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CONSERVAZIONE DEL CONTRATTO

4. L’oggetto dell’obbligo

La configurazione di un obbligo di rinegoziazione di fonte convenzionale e/o legale ricavabile dal sistema rende necessaria una ulteriore indagine volta ad individuare il suo ambito di operatività, al fine di verificare se lo stesso si esaurisca nell‘obbligo di trattare o se, viceversa, imponga un vero e proprio obbligo di raggiungere l‘accordo e, quindi, un vero e proprio obbligo a contrarre 213.

212 Sull‘argomento si rinvia al saggio di GABRIELLI, Offerta di riduzione ad equità del contratto,

Dig. disc. priv., Sez. civile, Agg., II, Torino, 2003, p. 981. Su tale lunghezza d‘onda si innesta la

norma di cui all‘art. 1467, co. 3, c.c. che, per l‘appunto, prevede un‘offerta come facoltà della parte contro la quale è intimata la risoluzione con l‘unico limite che il rimedio alla revisione - sia pure nell‘immaginario della fattispecie codicistica - venga richiesto solo dalla parte contro la quale è avanzata la richiesta di risoluzione per una diminuzione del prezzo.

213 La differenza tra obbligo a trattare e obbligo a contrarre è stata analizzata dalla Corte di

La flessibilità che contraddistingue l‘obbligo di rinegoziazione, induce a ritenere che lo stesso dia vita, per usare una tradizionale terminologia, ad una obbligazione di mezzi 214 non già di risultato, in forza della quale le parti sono tenute a condurre nuove trattative 215. In questa prospettiva, l‘esatto adempimento dell‘obbligo di rinegoziare si realizza nel momento in cui le parti, in presenza di sopravvenienze, instaurano trattative leali e collaborative, indipendentemente dalla conclusione finale dell‘accordo. Pertanto, se i contraenti non trovano un punto di intesa e le trattative naufragano per causa non imputabile al promissario, quest‘ultimo non può essere considerato inadempiente 216.

Dal principio suesposto si ricava che, il contraente svantaggiato dalla sopravvenienza, generalmente interessato a domandare alla controparte l‘adeguamento del contratto, è tenuto ad indicare le modifiche da apportare alle condizioni precedentemente pattuite; in tal caso, l‘altro contraente deve cooperare e condurre la rinegoziazione, secondo i canoni della buona fede217.

preliminare dà vita ad un obbligo di trattare. Dal contratto preliminare, invece, sorgerebbe un vero e proprio obbligo a contrarre coercibile ex art. 2932 c.c., cfr. Cass. Sez. Un., 06 marzo 2015, n. 4628, in Responsabilita' Civile e Previdenza 2015, 2, 619

214 E‘ opportuno segnalare che la giurisprudenza, a partire dal 2001, ha sdoganato la differenza tra

obbligazioni di mezzi e di risultato, sottolineando che entrambe sono finalizzate a riversare nella sfera giuridica del creditore una ―utilitas‖ oggettivamente apprezzabile. Cfr. Cass., 28 febbraio, 2014, n. 4876, in Dir. & giust., 2014; Cass., Sez. Un., 30 ottobre, 2001, n. 13533, in Foro it., 2002, I, 770.

215 Cfr. sul punto MARASCO, op.cit., p. 134 ss.; Cfr. MACARIO, Adeguamento e rinegoziazione,

cit., p. 343, ove si legge ―essere obbligati a trattare vuol dire essere obbligati a porre in essere tutti quegli atti che, in relazione alle circostanze, possono concretamente consentire alle parti di accordarsi sulle condizioni dell‘adeguamento del contratto, alla luce delle modificazioni intervenute‖.

216 In questo senso v. PIGNALOSA, op. cit., p. 419, ove si evidenzia che le clausole di

rinegoziazione obbligano le parti a tenere un determinato comportamento, imponendo una condotta.

217 L‘obbligo di tenere un comportamento corretto sussiste anche per il contrante interessato alla

rinegoziazione, il quale è tenuto a chiedere la modificazione del contratto soltanto se ricorre un mutamento delle circostanze idoneo a dar vita all‘obbligo di rinegoziazione nei termini suesposti.

In questa prospettiva dalla rinegoziazione nascerebbe l‘obbligo per le parti di tenere un determinato comportamento, e più precisamente di condurre le trattative secondo buona fede con una condotta collaborativa volta al riadattamento del contratto.

Tale ricostruzione è stata messa in discussione da una parte della dottrina, la quale ritiene che la rinegoziazione implichi un vero e proprio obbligo a contrarre 218, sicché i principi di buona fede e di solidarietà dovrebbero ispirare le parti al fine di cooperare per ricostituire l‘originario equilibrio economico tra le prestazioni, riadattandolo alle sopravvenienze.

L'estensione, nel segno di uno spirito cooperativo, del principio di buona fede verso l'intero complesso delle relazioni commerciali evoca, quindi, paradigmi non più assiologici, quali la proporzionalità o la giustizia del contratto, che hanno tradizionalmente forgiato il concetto di abuso del diritto di stampo liberale, ma di natura economica, strettamente radicati nelle dinamiche del sistema.

Invero, la diversa valenza della rinegoziazione come obbligo a trattare o a contrarre deriva anche dall‘ambito di applicazione di tale meccanismo. In altri termini, in presenza di ipotesi di rinegoziazione convenzionale occorrerà esaminare il contenuto della clausola pattuita dalle parti, sicché a fronte di clausole c.d. generiche nascerebbe l‘impegno delle parti a mettere in discussione l‘originario contratto, al sopravvenire di fenomeni perturbativi che alterano l‘equilibrio contrattuale. Ed infatti, la circostanza che le parti non abbiano indicato rigidi criteri di rideterminazione dell‘accordo, induce a ritenere che le stesse non si siano impegnate a contrarre, essendo libere di determinare l‘an e il quomodo della rinegoziazione 219.

218 Per una sintetica ricostruzione in tal senso, AMELIO, La gestione delle sopravvenienze e

l’obbligo di rinegoziazione del contratto, in www.salvisjuribus.it, febbraio 2017.

Viceversa, nel caso in cui le parti abbiano pattuito clausole di adeguamento, indicando ex ante i parametri di aggiustamento negoziale appare legittimo rilevare che si è in presenza di un‘obbligazione di risultato avente ad oggetto l‘adeguamento del contratto 220.

In termini generali, tuttavia, la rinegoziazione determina l‘obbligo di dare inizio e portare avanti una nuova contrattazione, alla luce e nel rispetto dei canoni di buona fede e correttezza. La buona fede, quindi, deve guidare le parti nel procedimento rinegoziativo, quale canone di condotta da seguire, indipendentemente dalla presenza o meno di apposite pattuizioni. La rinegoziazione opera, dunque, come strumento per individuare le modalità concrete di realizzazione dell‘interesse preso in considerazione dalle parti al momento della stipulazione del contratto.

D‘altro canto non sembra possibile immaginare inadempimento dell'obbligo di rinegoziare nel caso in cui le parti, pur trattando in buona fede, non giungano ugualmente a concludere un accordo modificativo del contratto originario 221.

In questa prospettiva, nel caso in cui non riescano a raggiungere un accordo modificativo, le parti potranno ricorrere ai tradizionali rimedi previsti dal legislatore.

220 Per una analisi sul punto v. MARASCO, op. cit., 135.

221 Non si può infatti pretendere che le parti di un contratto a lungo termine, rinegoziando in buona

fede l'accordo iniziale, riescano sempre a concludere un negozio modificativo del contratto originario. Cfr. in questi termini Macario, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo

termine, cit., p. 350-351, il quale afferma che: «l'esito infruttuoso delle trattative non implica l'inadempimento, com'è ovvio; ma, anche indipendentemente dall'ammissibilità di un vero e proprio obbligo delle parti di raggiungere l'accordo modificativo, che incontra la difficoltà teorica di conciliare il margine di discrezionalità insito in ogni trattativa con l'obbligo pattizio già assunto, il comportamento delle parti potrà essere valutato senza dubbio sul piano della conformità al criterio della buona fede».

5. Rimedi per l’inadempimento dell’obbligo: tutela risarcitoria e

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