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Segue: possibile graduazione dei meccanismi in una logica d

GIUSTO RIMEDIO ED EFFETTIVITA’ DELLA TUTELA TRA RECESSO E RINEGOZIAZIONE

3. Segue: possibile graduazione dei meccanismi in una logica d

effettività ed adeguatezza dell’apparto rimediale

Premesse le superiori considerazioni è necessario verificare quali siano le concrete applicazioni del principio di effettività, declinato sui paralleli piani dell‘equilibrio negoziale e del giusto contratto. Da qui la richiamata centralità del c.d. ―fatto materiale‖, sicuro elemento risolutivo, indicativo e performante, al fine di valutare e soppesare le sopravvenienze tipiche dei contratti di durata. Ed infatti, nell‘accezione comune di effettività, convenzionalmente intesa come semplice constatazione del paradigma indicante l‘emersione del fatto storico sopravvenuto 266, emerge in tutta la sua evidenza la funzione regolatrice, peraltro dello stesso principio di effettività, che finisce per operare come un ―giudizio di accertamento circa la vigenza del diritto positivo‖ 267.

In tale direzione il profilo dell‘effettività, quindi, non solo verifica la portata dell‘evento sul piano concreto e tangibile, ma altresì dispone quali siano i precetti, strutturati all‘interno dell‘ordinamento giuridico vigente, in grado di interagire con l‘evento materiale stesso. Orbene, in siffatta prospettiva, diviene fisiologico che il dato centrale e apprezzabile sul piano empirico del mutamento delle circostanze di fatto, come effetto indotto e secondario, ―determini il cambiamento delle norme‖ 268. Il risultato di cui sopra, scevro da condizionamenti e regole giuridiche universalmente riconosciute, costituisce indubbiamente un efficace momento di mediazione

266 Altri possono essere i significati del termine, soprattutto se considerato in riferimento alla

tutela, oppure considerando l‘autorità promanante: a) nel primo caso il grado di incidenza, in termini reali e precettivi, del diritto correlato; il secondo caso nell‘immedesimazione organica nell‘autorità (amministrativa o giurisdizionale) che conferisce effettività (rectius: vigenza) al diritto positivo.

267 Si segnalano, nel merito, le riflessioni di FALANGA, Il principio di effettività nella teoresi di

A. Catelani e H. Kelsen , in Società e Diritti, riv. elettr., 2017, anno II, n. 3, soprattutto alle pp. 2 e

3.

268 La prospettiva è quella di CATELANI, Il diritto come struttura e come forma, Soveria

tra prassi e diritto; nel senso che raffigura l‘elemento di congiunzione tra gli accadimenti concreti, evolutivi rispetto alla rappresentazione negoziale originariamente prospettata, e quest‘ultima, con l‘arduo compito di accertare e regolare, nell‘attualità, la situazione di fatto esistente.

In origine, invero, aleggiava la sensazione - diffusa, però, solo in una risalente dottrina italiana 269 - che il principio di effettività avesse l‘effetto negativo di ridurre il diritto al mero fatto. Orbene, la pur remota possibilità di una tale evenienza è, però, scongiurata del tutto perché il fatto, ratificato dalle regole giuridiche, è solo il fatto sociale, ed il timore che la norma astratta possa subire un condizionamento è del tutto infondato, atteso il dato incontestabile dell‘evoluzione sociale ed economica che non solo giustamente coinvolge la moderna scienza giuridica, ma obbliga ad una rilettura delle logiche del mercato degli scambi e delle soluzioni negoziali che richiedono sempre più frequenti e radicali accelerazioni 270.

Nell‘attualità, non è contestabile che il principio di effettività vada modulato in riferimento agli strumenti di gestione del rapporto negoziale, validamente riconducibili alla due opposte alternative del recesso e della rinegoziazione.

La tutela del contraente tra rinegoziazione e recesso, impone a questo punto di verificare quali siano le possibili relazioni reciproche e le interferenze al fine di accertare se sia configurabile una graduazione tra i due meccanismi ed individuare il giusto rimedio, in ossequio al principio di effettività dell‘apparato rimediale.

In particolare, ci si interroga sulla possibilità di attribuire ruolo primario all‘obbligo di rinegoziazione e, di conseguenza, assegnare al recesso carattere residuale e sussidiario rispetto al primo. In questi termini, al

269 Tracce di tale indicazione sono in SALVIOLI, l’“effettività” in diritto internazionale, in Riv.

dir. pubbl., 1953, II, 280.

verificarsi della sopravvenienza, le parti dovrebbero innanzitutto intavolare le trattative per cercare di salvaguardare il rapporto negoziale e, in subordine, ove ciò non sia possibile, troverà spazio il diverso rimedio di tipo caducatorio. Il diritto di recesso, quindi, verrebbe limitato dall‘obbligo di rinegoziazione, in quanto il primo sarebbe esercitabile solo se quest‘ultimo non appare una soluzione concretamente praticabile.

Invero, la configurabilità di una simile relazione tra rinegoziazione e recesso determinerebbe, a cascata, un ampliamento dei poteri attribuiti al giudice in sede di cognizione. Ed infatti, circoscrivere l‘ambito di applicazione del recesso, avrebbe come inevitabile conseguenza quella di sottoporre al vaglio del giudice la legittimità dello stesso ogniqualvolta il recesso venisse esercitato senza aver previamente esperito la rinegoziazione.

D‘altro canto, il riconoscimento di un potere di recesso (sub specie di autotutela) non è condizione sufficiente per un suo legittimo esercizio, di conseguenza la valutazione di legittimità dell‘esercizio del diritto di recesso necessita un‘attenta analisi del comportamento delle parti e, segnatamente, della sfera della parte svantaggiata (dalla sopravvenienza), al fine di verificare il comportamento della medesima parte, la quale potrebbe optare per lo scioglimento del contratto al sol fine di evitare i costi necessari per far fronte alla rinegoziazione. L‘indagine, quindi, non può essere condotta sulla base di una mera valutazione astratta, ma dovrà essere vagliata tenendo conto della concreta situazione che matura ex post a seguito della sopravvenienza, per poi verificare se l‘eventuale disfunzione del rapporto negoziale potrà, essere superata, facendo ricorso a rimedi che incidano sugli interessi contrapposti in modo più idoneo e, quindi, tramite meccanismi di conservazione del rapporto contrattuale.

La giurisprudenza, invero, più volte ha ribadito l‘esigenza di valutare in concreto le modalità dell‘esercizio del diritto di recesso, al fine di arginare

condotte ―abusive‖ in contrasto con i principi di buona fede e correttezza

271. Attenta dottrina, sotto questo profilo, ha messo in evidenza il rapporto

tra abuso del diritto e buona fede 272, i quali non sarebbero perfettamente sovrapponibili ed equivalenti, giacché differiscono sia sotto il profilo operativo che del tipo di controllo al quale sono preordinati 273.

La soluzione al quesito suesposto, tuttavia, non può prescindere da una valutazione del caso concreto che tenga conto del tipo di sopravvenienza intervenuto, dell‘assetto dei mercati nonché del comportamento delle parti. Sulla base di queste valutazioni la rinegoziazione, quale corollario del principio generale di buona fede e correttezza, potrebbe essere l‘auspicabile soluzione volta a mantenere il rapporto giuridico nel rispetto degli interessi delle parti divisato nel programma negoziale.

Di conseguenza, in quest‘ottica, la soluzione abdicativa del recesso diverrebbe quella preferibile solo in via subordinata e, cioè, quando lo strumento della rinegoziazione non sia in grado di ripristinare il corretto assetto degli interessi delle parti.

Ne discende che, alla luce del nuovo assetto dei mercati e della fenomenologia di contratti di lunga durata, si assiste ad una tendenziale prevalenza degli strumenti conservativi rispetto ai diversi rimedi di tipo caducatorio, perché maggiormente in grado di assecondare gli interessi delle parti nell‘ottica di una tutela efficiente, volta a salvaguardare la

271 Sul recesso abusivo v. Cass., 18 settembre 2009, n. 20106, in I contratti, 2010, 1, 5 e ss. con

nota di D‘AMICO.

272 Sul punto cfr. tra tutti LA ROSA, Tecniche di regolazione dei contratti e strumenti rimediali,

Milano, 2012, 156.

273 Ed infatti, mentre la buona fede opera come fonte di integrazione contrattuale obbligando le

parti a vincoli ulteriori volti a garantire la salvaguardia delle rispettive posizioni giuridiche, con il solo limite dell‘apprezzabile sacrificio; l‘abuso del diritto si realizza quando il diritto viene esercitato per ottenere utilità diverse e ulteriori rispetto a quelle che il contenuto del diritto stesso garantisce. Di conseguenza, il sindacato che svolge l‘abuso è una tecnica di controllo di tipo funzionale volta a sindacare lo scopo per il quale il diritto è esercitato.

continuità e la regolarità dell‘esecuzione per tutto il periodo di tempo pattuito.

Da ciò, tuttavia, non deriva il principio secondo il quale i meccanismi della risoluzione del recesso siano a priori insufficienti e inadeguati, atteso che la valutazione della loro operatività dovrà necessariamente avvenire attraverso una coerente valutazione delle sopravvenienze e delle circostanze del caso concreto. Vero è che si propende a favore dei meccanismi conservativi del rapporto negoziale, però, è anche vero che non sempre ciò è concretamente possibile.

Da queste ultime riflessioni si ricava che il rimedio della rinegoziazione non può, in assoluto, rappresentare la chiave di volta di ogni sopravvenienza e, pur nella decisa apprezzabilità dello strumento manutentivo del contratto che, a parità di condizioni, è decisamente preferibile a quello ablativo, non può sempre escludere l‘opzione (sia pure marginale) del recesso. La scelta non potrà certamente essere arbitraria o esclusivamente basata sulla discrezionalità di uno dei due contraenti: dovrà diversamente fondarsi sul criterio della meritevolezza degli interessi perseguiti dalle parti che, a sua volta, andrà raccordato con il principio dell‘effettività della tutela nel rispetto del canone di buona fede durante l‘esecuzione del rapporto.

I due profili della meritevolezza degli interessi e dell‘effettività della tutela rappresentano, nello specifico del rapporto sinergico che ne determina la sostanziale unitarietà, il criterio discretivo attraverso il quale è possibile valutare il grado dello squilibrio contrattuale determinato dalle sopravvenienze. In tal senso emerge un processo di progressiva oggettivizzazione della tutela di entrambi i contraenti nei rapporti di durata. Questi ultimi, per l‘appunto, nell‘ambito delle operazioni contrattuali caratterizzate dal dato fisiologico della continuità, sono meritevoli di un nuovo e più flessibile assetto regolativo, a causa del potenziale

perturbamento che sovente scaturisce dall‘esecuzione stessa del contratto incidendo sulla sua funzionalità. In tal senso la dimensione temporale potrebbe costituire, se non risolvibile attraverso la rinegoziazione, un vero problema che potrebbe minare, in casi estremi, la stessa libertà dei contraenti e, per l‘effetto, pregiudicare le contrattazioni e le relazioni di mercato tra le imprese.

4. Il recesso come strumento in funzione di deterrence volto ad

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