4.4 L’allontanamento dello straniero irregolare: respingimento ed espulsione
4.4.1 Il recepimento della direttiva 2008/115/CE in Italia
La sentenza El Dridi : conseguenze della mancata attuazione della direttiva entro il termine stabilito
Con il decreto legge 23 giugno 2011, n. 89, l’Italia ha provveduto ad attuare la di-rettiva europea del 2008 riguardante il rimpatrio dei cittadini irregolari di Paesi terzi26. La mancata attuazione entro il termine fissato (24 dicembre 2010) ha determinato una situazione di grave incertezza giuridica riguardo la compatibilit`a della stessa con il Testo Unico sull’immigrazione. Infatti, alla scadenza del termine per la trasposizione, i giu-dici italiani hanno emesso numerose sentenze in cui, basandosi su quanto previsto dalla direttiva, hanno disapplicato la normativa interna in contrasto con essa. Molti dei ricor-si promosricor-si dinanzi ai giudici italiani hanno riguardato l’incompatibilit`a con la direttiva dell’art. 14, comma 5 ter, del T.U. che prevedeva una pena detentiva da 1 a 4 anni per l’inosservanza dell’ordine di allontanamento dal territorio dello Stato da parte dello stra-niero precedentemente espulso. Tra questi, la sentenza El Dridi27, con la quale la Corte
26 Direttiva 2008/115/CE, del 16 dicembre 2008, recante “norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno `e irregolare”, in GUUE L 348 del 24 dicembre 2008, p. 98 ss.
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Sentenza del 28 aprile 2011, C-61/11 PPU. Per un esame dettagliato della sentenza si veda A. Natale, La direttiva rimpatri, il testo unico immigrazione ed il diritto penale dopo la sentenza El Dridi, in Diritto, Immigrazione e Cittadinanza, 2011, p. 17 ss.; B. Nascimbene, La “direttiva rimpatri” e le conseguenze della sentenza della Corte di Giustizia (El Dridi) nel nostro ordinamento, in Gli stranieri, 2011, p. 7 ss.; A. Liguori, Testo unico sull’immigrazione e “direttiva rimpatri”: il caso El Dridi dinanzi alla Corte di giustizia dell’Unione europea, in Diritti umani e diritto internazionale, 2011, p. 640 ss.
di Giustizia dell’Unione europea si `e pronunciata sul rinvio pregiudiziale proposto dalla Corte d’appello di Trento sul caso in esame, assume particolare rilievo.
Nella sentenza in esame, infatti, la Corte di giustizia dell’Unione europea ha stabilito che la direttiva, in particolare con riferimento agli artt. 15 e 16, “osta ad una normativa di uno Stato membro che preveda l’irrogazione della pena della reclusione al cittadino di un Paese terzo il cui soggiorno sia irregolare per la sola ragione che questi, in violazione di un ordine di lasciare entro un determinato termine il territorio di tale Stato, permane in detto territorio senza giustificato motivo”, poich´e la reclusione, ritardando l’esecuzione del rimpatrio, pregiudicherebbe la realizzazione dell’obiettivo perseguito dalla direttiva, ovvero la realizzazione di una politica efficace di allontanamento degli stranieri irregolari. Nel dettaglio, la Corte di Lussemburgo ha osservato come la procedura di rimpatrio prevista dalla direttiva risponda ad un’esigenza di gradualit`a delle misure da prendere per dare esecuzione alla decisione di rimpatrio. Priorit`a va innanzitutto accordata all’e-secuzione volontaria dell’obbligo derivante dalla decisione di rimpatrio. Solo nel caso in cui si debba procedere all’allontanamento e questo rischia, valutata la situazione caso per caso, di essere compromesso dal comportamento dell’interessato, gli Stati membri posso-no privare quest’ultimo della libert`a ricorrendo al trattenimento in un apposito centro. La Corte, oltre a ribadire l’obbligo di osservare il principio di proporzionalit`a in tutte le fasi della procedura, sottolinea che tale privazione deve avere durata quanto pi`u breve possibile e protrarsi per il tempo necessario all’espletamento del rimpatrio.
A tal riguardo, la direttiva si ispira alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, secondo la quale il principio di proporzionalit`a esige che il trattenimento di una persona sottoposta a procedura di espulsione o di estradizione non si protragga oltre un termine ragionevole, vale a dire non superi il tempo necessario per raggiungere lo scopo perseguito. Per tale motivo, gli Stati membri non possono introdurre ulteriori misure limitative della libert`a personale, come la pena detentiva prevista dalla normativa italiana, al fine di ovviare all’insuccesso delle misure coercitive adottate per procedere al rimpatrio. Tale pena, infatti, rischia di compromettere la realizzazione dell’obiettivo
perseguito dalla direttiva e di privare quest’ultima del suo effetto utile. Al contrario, essi devono adoperarsi per dare esecuzione alla decisione di rimpatrio.
Ne consegue, pertanto, che al giudice nazionale “incaricato di applicare le disposizioni del diritto dell’Unione e di assicurarne la piena efficacia, spetter`a disapplicare ogni dispo-sizione del decreto legislativo n. 286/1998 contraria al risultato della direttiva 2008/115, segnatamente l’art. 14, comma 5 ter, di tale decreto legislativo”28.
In conclusione, oltre all’effetto immediato della sentenza, il valore della sentenza sta nell’aver ricordato il duplice fine della direttiva ovvero l’attuazione di un’efficace politica di allontanamento e rimpatrio basata su norme comuni affinch´e le persone interessate siano rimpatriate in maniera umana e nel pieno rispetto dei loro diritti fondamentali e della loro dignit`a.
L’attuazione della direttiva: la legge n. 129/2011
La pronuncia della Corte di Giustizia europea sul caso El Dridi ha reso evidente l’ur-genza di un intervento normativo per adeguare la disciplina italiana agli obblighi imposti dalla normativa europea. Da qui deriva la scelta operata dal Governo di ricorrere alla decretazione d’urgenza, avendo ravvisato i presupposti della straordinaria necessit`a ed urgenza, richiesti dall’articolo 77 della Costituzione. Come sottolineato da autorevole dottrina29, la necessit`a e l’urgenza sono condizioni che il Governo stesso ha creato, es-sendo prevedibile l’effetto che avrebbe avuto una sentenza della Corte di Giustizia nei confronti del mancato adeguamento dell’ordinamento italiano entro il termine assegnato dalla direttiva.
Come si vedr`a, il legislatore italiano `e intervenuto modificando alcune parti della legi-slazione in vigore, lasciandone per`o intatto l’impianto complessivo, con il risultato di un adeguamento alla normativa europea incompleto e, sotto alcuni profili, del tutto
caren-28 Punto 61 della sentenza.
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G. Savio, La nuova disciplina delle espulsioni conseguente al recepimento della direttiva rimpatri, in Diritto, immigrazione e cittadinanza, 2011, p. 31.
te30. Infatti, `e di immediata evidenza la reticenza del legislatore italiano ad adeguarsi al sistema delineato dalla direttiva che privilegia la partenza volontaria in luogo dell’esecu-zione coattiva del rimpatrio. Nel T.U. sull’immigradell’esecu-zione, infatti, quest’ultima rimane la regola, mentre il ritorno volontario costituisce un’ipotesi residuale. Basti notare che ogni disposizione mantiene la propria collocazione topografica: in primo luogo il legislatore di-sciplina l’esecuzione del rimpatrio con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica per poi aggiungere, qualora non ricorrano le condizioni per un’esecuzione coatta, la facolt`a di chiedere un termine per la partenza volontaria; prima il trattenimento e poi le misure che possono sostituirlo. Il legislatore italiano non rinuncia nemmeno all’utilizzo dello strumento penale nell’ambito delle procedure di rimpatrio, predisponendo una serie di nuovi reati, sanzionati con la pena pecuniaria, ed affidati alla competenza del Giudice di pace.
Per quanto riguarda la disciplina dell’espulsione, un dato positivo della nuova norma-tiva `e la precisazione che la decisione di allontanamento deve essere adottata “caso per caso”, conformemente a quanto previsto dal considerando n. 6 della direttiva. La norma europea, per`o, prosegue specificando che nell’adozione della decisione di rimpatrio si deb-bano prendere in considerazione criteri obiettivi, non limitandosi alla mera irregolarit`a del soggiorno. Di questa seconda parte non vi `e traccia nella nuova formulazione del T.U., il che comporta il rischio che la formula “caso per caso”, in assenza di qualsiasi specifi-cazione, rimanga priva di concreta attuazione, sia nell’adozione dei decreti espulsivi che nella verifica della loro legittimit`a. Allo scopo di incentivare il rimpatrio volontario degli stranieri irregolari, `e stata esclusa la punibilit`a per il reato di irregolare permanenza sul territorio nazionale nel caso in cui lo straniero irregolare sia identificato durante i controlli di polizia in uscita dal territorio nazionale31. In secondo luogo, non `e possibile disporre e, qualora il provvedimento sia gi`a stato adottato, eseguire l’espulsione nei confronti dello straniero identificato in uscita dal territorio nazionale durante i controlli alle frontiere
30
Sul punto si rinvia a A. Liguori, L’attuazione della direttiva rimpatri in Italia, in Diritto, immigrazione e cittadinanza, 2011, p. 15 ss.
esterne32.
Come gi`a sottolineato, l’impianto del T.U. non `e variato: tutte le espulsioni restano immediatamente esecutive, anche se sottoposte a gravame o impugnativa, e resta centrale l’esecuzione delle espulsioni con accompagnamento alla frontiera che riguarda un’ampia gamma di decreti espulsivi. Analizzando la casistica prevista33, emerge che, mentre nella direttiva rimpatri la regola `e la partenza volontaria e l’allontanamento coattivo l’eccezione, nella normativa italiana di recepimento del sistema europeo `e l’esatto contrario.
Un secondo aspetto negativo riguarda il rischio di fuga che occupa una posizione di estremo rilevo nella riscrittura della disciplina espulsiva operata dalla legge 129/11, poich´e la sua sussistenza esclude la possibilit`a d’optare per il rimpatrio volontario e determina l’accompagnamento immediato alla frontiera a mezzo della forza pubblica. Nel recepire l’obbligo imposto all’articolo 3, numero 7 della direttiva di definire la nozione di rischio di fuga e individuare i criteri per la sua determinazione, il legislatore italiano ne predispone un’ampia gamma, ricomprendendovi anche condizioni che possono non dipendere dalla volont`a dello straniero. Il legislatore italiano compie cos`ı una “lettura in negativo” degli obblighi che secondo la direttiva `e possibile imporre per scongiurare il rischio di fuga. In sostanza, la disciplina italiana ribalta la previsione di fondo della direttiva, ossia la pre-ferenza per la partenza volontaria eventualmente corredata dall’imposizione di obblighi e finisce per presumere il rischio di fuga ogniqualvolta gli obblighi suggeriti dalla direttiva non sarebbero di facile e immediata applicazione, giungendo cos`ı a confondere gli stru-menti idonei a fronteggiare il rischio di fuga con la sua essenza34. In base al nuovo comma 4-bis dell’articolo 13, infatti, tale pericolo `e presunto, una volta accertata la sussisten-za di almeno una delle seguenti circostanze: mancato possesso del passaporto o di altro documento equipollente in corso di validit`a; mancanza di idonea documentazione atta a dimostrare la disponibilit`a di un alloggio presso cui essere agevolmente rintracciato; avere precedentemente dichiarato o attestato false generalit`a; non aver ottemperato all’obbligo
32 Art. 13, comma 2-ter, T.U.
33 Art. 13, comma 4, T.U.
34
G. Savio, La nuova disciplina delle espulsioni conseguente al recepimento della direttiva rimpatri, cit., p. 37.
di allontanarsi nel termine precedentemente concesso, ovvero aver fatto illegale rientro nel territorio nazionale dopo essere gi`a stato espulso; aver violato anche una soltanto delle misure imposte dal questore in pendenza del termine per la partenza volontaria pre-cedentemente concesso. Diverse sono le critiche e le perplessit`a sollevate dalla dottrina relativamente alle circostanze elencate. In particolare, `e stato sottolineato come la prima non sembra sintomatica di un rischio di fuga e potrebbe non dipendere dal soggetto inte-ressato, ma, come spesso accade, dalle rappresentanze diplomatiche del Paese d’origine. Inoltre, l’onere per lo straniero di produrre idonea documentazione per dimostrare la di-sponibilit`a di un alloggio presso cui essere facilmente rintracciato si rivela estremamente gravoso, anche in considerazione della previsione dell’articolo 12, comma 5, del T.U., che punisce la cessione a titolo oneroso di un immobile allo straniero irregolare. Pertanto, difficilmente uno straniero irregolare potr`a fornire documentazione del luogo in cui abita. Anche la circostanza d’aver dichiarato o attestato false generalit`a non `e automaticamente indice sintomatico del rischio di fuga sia perch´e i fatti potrebbero essere stati commessi anche in epoca remota, e dunque non essere certo idonei a definire l’attualit`a del rischio di fuga, sia perch´e la legge non richiede che la dichiarazione di falsa identit`a sia stata accertata con una sentenza di condanna per il reato di cui all’articolo 495 del codice pe-nale. Occorre osservare come la presunzione di fuga, per ci`o che concerne le prime due ipotesi contemplate, appare correlata alla difficolt`a di rispettare le misure che il legislatore impone nel caso di rimpatrio volontario. Ma ci`o mal si concilia con la valutazione caso per caso che dovrebbe orientare le determinazioni dell’amministrazione. L’intento, chiara-mente elusivo dell’applicazione della direttiva, `e reso evidente dal tentativo del legislatore italiano di “sussumere nel perimetro del rischio di fuga la gran parte dei migranti irrego-lari all’evidente scopo di osteggiare la concessione del termine per la partenza volontaria e continuare ad eseguire coattivamente i provvedimenti ablativi”35.
Nell’ipotesi, del tutto residuale, in cui non si verifichi nessuna delle condizioni per l’e-secuzione coattiva del provvedimento di espulsione, lo straniero pu`o chiedere al prefetto
35
G. Savio, La nuova disciplina delle espulsioni conseguente al recepimento della direttiva rimpatri, cit., p. 37 ss.
che gli sia concesso un termine per lasciare volontariamente il territorio nazionale36, anche attraverso programmi di rimpatrio volontario assistito. Il legislatore italiano si `e avvalso della facolt`a attribuita dalla direttiva rimpatri37 secondo cui il “diritto” alla concessio-ne del termiconcessio-ne per la partenza volontaria `e attribuito solo su richiesta dell’interessato. In caso di mancata richiesta, anche se sussistono i presupposti, l’espulsione `e eseguita coattivamente. Al fine di agevolare la richiesta di partenza volontaria, la legge di recepi-mento prevede che la questura fornisca allo straniero adeguata informazione della facolt`a di richiedere tale termine mediante schede informative plurilingue. Tuttavia, `e stato sot-tolineato come non vi sia alcuna norma che individui l’esatto contenuto dell’informazione che deve essere fornita e le lingue in cui questa deve essere tradotta oltre al fatto che l’obbligo di informazione sia posto a capo della questura, mentre `e di competenza della prefettura disporre l’espulsione o concedere o meno il termine. Il presupposto perch´e il sistema predisposto per la richiesta del termine svolga la sua funzione di garanzia `e dun-que il corretto funzionamento del flusso di informazione tra i due uffici, circostanza del tutto sottratta al controllo dell’interessato e certamente di non facile confutazione in sede di eventuale ricorso.
Qualora il prefetto, valutato il singolo caso, decida di accogliere la richiesta dello straniero, intima all’interessato, con lo stesso provvedimento con cui dispone l’espulsione, di lasciare il territorio nazionale in un termine compreso tra i 7 e 30 giorni. Sulla possibilit`a di proroga, il testo novellato38 richiama il disposto del paragrafo 2 dell’articolo 7 della direttiva, aggiungendo tra le circostanze che il prefetto deve prendere in considerazione ai fini della concessione della proroga l’eventuale ammissione a programmi di rimpatrio assistito, anche se manca qualsiasi indicazione circa le modalit`a con cui lo straniero pu`o presentare richiesta di proroga, nonch´e quali siano i rimedi attivabili nel caso di rigetto.
Qualora il prefetto conceda allo straniero un termine per la partenza volontaria, il que-store chiede all’interessato di “dimostrare la disponibilit`a di risorse economiche sufficienti
36 Art. 13, comma 5, T.U.
37 Tale facolt`a `e prevista dall’art. 7, § 1 della direttiva rimpatri.
derivanti da fonti lecite, per un importo proporzionato al termine concesso, compreso tra una e tre mensilit`a dell’assegno sociale annuo”. Mentre la direttiva prevede che allo straniero possa essere chiesto di costituire una garanzia finanziaria adeguata in pendenza del termine per la partenza volontaria, il legislatore italiano ha indicato l’esistenza di una disponibilit`a economica in capo al cittadino di Paese terzo quale presupposto per la concessione del termine39, eludendo cos`ı l’effetto utile della direttiva. La legge, inoltre, dimentica di specificare le conseguenze in caso di mancata disponibilit`a delle risorse eco-nomiche richieste, essendo il termine gi`a stato concesso e non essendo prevista in tal caso la revoca40. Inoltre, il questore `e tenuto a disporre una o pi`u delle seguenti misure caute-lari: consegna del passaporto o altro documento equipollente in corso di validit`a, obbligo di dimora, obbligo di presentazione alla forza pubblica territorialmente competente, in giorni e orari stabiliti.
Anche in questo caso `e possibile osservare una difformit`a tra la direttiva e la legge di attuazione. Nella direttiva, infatti, le misure che possono accompagnare la concessione del termine per la partenza volontaria sono atte a scongiurare il rischio di fuga durante il periodo assegnato. Al contrario, nel sistema italiano, si prevede un esame rigoroso in ordine alla sussistenza del rischio di fuga non per predisporre misure idonee a scongiu-rarlo in pendenza del termine per il rimpatrio volontario, ma per escluderne del tutto la concessione41. Il provvedimento con cui il questore impone le suddette misure deve essere comunicato al giudice di pace territorialmente competente, entro 48 ore dalla sua adozio-ne. In caso di violazione da parte dello straniero di una delle misure adottate nei suoi confronti, da un lato l’espulsione sar`a eseguibile coercitivamente, dall’altro l’interessato commetter`a un reato punito con la multa da 3.000 a 18.000 euro, devoluto alla cognizione del giudice di pace.
39
A. Natale, La direttiva 2008/115/CE e il decreto legge di attuazione n. 89/2011. Prime riflessioni a caldo, in www.penalecontemporaneo.it, 2011, p. 6.
40
G. Savio, La nuova disciplina delle espulsioni conseguente al recepimento della direttiva rimpatri, cit., p. 39.
41 Ibidem, p. 39. Secondo l’autore `e irragionevole prevedere ulteriori cautele, poich´e la sussistenza del rischio di fuga `e gi`a stata precedentemente esclusa. Tanto pi`u che la direttiva prevede che tali obblighi possano essere imposti, mentre il T.U. prevede che essi siano sempre applicati al cittadino di Paese terzo cui sia stato concesso il termine per l’adempimento spontaneo.
La parte della direttiva 2008/115/CE relativa al trattenimento dello straniero in attesa di essere rimpatriato `e stata certamente quella maggiormente criticata, in particolare in ragione dell’abnorme ampiezza temporale della privazione di libert`a personale che i migranti possono subire. Nonostante ci`o, anche nel regolare il trattenimento, il legislatore italiano ha adottato una disciplina deteriore rispetto a quella della direttiva, tanto da far sorgere numerosi dubbi di compatibilit`a con il dettato comunitario.
In primo luogo, secondo la direttiva europea il trattenimento dello straniero pu`o essere disposto solamente quando altre misure, dotate di un grado di minor coercizione, siano in concreto inefficaci. Al contrario, il T.U. contempla misure alternative al trattenimento soltanto come ipotesi eccezionali e manca del tutto la precisazione, essenziale, che il trattenimento deve essere considerato come ultima ratio.
In secondo luogo, mentre secondo la “direttiva rimpatri” il trattenimento `e legittimo solo in presenza di situazioni di ostacolo riconducibili alla volont`a del singolo, la leg-ge nazionale consente l’adozione della misura anche in situazioni del tutto indipendenti dall’interessato. Il legislatore italiano, pertanto, non solo ha ampliato i presupposti del trattenimento rispetto a quanto stabilito dalla direttiva europea, ma ha anche legittima-to la pubblica amministrazione ad adottare il provvedimenlegittima-to di trattenimenlegittima-to in ipotesi prive del requisito della tassativit`a. Infatti, il questore dispone il trattenimento qualora non sia possibile procedere con immediatezza all’allontanamento coattivo o al respingi-mento a causa di “situazioni transitorie che ostacolano la preparazione del rimpatrio o l’effettuazione dell’allontanamento”42. Tra queste vi pu`o essere, oltre alla sussistenza del rischio di fuga, la necessit`a di prestare soccorso allo straniero o di effettuare accertamenti supplementari in ordine alla sua identit`a o nazionalit`a, ovvero di acquisire i documenti per il viaggio o la disponibilit`a di un vettore idoneo. La durata massima del trattenimento, gi`a elevata a 180 giorni dalla legge 94/2009, viene ulteriormente dilatata, fino al limite massimo di 18 mesi previsto dalla direttiva. Pertanto decorsi i primi 180 giorni dall’inizio della misura, il questore pu`o, qualora non sia stato possibile effettuare l’allontanamento
nonostante sia stato compiuto “ogni ragionevole sforzo”, chiedere al giudice di pace la proroga del trattenimento per periodi non superiori a 60 giorni fino al raggiungimento del limite massimo di ulteriori 12 mesi. Tali proroghe possono essere chieste soltanto se l’impossibilit`a a procedere con l’accompagnamento coattivo dipende dalla mancata coo-perazione del cittadino di Paese terzo interessato, ovvero da ritardi nell’ottenimento della necessaria documentazione da Paesi terzi. Sotto quest’ultimo profilo, il disposto della direttiva `e stato trasposto in modo letterale. Di conseguenza `e auspicabile “che gli