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Il recesso come strumento in funzione di deterrence volto ad incentivare la rinegoziazione

GIUSTO RIMEDIO ED EFFETTIVITA’ DELLA TUTELA TRA RECESSO E RINEGOZIAZIONE

4. Il recesso come strumento in funzione di deterrence volto ad incentivare la rinegoziazione

Un successivo passo necessario come approfondimento sistematico, è quello di offrire un‘interpretazione alternativa rispetto alla ricostruzione tradizionale dei due istituti, nel segno non più di una netta contrapposizione, bensì nel tentativo di funzionalizzare il recesso come mezzo per giungere alla rinegoziazione. Ci si interroga, in particolare, sulla possibilità di valutare la percorribilità di uno spazio operativo che non veda in assoluto un inconciliabile contrasto tra i due rimedi, ma una perfetta sinergia finalizzata all‘unico obiettivo di mantenere in vita il contratto adeguandolo alle sopravvenute circostanze. In questa prospettiva, il rapporto tra rinegoziazione e recesso potrebbe essere analizzato sotto un altro profilo che tenga conto della complementarietà e della possibile reciproca integrazione dei due rimedi.

In tutti i rapporti di durata la parte, che intende sciogliere il contratto, è tenuta a dimostrare, in conformità al principio relativo alla ripartizione dell'onere probatorio sancito dall'art. 2697 c.c., la sussistenza di un fatto idoneo al recesso 274. A questi fini, è necessaria una preventiva

274 Cfr. sullo specifico argomento una recente sentenza di merito. App. Roma, 10 maggio 2017, n.

3121, in plus iuris ―Il diritto di recesso si esercita con l'invio, entro i termini previsti, di una comunicazione scritta che può essere inoltrata mediante telegramma, telex, posta elettronica e fax, a condizione che sia confermata mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento entro le quarantotto ore successive; la raccomandata si intende spedita in tempo utile se consegnata all'ufficio postale accettante entro i termini previsti dal codice o dal contratto, ove diversi. L'avviso

comunicazione di fronte alla quale la controparte potrebbe legittimamente offrire una soluzione compromissoria finalizzata al mantenimento in vita del contratto, aprendo così le trattative di rinegoziazione.

Una siffatta e auspicabile evenienza induce a riconsiderare gli aspetti positivi riconducibili ai potenziali effetti di deterrence che concretamente il recesso potrebbe dispiegare 275, nel senso che, dalla tradizionale (e tipica) connotazione negativa volta ad estinguere il contratto, emerge una potenzialità di segno opposto, vale a dire l‘opportunità di avviare, dopo la notifica dell‘intento di voler recedere, trattative per incoraggiare il mantenimento in vita, sia pure con i necessari correttivi, del contratto.

Lo strumento del recesso, in tal caso, assume il ruolo e la funzione di mezzo al fine di incentivare la rinegoziazione. Le parti stesse nell‘ambito della loro autonomia negoziale potrebbero strumentalizzare il diritto di recesso per valorizzare l‘obbligo di rinegoziazione, pattuendo clausole dalle quali scaturisce il riconoscimento del diritto di recesso al verificarsi della mancata intavolazione o non corretta conduzione delle trattative per rideterminare il programma negoziale al verificarsi di sopravvenienze. In tal caso, il recesso opererebbe non solo quale rimedio contro l‘inadempimento, ma anche come strumento con funzione di deterrence volto ad incentivare la rinegoziazione.

Il recesso, come meccanismo reattivo, può essere ricostruito in via interpretativa attraverso il riferimento alla giusta causa, ravvisando nell‘inadempimento il fattore causale in cui trova giustificazione lo scioglimento del contratto. Si tratta di una ipotesi di recesso affine alla risoluzione, ma più duttile ed efficace, costituendo strumento di autotutela, che non necessita dell‘intermediazione giudiziaria.

di ricevimento non è, comunque, condizione essenziale per provare l'esercizio del diritto di recesso‖.

275 Per un‘applicazione dell‘obiettivo deterrence in giurisprudenza, cfr. Cass. 15 aprile 2015, n.

In questa più ampia dimensione appare possibile prospettare una rielaborazione della figura di recesso per inadempimento, anche sul piano dell‘esplicazione dell‘autonomia privata, riconducendola nell‘ambito della condizione risolutiva, in considerazione del fatto che la giurisprudenza ha recentemente rivisto la sua posizione, affermando che l‘inadempimento degli obblighi contrattuali può essere validamente dedotto in condizione seppure rappresenti un elemento essenziale intrinseco al rapporto 276. A maggior ragione ciò può valere per l‘inadempienza dell‘obbligo di rinegoziazione, costituendo un evento connotato da complessità (sopravvenienza e mancata rinegoziazione), avente i caratteri della estrinsecità e della incertezza. Ad ulteriore conferma va rilevato che la ricostruzione del recesso come condizione risolutiva di inadempimento costituisce una variante pattizia della clausola risolutiva espressa 277.

276 In giurisprudenza si è assistito ad un intenso dibattitto circa l‘ammissibilità o meno, nel nostro

ordinamento, della c.d. condizione di inadempimento. Con il termine condizione di inadempimento si indica l‘ipotesi in cui sia dedotto in condizione il fatto storico dell‘adempimento o dell‘inadempimento di uno dei contraenti. Il riconoscimento di una siffatta condizione importa per la controparte la possibilità di tutelarsi dall‘inadempimento, potendo contare sull‘inefficacia discendente ―ipso iure‖ dall‘operare della condizione. Un simile obiettivo può essere perseguito o attraverso una condizione c.d. sospensiva di adempimento, che subordini l‘efficacia del contratto all‘adempimento, o deducendo in contratto una condizione c.d. risolutiva di inadempimento, che subordini la cessazione degli effetti del contratto al fatto dell‘inadempimento. Con la condizione di inadempimento si persegue l‘obiettivo di sottoporre il fatto storico dell‘inadempimento alla disciplina della condizione di cui agli artt.1353 e ss., così determinando retroattivamente la perdita di efficacia dell‘intero contratto. Vedi sul punto BIANCA, Diritto civile, 3, Il contratto, Milano, 2000, 545; PATTI, La condizione di adempimento, in Vita not., 2000, 1163; PETRELLI, La condizione elemento essenziale del negozio giuridico, Milano, 2000; CARUSI, Teoria e prassi del negozio condizionato, nel Trattato Roppo, Milano, 2006, 356. In giurisprudenza v. Cass. 21 aprile 2010, n. 9504, in Imm. e propr., 2010, 7, 458: ―Qualora

l'inadempimento di una delle parti alle obbligazioni contrattuali sia stato dedotto in contratto quale condizione risolutiva, l'inadempimento stesso, una volta verificatosi, non può essere fondatamente invocato dalla controparte quale illecito contrattuale e fonte d'obbligazione risarcitoria ex art. 1223 c.c., trattandosi invece del legittimo esercizio di una potestà convenzionalmente attribuita, in quanto costituente l'evento espressamente dedotto in condizione risolutiva potestativa per concorde volontà di entrambe le parti‖.

277 Nonostante le apparenti affinità, la condizione di inadempimento va distinta dalla clausola

risolutiva espressa. Sebbene entrambe conducano alla risoluzione del contratto cui sono apposte, nella condizione risolutiva di inadempimento la risoluzione opera secondo le regole della condizione del contratto, mentre nella clausola risolutiva espressa la risoluzione si verifica di diritto, allorquando la parte interessata dichiari all‘altra che intende avvalersi della clausola. L‘art. 1458 c.c. scolpisce una regola di carattere generale, disponendo che la risoluzione del contratto per inadempimento ha effetto retroattivo tra le parti, ma non pregiudica i diritti acquistati dai terzi.

Evidente è, in tal senso l‘approdo all‘analisi economica del diritto, atteso che la tecnica giuridica del recesso viene utilizzata per conseguire un risultato del tutto opposto a quello tipico dell'istituto. E' chiaro che in questo caso il recesso opererebbe come una ―minaccia‖ finalizzata ad esortare le parti ad adeguare il contratto al fine di evitare le conseguenze negative, soprattutto in termini economici della estinzione del negozio e, quindi, i costi di nuove contrattazioni. Combinare insieme le variabili della concreta fattispecie delle sopravvenienze, correlata agli elevati costi dell'operazione ―recesso‖ 278, potrebbe condurre, sia pure con il necessario

Sono fatti salvi, in ogni caso, gli effetti della trascrizione della domanda di risoluzione. Nella clausola risolutiva espressa, pertanto, la risoluzione ha efficacia obbligatoria e non reale, con la conseguenza che la retroattività della risoluzione non è inopponibile ai terzi. Nella condizione di inadempimento, invece, la retroattività è reale, ha un‘efficacia erga omnes, sicché il terzo subirebbe la risoluzione. Vale infatti il principio per cui chi acquista ―sub condicione‖ ne subisce gli effetti. In ciò si ravvisa la principale funzione della condizione di inadempimento, consistente nella necessità di tutelare chi subisce l‘inadempimento dal rischio dell‘insolvenza della controparte che avesse alienato il bene, nonché dal rischio della irrecuperabilità del bene ormai confluito nella sfera giuridica di un terzo. Di fronte al possibile pregiudizio sofferto dal terzo a causa della opponibilità in suo confronto della condizione, l‘ordinamento ammette la prevalenza del terzo ogniqualvolta quest‘ultimo abbia provveduto per primo a trascrivere il proprio atto di acquisto, laddove si tratti di beni immobili o di beni mobili registrati, o, per il caso di beni mobili, abbia acquistato per primo il possesso in buona fede sulla base di un titolo astrattamente idoneo, facendo così salvo il proprio acquisto in virtù della regola possesso di buona fede vale titolo (art. 1153 c.c.). Infine, mentre la risoluzione di diritto, benché convenuta mediante clausola risolutiva espressa, non pregiudica la possibilità di attivare i rimedi risarcitori, che si aggiungeranno a quelli risolutori, nel caso in cui si avveri l‘inadempimento dedotto in condizione viene meno l‘intero contratto, con la conseguente impossibilità di ravvisare un inadempimento fonte di responsabilità risarcitoria. Con l‘avveramento della condizione, pertanto, non è più possibile pretendere l‘adempimento del contratto risolutivamente condizionato. La preclusione al risarcimento del danno, nel caso di condizione di inadempimento, pone un problema di contrasto con l‘art. 1229 c.c., ogniqualvolta l‘inadempimento sia doloso o colposo. L‘art. 1229 c.c., infatti, sanziona con la nullità qualsiasi patto volto ad escludere o limitare preventivamente la responsabilità del debitore per dolo o colpa grave. Si ritiene, pertanto, che l‘ammissibilità di una condizione di inadempimento doloso o colposo, per superare i potenziali conflitti con il 1229, sarebbe sempre subordinata alla sua qualificazione in termini di condizione unilaterale, come tale rinunciabile, di guisa che la condizione di inadempimento doloso o colposo, lungi dall‘atteggiarsi a clausola di esonero preventivo da responsabilità, andrebbe intesa come scelta di esclusione della responsabilità intervenuta dopo l‘inadempimento. Cfr. BUSNELLI, voce Clausola risolutiva, in Enc. del dir., VII, Milano, 1960, 196; COSTANZA, voce «Clausola risolutiva espressa», in Enc. giur. Treccani, VI, Ed. Enc. it., 1988, 1; DELLACASA, La clausola risolutiva espressa, nel Trattato Roppo, Giuffrè, 2006, 295,

278 Si pensi, per un momento, al disvalore della cessazione del contratto, con i costi collegati alla

mancata produttività e ai mancati guadagni; senza poter mancare di osservare che sorgerebbero difficoltà per procedere, per entrambe le parti, ad altre scelte organizzative e produttive, con evidenti incognite legate a vicende future e incerte del mercato.

consenso della parte che vorrebbe il recesso, verso una dimensione produttiva di maggiore stabilità, desiderata da entrambi i contraenti.

In particolare il recesso con funzione di deterrence, coniugato ad un principio di effettività della tutela, mira essenzialmente alla sostanziale osservanza del contratto, inteso come fine attraverso il quale è possibile raggiungere il migliore risultato, sia in termini sociali, sia in termini economici. D'altro canto, l'istituto del recesso, nella logica sottesa al generale principio dell'autonomia contrattuale delle parti, ben potrebbe essere finalizzato all‘indiretto obiettivo di mantenere in vita il contratto. Si pensi, come già evidenziato, all‘intimazione del recesso come iniziativa volta a sondare e, quindi, sollecitare l‘altra parte - seriamente intenzionata a non dismettere il contratto - a proporre un‘offerta modificativa delle condizioni originarie; ma, allo stesso tempo, a rivederlo e a modificarlo secondo i canoni di equità e di equilibrio scaturenti da sopravvenienze che non possono essere ignorate.

In questa direzione, tra l‘altro, è evidente che tale ricostruzione si intreccia anche con i principi di validità e di efficacia del contratto nel tempo, che sono implicitamente evocabili dall'interpretazione alternativa e/o evolutiva che è stata data all'istituto del recesso nei contratti di lungo periodo (art. 2 Cost.). Peraltro, è parimenti possibile osservare che la concezione del principio di effettività ben si articola, "nel binomio di validità e di efficacia", con la prerogativa, decisamente apprezzabile, di coniugare insieme l'enucleata essenza non punitiva insita nel recesso che consente la rinegoziazione, con l‘obbiettivo di tutela delle parti del contratto279.

279 Approfondite considerazioni sul punto sono in CATELANI, La norma fondamentale nel

pensiero di Hans Kelsen, nel principio di effettività, in Riv.Inter. di fil. dir., 503, che richiama

In queste rinnovate dinamiche appare legittimo ritenere che non si venga a creare una sovrapposizione o contrapposizione tra recesso e rinegoziazione, ma un rapporto dialettico volto a garantire la più efficace tutela del contraente svantaggiato dalle sopravvenienze, anche in una logica di rafforzamento e in cui il recesso appare idoneo ad assolvere ad una funzione preventiva per indurre la controparte ad adempiere ai doveri di condurre le trattative di rinegoziazione secondo correttezza e lealtà nell‘obiettivo primario della conservazione e stabilità contrattuale; e così promuovere ed incentivare condotte virtuose.

Recesso e rinegoziazione non sembrano quindi costituire meccanismi in posizione antagonistica, ma appaiono più ragionevolmente graduabili, in una assiologia aggregante, che valorizzi la qualità delle regole e l‘efficienza dei rimedi.

5. Il giudizio di efficienza delle soluzioni adottate nei progetti di

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