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Questo paragrafo finale è finalizzato ad approfondire il legame che si instaura tra banche e imprese nel nostro sistema finanziario, un rapporto legato alle peculiarità economiche del nostro Paese. Le imprese italiane, con riferimento agli assetti proprietari ed alle regole di governo societario, si distinguono infatti per determinate caratteristiche:

• la forte concentrazione della proprietà, indipendentemente dalla dimensione dell’impresa, conseguenza della forma di capitalismo adottata nel nostro Paese, ossia quella prevalentemente “familiare” - soprattutto se l’impresa non è quotata;

• un basso grado di contendibilità, ovvero della possibilità che l’impresa venga espropriata se gestita con risultati poco apprezzabili da parte dei manager. Tali elementi di governance sono rilevanti al fine delle decisioni di finanziamento; anzi, il modello di relazioni banca-impresa che si è venuto a creare in Italia è stato influenzato proprio dagli assetti di governance.

In Italia, il rapporto banca-piccola e media impresa ha finito dunque col caratterizzarsi di relazioni estremamente frazionate (basti pensare al fenomeno del multiaffidamento, che in Italia assume rilevanza più che in altri paesi europei), basate su rapporti quotidiani, informali e poco strutturati tra banca e impresa, probabilmente

conseguenti dalla volontà da parte delle stesse PMI di mantenere il livello di asimmetria informativa che caratterizza il loro rapporto con la banca. La conoscenza dell’impresa e della realtà aziendale esula ancora spesso da una attenta analisi di indicatori finanziari e patrimoniali tipici dei modelli anglosassoni, fondandosi molto spesso sulle garanzie personali dell’imprenditore e sul suo patrimonio personale, che non viene investito in azienda ma indirettamente utilizzato come garanzia a copertura del rischio di credito; ciò porta ad una scarsa capacità da parte del sistema bancario di valutare i profili di rischio e rendimento delle imprese clienti e ad una ridotta capacità di discriminazione sia ex ante che ex post tra controparti sotto il profilo sia della redditività prospettica che del merito creditizio.

La conseguenza ultima di ciò, è la necessità da parte delle banche italiane a dover rinunciare ad alcuni fra i punti maggiormente qualificanti del rapporto banca impresa, ossia a politiche di pricing differenziate per segmenti omogenei di clientela, ad obiettivi di massimizzazione della redditività e del mark up nel lungo periodo, alla gestione attiva dei portafogli, e al rifugiandosi spesso in un eccessivo ricorso alle garanzie personali.

In sostanza, il rapporto banca-PMI in Italia, invece di muoversi verso l’abbattimento delle barriere informative ed il modello della banca di riferimento unica, è caratterizzato dalla volontà da parte delle imprese di mantenere elementi deteriori di opacità, frammentazione e fragilità nella relazione sia informativa che operativa con le banche. Le PMI italiane, dimostrando scarsissima propensione a condividere il controllo aziendale, dimostrata anche dal raro ricorso alla quotazione in borsa e dal basso grado di apertura al mercato, tendono a mantenere per sé il massimo possibile dell’informazione, indebolendo sempre di più la relazione con le banche, e contribuendo ad essere un ostacolo stesso alla loro crescita.

Questo modello di rapporto banca-impresa ha finito dunque col produrre imprese più piccole, con forti elementi di debolezza e fragilità nelle strutture finanziarie, tendenzialmente sotto-capitalizzate con molto credito a breve utilizzato per la gestione ordinaria e poco credito a medio lungo termine finalizzato al finanziamento degli investimenti ed alle strategie di crescita, con una pressoché inesistente attivazione dei canali di finanziamento mobiliare.

Ciò è ancora più evidente se pensiamo ad alcuni dati sulla capitalizzazione di borsa: alla fine del 2000, ad esempio, la capitalizzazione della borsa italiana

ammontava al 69.2% del PIL, valore sceso alla fine del 2001 al 48.3% a causa soprattutto della crisi economica mondiale. Quest’ultimo valore era di molto inferiore rispetto a quello registrato in Spagna (75%) e Francia (84%) ma era molto simile a quello della Germania, la cui borsa a fine 2001 valeva il 49% del PIL tedesco.

A ciò si aggiunge che le PMI italiane sono tipicamente le imprese più indebitate, e come tali quelle che affrontano un maggior livello di costi di finanziamento23, e che i canali esterni sono pressoché inutilizzabili per tali imprese; ad esempio, basti pensare che normalmente il fabbisogno finanziario delle piccole e medie imprese è di 5-8 milioni di euro, e difficilmente una emissione di bond sarebbe conveniente al di sotto dei 25 milioni di euro. Inoltre, l’opacità informativa di cui gode l’impresa sul mercato porterebbe a richiedere agli investitori cedole di interessi molto elevate e dunque poco convenienti per l’impresa.

Rispetto a modalità di finanziamento basate sul mercato, un sistema finanziario bancocentrico come il nostro è fondato invece su relazioni fiduciarie di lungo periodo, e come tale dovrebbe essere in grado di garantire buoni risultati quando il tessuto produttivo è frammentato in molte piccole imprese, quando la produzione e la diffusione di informazioni affidabili è costosa, quando il sistema giudiziario non è in grado di garantire con rapidità una piena protezione dei contratti e quando l’innovazione procede in modo incrementale e non per salti discreti.

Per tutti questi motivi, tale sistema di finanziamento relationship-based è stato per molti versi strumentale al tipo di crescita caratteristico delle imprese italiane, dimostrando buona dose di flessibilità di fronte alle fluttuazioni cicliche, e anche un elevato grado di adattamento, contribuendo così, almeno fino ad un certo punto, allo sviluppo industriale del paese. Un sistema finanziario siffatto compromette tuttavia la capacità allocativa e selettiva delle banche e, al contempo, non è privo di conseguenze sulla struttura finanziaria delle imprese, le quali hanno, infatti, significative difficoltà di accesso alla finanza esterna, ad eccezione dei prestiti bancari di breve periodo.

In conclusione, è dunque più probabile che un’impresa di questo tipo scelga di finanziarsi attraverso il canale del credito bancario. In Italia lo sviluppo del sistema

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Tali costi infatti assorbono per circa 1/3 i margini operativi in una PMI a fronte, in media, del 17% delle grandi imprese.

economico deriva principalmente dalla capacità che le banche hanno avuto di localizzarsi e assistere fin dalla nascita le iniziative imprenditoriali.

EFFETTI DEL RELATIONSHIP LENDING:

EVIDENZE EMPIRICHE