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Il recesso determinativo: natura e funzion

IL RECESSO NELL’EVOLUZIONE DEL SISTEMA

4. Il recesso determinativo: natura e funzion

Sotto il profilo funzionale, la dottrina civilistica distingue tre possibili forme di recesso: il recesso determinativo, quello di autotutela ed infine quello di pentimento.

Il recesso determinativo (o ordinario) attiene, come detto, ai rapporti di durata nei quali difetta l‘apposizione di un termine finale, con il precipuo obiettivo di stabilire la fine del contratto. La ratio di tale forma di recesso è quella di consentire alle parti, nei vincoli negoziali a tempo indeterminato, di sciogliersi in qualsiasi momento dal contratto. Il legislatore, infatti, in quasi tutti i contratti di durata senza termine finale, prevede la facoltà di scioglimento unilaterale. Siffatta circostanza ha indotto parte della dottrina a ritenere che un numero così vasto di fattispecie tipizzate costituirebbero il fondamento di un principio di carattere generale attinente alla libertà di recesso nei contratti a tempo indeterminato.

Invero, in dottrina sussistono due diversi orientamenti. Secondo la prospettiva più risalente nel tempo, il recesso determinativo rappresenterebbe il corollario del principio secondo cui nel nostro ordinamento non sarebbero ammessi vincoli negoziali perpetui. In quest‘ottica, il recesso diventerebbe uno strumento sempre ammissibile e fisiologico, anche se non pattuito o stabilito per legge, perché sarebbe l‘unico rimedio volto a garantire la determinazione della fine del rapporto. L‘orientamento maggioritario, invece, ritiene che la ratio del recesso sia quella di colmare una lacuna contrattuale integrando il contratto carente sotto il profilo temporale della durata. Di conseguenza, ogniqualvolta le parti non fissano ab origine un termine non significa affatto che le stesse abbiano voluto stipulare un contratto perpetuo, in quanto lo stesso verrebbe naturalmente integrato tramite la previsione del diritto di recesso. Dall‘orientamento maggioritario, deriva, quindi, che il recesso opererebbe come effetto naturale del contratto e, quindi, rimesso alla libera

disponibilità delle parti, le quali potrebbero ad esempio prevedere lo scioglimento del vincolo secondo altre modalità.

Invero, si tratta di una valutazione in passato criticata dalla giurisprudenza, la quale ha avuto modo di affermare che l‘istituto del recesso ha carattere eccezionale 117 e la circostanza che la legge lo contempli in varie ipotesi di contratto a tempo indeterminato non è sintomatica dell‘esistenza di una regola generale della recedibilità ad nutum, poiché si tratterebbe, unitamente agli altri casi espressamente previsti, di eccezioni al principio secondo il quale il contratto ha forza di legge tra le parti (art. 1372 c.c.) 118. Tale ricostruzione presenta note di criticità poiché, come anticipato, tende a legittimare vincoli perpetui e indissolubili dai quali sorgono obblighi tra le parti senza possibilità di liberarsene, con conseguente limitazione della libertà negoziale.

Per tali ragioni, la dottrina e la giurisprudenza, specie in tempi recenti, sono decisamente inclini a considerare le ipotesi di recesso determinativo tipizzate dal legislatore come espressione di un generale principio di ―libera recedibilità‖, previo preavviso, dai contratti a tempo indeterminato tipici e atipici 119. Al riguardo è importante evidenziare che il legislatore, di norma, fa riferimento al concetto di termine "congruo", non stabilendo, in maniera precisa e generale, quale sia il termine che la parte recedente deve concedere all'altra per poter porre fine al contratto.

La funzione determinativa del recesso dal contratto di durata risponde, a ben vedere, ad un‘esigenza di ordine pubblico, posta a salvaguardia della

117 Cfr. GABRIELLI, PADOVINI, Recesso (dir. priv.), in cit., Milano, 1988, XXXIX, 35, secondo

i quali “può ammettersi che il potere di recesso non abbia natura eccezionale unicamente quando

con esso si reagisca all’inadempimento di rapporti ad esecuzione continuata”.

118 V. Cass. 22 febbraio 1963, n. 424, in italjure web.

119 Cfr. ROPPO, Il contratto, Milano, 2011, 518, il quale qualifica l‘ipotesi di recesso in esame

come recesso di liberazione perché consente alle parti di sottrarsi da un vincolo contrattuale che diversamente “peserebbe in modo intollerabile sulla sua libertà”.

libera circolazione delle risorse materiali e umane necessarie per garantire lo sviluppo economico 120. Viene così assicurato una sorta di ―moto circolare‖, dal momento che il contratto di durata non può prescindere dal garantire un coerente innesto nelle vicende economiche e sociali legate alla produttività e convenienza del mondo degli affari.

La costruzione delle categorie giuridiche, ivi compreso il recesso, deve necessariamente tener conto del contesto dell‘attività economica, soprattutto con riferimento ad un‘eventuale valutazione della responsabilità per danni 121.

L‘assunto proviene dalle sollecitazioni della dottrina, da sempre attenta a comprendere il funzionamento delle regole giuridiche alla luce della fenomenologia economica.

Dunque, la circostanza che il recesso determinativo sarebbe espressione di una regola generale va ulteriormente specificata anche in base alle superiori considerazioni.

In ogni caso, la possibilità di esercitare il recesso è subordinata al rispetto del principio di buona fede, in modo tale che la controparte possa adottare tutti i mezzi necessari per evitare i danni connessi al venir meno del rapporto contrattuale 122. Da ciò deriva la necessità di subordinare

120 Cfr. PAROLA, Il recesso determinativo di fonte legale, in Obbl. contr., 2011, 3, 209 ove si

afferma che la funzione del recesso determinativo è espressione di un principio di ordine pubblico a tutela sia del singolo perché mira a garantire la libertà e l‘autonomia negoziale, sia della collettività perché volto ad agevolare la circolazione dei beni nel mercato.

121 Interessanti la valutazioni espresse in merito da SANTINI, Il commercio. Saggio di economia

del diritto, Bologna, 1979, 14 che sollecita il giurista ―ad evitare di occuparsi del diritto soltanto in modo tradizionale, ragionando su categorie logiche astratte‖, ma anche di effettuare scelte

ragionate, combinando insieme i profili economici e giuridici, in una visione unitaria decisamente imprescindibile proprio per i contratti di durata. L‘auspicio è quello di evitare che l‘interprete si avvalga di un sistema chiuso del tutto avulso dalla realtà economica, atteso che ―l’impresa vive di

ripetizione di atti economici giuridicamente rilevanti‖.

122 Il rapporto tra diritto di recesso, buona fede e abuso del diritto verrà analizzato nel prosieguo

della trattazione. Cfr. PANETTI, Buona fede, recesso ad nutum e investimenti non recuperabili

dell’affiliato nella disciplina dei contratti di distribuzione in margine a Cass., 18 settembre 2009, n. 20106, in Riv. dir. civ., 2010, 6, 653; D‘AMICO, Recesso ad nutum, buona fede e abuso del diritto, in I contratti, 2010, 1, 5; GALGANO, Qui suo iure adubiturneminemlaedit?, in Contr. e

l‘esercizio del diritto di recesso ad un congruo preavviso, la cui estensione temporale viene determinata talvolta dalla legge (es. contratto di agenzia ex art. 1750 co, 3 c.c.) altre volte direttamente dalle parti. La ratio di una simile previsione risiede nell‘esigenza di evitare che l‘esercizio del recesso provochi turbamento nella sfera economica dell‘altro contraente, al quale è necessario concedere un termine ragionevole affinché quest‘ultimo possa provvedere in modo diverso 123.

Il legislatore, tuttavia, prevede che il preavviso non sia necessario nei casi in cui il recesso dipenda da una giusta causa. Si tratta di una formula elastica dalla quale deriva l‘impossibilità di continuare, anche temporaneamente, il rapporto contrattuale 124. Ciò implica che con riferimento ai contratti a tempo indeterminato la sussistenza di una ―giusta causa‖ incide non sull‘esistenza del diritto di recesso, ma sulle sue modalità di esercizio, divenendo motivo legittimo di esclusione del periodo di preavviso. Alla stregua di questa più ampia nozione di recesso, alla parte può essere sempre attribuito il potere di sciogliere gli effetti del contratto. Tuttavia, secondo una parte della dottrina e della giurisprudenza 125, il

impresa, 2011, 2, 312; D‘AMICO, Ancora su buona fede e abuso del diritto. Una replica a Galgano, in I contratti, 2011,7, 653; MAUGERI, Concessione di vendita, recesso e abuso del diritto note critiche a Cass. n. 20106/2009, in Nuova Giur.Civ. Comm., 2010, II, 319; RIZZUTI, Il divieto di abuso del diritto ed i suoi limiti, nota a Trib. Verona, 2 maggio 2012 , in Corr. Mer.,

2013, 1, 43; SANGIOVANNI, Abuso del diritto nel recesso del preponente dal contratto di

agenzia, in Il lav. Giur., 2014, 3, 269; MACARIO, Recesso ad nutum e valutazione di abusività nei contratti tra imprese: spunti da una recente sentenza della Cassazione, in Corr. Giur., 2009,

12, 1577.

123 Cfr. LA ROSA, Clausole di gestione delle sopravvenienze e giudizio di vessatorietà, in

Sopravvenienze e dinamiche di riequilibrio tra controllo e gestione del rapporto contrattuale, a

cura di TOMMASINI, Torino, 2003, 263.

124 Sul concetto di giusta causa si ricorda che la giurisprudenza, ad esempio, ha ritenuto giusta

causa di recesso immediato la condanna del lavoratore in sede penale (Cass. 20. 6. 2006, n. 14113, in Mass. Foro it., 2006).

125 FRANZONI, Degli effetti del contratto, in Commentario del codice civile, diretto da P.

Schlesinger, Milano, 1998, 357-358, in cui si richiama Cass. 22 dicembre 1983, n. 7579: «Il diritto

di recesso ex art. 1373 c.c., insuscettibile di interpretazione estensiva per la sua natura di eccezione al principio generale della irrevocabilità degli impegni negoziali, non può essere svincolato da un termine preciso o, quanto meno, sicuramente determinabile, in assenza del quale l’efficacia del contratto resterebbe indefinitamente subordinata all’arbitrio della parte titolare di

recesso da un contratto già eseguito da un certo tempo sia da ritenere inefficace perché contrario alla clausola generale di buona fede.

Orbene, accogliendo questa più estesa nozione di recesso, lo si potrà esercitare non soltanto per i contratti con effetti obbligatori, bensì anche in quelli ad effetti reali, effetti che si producono immediatamente, in ragione del consenso legittimamente manifestato, ai sensi dell‘art. 1376 c.c..

Il recesso, pertanto, in una logica complessiva può essere ricondotto all‘estesa categoria degli ―atti che scrivono la parola fine su qualcosa di giuridicamente rilevante‖ 126.

5. ( Segue) Il recesso in autotutela

In una numerosa serie di ipotesi il recesso è previsto espressamente come strumento di autotutela, tra l‘altro speculare rispetto ai rimedi ordinari di annullamento e risoluzione riconosciuti a favore di una o entrambe le parti per liberarsi dal vincolo contrattuale, in presenza di vizi originari o sopravvenuti successivamente alla stipulazione del contratto. Si tratta, in altri termini, della facoltà, riconosciuta dalla legge alle parti, di poter reagire a determinati eventi dai quali deriva un‘alterazione dell‘equilibrio contrattuale inizialmente predisposto. Di conseguenza, siffatta tipologia di recesso diviene esercitabile solo ed esclusivamente in presenza di determinati presupposti giustificativi: giusta causa, giustificato motivo o gravi motivi, formule ampie ed elastiche idonee a ricomprendere

tale diritto, con conseguente irrealizzabilità delle finalità perseguite con il contratto stesso».

Secondo CIMMINO, Il recesso unilaterale dal contratto, Padova, 2000, 11, il potere di recesso è imprescrittibile. Esclusa la prescrizione, la perdita per decorso del tempo del potere di recedere induce a richiamare l‘istituto tedesco della Verwirkung, su cui RESCIGNO, Manuale del diritto

privato italiano, Napoli 1996, 283; PATTI, voce Verwirkung, in Dig. disc. priv., sez. civ., XIX,

Torino 1999, 722.

126 ROMANO, La revoca degli atti giuridici privati, Padova, 1935, 34. La circostanza che il

legislatore del 1942 abbia accolto una nozione amplissima di recesso, comprendente negozi sia estintivi sia risolutivi è affermato anche da CORRADO, Recesso, revoca, disdetta (chiarimenti

sopravvenienze di carattere oggettivo 127. Si tratta, a ben vedere, di un rimedio diretto a fronteggiare evenienze ulteriori e diverse rispetto a quelle prese in considerazione dal rimedio risolutorio in generale, in quanto opera come meccanismo in grado di valorizzare gli interessi delle parti, attraverso la predisposizione di un potere il cui esercizio è subordinato al verificarsi di fatti, dai quali scaturisce l‘alterazione originaria dell‘equilibrio contrattuale inizialmente voluto dalle parti 128. Peraltro, il rimedio risolutorio necessita di un provvedimento giudiziale che, una volta passato in giudicato, determina lo scioglimento di un vincolo negoziale, con efficacia di massima retroattiva. Il recesso, invece, produce i suoi effetti in seguito ad una dichiarazione unilaterale e recettizia, indipendente dalla mediazione giudiziale e provoca di regola lo scioglimento del rapporto con efficacia non retroattiva 129. Il riconoscimento del potere di recesso, realizza, dunque, un interesse di natura procedimentale ad una più celere rimozione del vincolo.

Il diritto di recesso sub specie di autotutela è espressamente riconosciuto dal legislatore per determinate fattispecie. E‘ il caso di richiamare la disciplina prevista dall‘art. 1464 c.c. in materia di impossibilità sopravvenuta parziale della prestazione. In tal caso la prestazione, divenuta parzialmente impossibile per il sopravvenire di un fattore, impedisce in parte l‘attuazione del vincolo contrattuale incidendo sul sinallagma del rapporto. In simili circostanze, tuttavia, il recesso è consentito solo qualora il creditore non abbia ―un interesse apprezzabile

127 LA ROSA, op. ult. cit., 255.

128 LA ROSA, op. cit., 256, ove si precisa che la risoluzione per eccessiva onerosità non resta

assorbita dalla previsione del diritto di recesso, in quanto la risoluzione implica la proposizione della domanda giudiziale, mentre il recesso è un diritto potestativo che non rende necessaria l‘intermediazione giudiziaria.

129 Sulla distinzione tra risoluzione e recesso cfr. PADOVINI, Risoluzione e recesso, in Obbl.

all‘adempimento parziale‖, cioè a portare ad esecuzione il contratto, ancorché secondo modalità diverse da quelle inizialmente pattuite. Altra ipotesi è quella contemplata dall‘art. 1385 c.c. relativamente alla caparra confirmatoria, con la possibilità di recedere dal contratto trattenendo la caparra 130. Infine, con riguardo ad alcune discipline settoriali si ricordano gli artt. 1537 e 1538 c.c. in tema di compravendita di immobili, laddove nel caso in cui risulti una divergenza tra l‘entità quantitativa tra immobile promesso e trasferito e la divergenza superi una certa entità si potrà recedere.

6. (Segue) Il recesso di pentimento

Lo ius poenitendi è una forma di recesso prevista dal legislatore in relazione ad alcuni contratti di durata, in modo da consentire ad uno o ad entrambi i contraenti di sciogliersi da un vincolo contrattuale a lungo termine. Tutto ciò, in forza di una semplice personale valutazione di opportunità determinata da una complessiva rideterminazione melius re perpensa ovvero dopo aver ripensato, con più attenzione, ai vantaggi del contratto. Si tratta del c.d. recesso ad nutum, non subordinato alla sussistenza di una particolare giustificazione, in quanto i motivi che comportano un ripensamento non sono determinabili a priori, ed è di regola oneroso perché in tal caso il recedente dovrà tenere indenne la controparte sia sotto il profilo del danno emergente (spese sostenute) che del lucro cessante (mancato guadagno).

Tale forma di recesso, ove sia legittimamente praticabile, riguarda soprattutto i contratti aventi ad oggetto un facere, laddove il legislatore, al riconoscimento di un recesso immotivato, controbilancia il pagamento di un

130 Sul rapporto tra azione di risoluzione e risarcimento integrale del danno da una parte, e azione

di recesso e di ritenzione della caparra dall'altro, cfr. Cass., 30 novembre, 2015, n. 24337, in Dir.

prezzo. Ed infatti, di regola al soggetto che subisce il recesso ad nutum viene riconosciuto il diritto ad ottenere il risarcimento del danno subito commisurato all‘interesse positivo 131.

L‘obbligazione principale, quindi, non si estingue, ma viene sostituita con una diversa obbligazione di tipo risarcitorio, determinando così una destinazione più funzionale delle risorse economiche 132. In tal modo, il legislatore agevola l‘uscita del contraente (prevedendo tipiche figure di recesso ad nutum) tutte le volte in cui, per varie ragioni, sia venuto meno, per una delle parti, l‘interesse alla prosecuzione del rapporto, garantendo così una migliore allocazione delle risorse. Diversamente opinando, se non vi fosse la possibilità di recedere, rimarrebbe in essere un contratto la cui prestazione verrebbe inutilmente eseguita dietro il pagamento dell‘intero corrispettivo pattuito, con conseguente spreco di risorse per entrambi i contraenti 133.

131 Sulla possibilità di determinare in via convenzionale il risarcimento del danno v.

DELLACASA, Recesso discrezionale e rimedi contrattuali, Torino, 2008, 82 ove si segnala la prevalenza di un orientamento di segno liberale volto a consentire all‘autonomia privata di determinare le conseguenze del recesso sul piano risarcitorio e ciò sulla base del principio della derogabilità delle norme che attribuiscono al committente lo ius poenitendi. In giurisprudenza cfr. Trib. Bologna, 21giugno 2005, in Foro padano 2007, 2, I, 330 : “La pattuizione delle parti, che

ponga a carico del committente l'obbligo di corrispondere l'intero corrispettivo dell'appalto, equivale ad escludere il diritto di recesso”; nonché Cass., 29 gennaio 2003, n. 1295, in Giust. civ. mass. 2003, 212: “La facoltà di recesso dal contratto di appalto (nella specie, di servizi condominiali) è riconosciuta al committente dalla norma di cui all'art. 1671 c.c., il cui carattere non inderogabile, peraltro, consente che le parti ben possano regolare contrattualmente gli effetti patrimoniali del recesso stesso e liquidare, anticipatamente e forfettariamente, spese, lavori eseguiti e mancato guadagno dell'appaltatore, commisurandoli (come nella specie), in caso di appalto di servizi, ai canoni per un determinato periodo futuro”.

132 Cfr. GABRIELLI e PADOVINI, Recesso, in Enc. Dir., cit., 27 ss. Dal riconoscimento del

diritto al risarcimento del danno consegue la trasformazione del vincolo contrattuale, in quanto l‘esperimento del diritto di recesso comporta un‘esecuzione per equivalente del negozio giuridico. Di conseguenza, sotto il profilo economico la parte che subisce il recesso non sopporterà alcun pregiudizio, tuttavia, tale sistema determina un risparmio delle risorse che la parte recedente potrà decidere di allocare diversamente.

133 Cfr. FRANZONI, Degli effetti del contratto, I, Efficacia del contratto e recesso unilaterale,

Milano, 1998, 352 ove si afferma che lo ius poenitendi tende a prevenire sprechi veri e propri di risorse, che certamente non possono essere favoriti da un sistema giuridico tendenzialmente rispettoso delle regole del mercato.

Nella disciplina dei contratti tipici si riscontrano una serie di ipotesi nelle quali il legislatore riconosce ad una o ad entrambe le parti il diritto di recedere indipendentemente dalla sussistenza di qualsivoglia presupposto, sulla base della semplice manifestazione di volontà della parte 134. A titolo esemplificativo, si ricorda la disciplina del contratto di appalto, nel quale il legislatore riconosce alla parte committente il diritto di recedere liberamente (art. 1671 c.c.) 135, allo stesso modo è previsto il diritto di recesso del mittente nel trasporto di cose (art. 1685 c.c.) 136; il diritto spettante al mandante, al committente e al mittente nel mandato nei suoi sottotipi (artt. 1723,1725,1734,1738 c.c.) 137 ed infine il diritto di recesso nel contratto di lavoro autonomo (artt. 2227 e 2237 c.c.).

Invero, in quest‘ultimo caso, è necessario evidenziare che il legislatore per il recesso dal contratto d‘opera intellettuale prevede una disciplina peculiare. Si tratta dell‘unica ipotesi in cui viene attribuito il diritto di recesso in assenza di un obbligo di risarcire il danno con riguardo alle prestazioni da eseguire e, quindi, non ancora realizzate. In altri termini, ai sensi dell‘art. 2237 c.c., il legislatore sancisce il principio secondo cui il

134 Per un‘attenta analisi sul recesso e risarcimento nei contratti di locatio operis e di mandato si

veda DELLACASA, op. cit., 29.

135 Sul recesso unilaterale del committente v. Cass. 13 ottobre 2014, n. 21595, in I contratti, 2015,

3, 230 con nota di SORBILLI, la quale mette in luce il fondamento di una disciplina che concede al solo committente, e non anche all‘appaltatore, il diritto di recesso. La ratio risiede nella qualifica del contratto di appalto come contratto intuitu personae e, pertanto, il diritto di recesso diviene necessario strumento per ripristinare l‘equilibrio iniziale tra le parti, il quale potrebbe essere stato interrotto dalla presenza di sopravvenute circostanze, che hanno fatto venir meno la fiducia nella persona dell‘appaltatore o l‘utilità stessa dell‘opera o del servizio.

136 Si tratta nello specifico di un diritto di contrordine che viene parificato al diritto di recesso. Per

un‘analisi si veda GABRIELLI, Vincolo contrattuale e recesso unilaterale, Milano, 1985, 75; in senso difforme v. GRIGOLI, Il trasporto, in Tratt. Dir. Priv., diretto da Rescigno, XII, torino, 1985, 767; RIGUZZI, Il contratto di trasporto stradale, in Tratt. Dir. priv., diretto da Bessone, XIV, Torino, 2000, 127 ss.

137 Invero, nella disciplina del mandato il legislatore tratta di revoca e non di recesso. Tuttavia, la

qualificazione della revoca del mandato in termini di recesso è ormai univoca. Sul punto cfr., tra gli altri, LUMINOSO, Il mandato, in Tratt. Dir. priv., diretto da Rescigno, 12, Obbl. contr., IV, 2 ed., Torino, 2007, 527;

cliente può recedere dal contratto rimborsando al prestatore d‘opera solo le spese sostenute, nonché pagando il corrispettivo per l‘opera svolta, mentre il prestatore d‘opera può, a sua volta, recedere dal contratto per giusta causa ed avrà diritto al rimborso delle spese fatte ed al compenso per l‘opera svolta, da determinarsi con riguardo al risultato utile ottenuto dal cliente.

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