazione autoptica della parte settentrionale dell’Area VI, delimitata lungo il lato meridionale dalla strada decumana che permette l’accesso verso l’interno, sembra che alcuni ambienti gravitino intorno a un vano di forma rettangolare con una copertura, probabilmente in materiale deperibile, che doveva essere sorretta da due pilastri centrali in arenaria (Figg. 27-28). Sulla base delle evidenze non è possibile accertare se questa dovesse coprire l’intero vano o se dovesse essere limitata a una zona ben definita, essendo presenti altri due pilastri lungo la parete orientale dell’ambiente stesso854. Non è chiaro da dove dovesse avvenire l’accesso, non essendosi conservata in posto la soglia d’ingresso, ma, essendo tale spazio delimitato sul lato meridionale dalla via decumana che fungeva da punto di accesso per gli ambienti posti nella parte meridionale dell’Area VI, è plausibile che allo stesso modo vi fosse un varco di passaggio
853 MARANO cds.
anche verso tale vano, posto verso Nord. Incerto è anche l’uso che veniva fatto di tale area: infatti, lo scavatore ha ipotizzato che almeno uno dei pilastri dovesse essere adoperato per legare qualche quadrupede, essendo presente un foro sulla superficie dell’elemento stesso. Non va tralasciata la possibilità che fosse anche utilizzato come luogo di conservazione data la presenza di un dolium rinvenuto in frammenti a causa del crollo di alcuni blocchi tra cui uno di grandi dimensioni e di forma quadrata ubicato proprio al di sopra dei resti del vaso855. Questo, restaurato al tempo degli scavi, al momento giace in frammenti contro il pilastro sud-occidentale, dove venne rinvenuto. Riguardo ai resti strutturali del vano, le murature, in blocchi di arenaria, sono conservate per un altezza massima di 1,54 m. mentre lo scavatore documenta la perdita quasi totale del piano pavimentale che doveva essere costituito da ciottoli, rinvenuti «spars[i] affiorant[i] entro uno strato di terreno vegetale assai duro» ubicato a «m. 1,70 dal p[iano] di c[ampagna]»856. Purtroppo a causa dell’interro presente non è possibile definire in modo puntuale la relazione esistente con i vani adiacenti che lo circondano per cui risulta centrale, in un riesame dell’area, la documentazione fornita al momento dello scavo, essendo munita anche di schizzi puntuali delle evidenze archeologiche sopravvissute. Infatti, dall’osservazione della pianta realizzata in corso di scavo risulta che l’ambiente doveva essere munito di tre accessi, due lungo la parete occidentale e uno verso Nord, quest’ultimo non più visibile. Lo scavatore attribuisce tutti gli spazi citati al medesimo complesso, il n. 46, che sarebbe costituito quindi da almeno cinque ambienti857: sulla base dei resti archeologici non sembra condivisibile ma appare più plausibile che gli uni e gli altri abbiamo una propria autonomia e una propria definizione funzionale. Infatti, il settore occidentale sembra essere costituito da un ambiente più grande con due accessi, dal quale era possibile passare a due vani più piccoli posti oltre il lato settentrionale (Fig. 27). Purtroppo l’uso di tali spazi è difficile da definire a causa dell’esiguità dei dati di scavo, in particolar modo per i due ambienti più piccoli, contrassegnati nello schizzo con A2858. Differente è la situazione per il primo
855 ASSACO-Giornale di Scavodel 30.06.1958. 856 ASSACO-Giornale di Scavodel 04.07.58. 857 PESCE 1966b, pp. 129-130.
858 Si deve porre una certa attenzione allo schizzo in particolar modo riguardo agli spazi indicati
con A2 in quanto viene usata la medesima numerazione sia per il vano dove si trova la cisterna (la n. 2 della pianta) sia per gli spazi che si stanno esaminando. Purtroppo nei diari di scavo non sono presenti informazioni che permettano di capire quali dati siano da riferire agli ambienti presi in
vano di maggiori dimensioni per il quale si è conservata una documentazione di scavo più dettagliata che attesta il rinvenimento di materiale vario identificato rimescolato, come testimonia la contestualità di ceramica riferibile a epoche differenti. Tra il materiale si ricorda la presenza di ventidue dischi, dei quali due in marmo, interpretati dallo scavatore come tappi859 forse adoperati per chiudere dei contenitori ceramici che dovevano essere conservati in tale spazio. Inoltre, si ricordano le attestazioni di bolli di fabbrica su alcuni frammenti ceramici: in