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Nel campo della finanza per le imprese e della struttura finanziaria in particolare delle imprese italiane, merita un accenno la recente indagine Capitalia9, a cui in parte

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Il riferimento è a “Indagine sulle imprese italiane - Rapporto sul sistema produttivo e sulla politica industriale”, Ottobre 2005.

la verifica empirica nel capitolo 4 si ispira, per metodologia di analisi (anche l’indagine empirica che segue è stata possibile grazie all’invio di questionari alle imprese) e, come vedremo, per finalità di indagine.

L’indagine condotta dall’Ufficio Studi di Capitalia indaga un ampio spettro di attività e permette di giungere a interessanti conclusioni riguardo lo stato dell’arte dell’economia italiana così come permette di cogliere le potenzialità di sviluppo delle nostre imprese; per tale motivo il dataset che tale ufficio studi ha prodotto è stato fonte di numerosi e successivi studi empirici il più illustre dei quali è probabilmente quello di Guiso (2003)10.

L’indagine campionaria a cadenza triennale di Capitalia, giunta alla sua nona edizione, copre un arco temporale di 3 anni, dal 2001 al 2003; tramite un articolato questionario strutturato in differenti sezioni e somministrato a più di 4000 imprese italiane (appartenenti ai settori manifatturieri, delle costruzioni, delle industrie estrattiva ed energetica, e dei servizi alle imprese e aventi un numero di addetti superiore a 11) e tramite l’integrazione dei dati di bilancio delle imprese rispondenti, l’analisi ha permesso di indagare, tra gli altri, aspetti quali il rapporto banca impresa, l’apertura del capitale di rischio delle imprese, il fenomeno del razionamento del credito, la struttura economico-finanziaria delle imprese, ecc11.

E’ già doveroso anticipare in questa sede anche le maggiori divergenze esistenti tra la presente indagine e quella presentata nel capitolo 4. Innanzitutto (escludendo ovviamente quella più significativa, vale a dire la differenza iniziale di composizione del campione), l’arco temporale di riferimento dell’indagine è il triennio successivo, ossia il 2003-2006; in secondo luogo, la nostra indagine contiene e mette in evidenza una categoria di imprese, le micro imprese appunto, la cui esistenza, seppur nota da tempo, non si è finora tradotta in letteratura con lavori incentrati su questa stessa categoria.

Vediamo dunque i principali risultati dell’analisi, la cui importanza si coglie nell’ottica di un potenziale confronto con i risultati dell’indagine che segue (cfr. capitolo 4).

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Non mancano poi critiche su alcuni aspetti del lavoro empirico dell’autore (cfr. Cenni 2006). Altri lavori basati sul dataset Capitalia verranno citati e presentati nel corso del presente paragrafo.

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Il campo di indagine oggetto di studio da Capitalia è ovviamente più ampio di quello citato. In questa sede, ci soffermeremo sugli aspetti maggiormente affini allo scopo del presente capitolo.

3.3.1 Il rapporto banca impresa

Per quanto riguarda l’aspetto del rapporto banca impresa, l’indagine in oggetto ha consentito di rilevare quanto segue:

- il numero medio di banche con cui l’impresa manifatturiera intratteneva rapporti alla fine del 2003 è di 4,9, sostanzialmente stabile nel triennio considerato, probabilmente a causa del consolidamento degli assetti proprietari sul mercato bancario italiano; la quota media dell’indebitamento bancario detenuta dalla banca principale si attesta al 44,8%, anche in questo caso stabile rispetto agli anni precedenti.

- L’anzianità media del rapporto con la banca principale si riduce: tale dato al 2003 si attesta, nel campione di imprese analizzate, intorno a 14,5 anni, dato lontano dal valore di 17 del 2000. Tale minore durata potrebbe essere dovuta ad una maggiore concorrenza esistente nel campo dei servizi alle imprese, resa possibile in seguito alla nascita di strutture bancarie dedicate e rivolte soprattutto al segmento PMI12.

- Diminuisce da 65% a 58% la percentuale di imprese che dichiarano che la banca principale opera nella sua stessa provincia.

In sostanza, dall’analisi di Capitalia non rileva un rapporto banca impresa più stretto rispetto al passato, eccezion fatta per le imprese di maggiori dimensioni, per le quali si assiste ad una intensificazione del rapporto banca impresa legato all’eccessiva frammentazione che invece le caratterizzava in passato.

3.3.2 Il razionamento del credito

Anche il fenomeno del razionamento del credito è stato oggetto di una specifica indagine, la quale ha permesso di cogliere in particolare l’esistenza del fenomeno del razionamento cosiddetto “forte” – ossia quel tipo di razionamento che si esplicava nel fatto che l’impresa, pur di avere accesso a finanziamenti supplementari non concessi dalla banca a parità di condizioni, è disposta a pagare anche tassi di interesse più elevati13; i dati mostrano che tale fenomeno rimane contenuto e stabile nel tempo

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Per un approfondimento sulle strutture bancarie dedicate e sull’evoluzione della struttura divisionale delle banche cfr. Schwizer (2005), Corigliano (2006).

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In pratica, si era in presenza di una forma di razionamento “forte” quando l’impresa rispondeva in modo affermativo alle seguenti tre domande: 1) nel 2003 l’impresa avrebbe desiderato maggior credito

(solo il 2,5% delle imprese hanno dichiarato di subirlo), connesso con la dimensione delle imprese (sono soprattutto le più piccole a essere razionate) e infine connesso alla territorialità delle imprese, nel senso che sono soprattutto le imprese del Sud Italia a ottenere minor credito.

3.3.3 L’apertura del capitale di rischio

Dai dati Capitalia emerge un dato rilevante, anche se forse non sorprendente, date le caratteristiche del nostro sistema produttivo, ossia una generale scarsa apertura delle imprese italiane verso il capitale di rischio e verso l’inserimento nella gestione aziendale degli operatori del mercato del venture capital e private equity.

I risultati evidenziano infatti una struttura proprietaria molto concentrata, con una trascurabile apertura delle imprese all’inserimento di operatori finanziari nella struttura del capitale (circa 0.8% dei casi). In questi pochissimi casi, gli operatori finanziari presenti sono soprattutto banche (12.8%), seguono i fondi chiusi (4.2%) e pesano solo per un 2% le società di venture capital. E’ dunque evidente che l’offerta da parte degli intermediari finanziari non ha saputo scalfire la rigidità dell’imprenditoria italiana, poco propensa come noto a condividere la gestione dell’impresa con terzi. Infine, è interessante osservare che l’apertura del capitale è più ricorrente verso soci industriali (1% per le imprese manifatturiere, 2,7% per quelle dei servizi).

La preferenza per l’indebitamento delle imprese minori può essere interpretata alla luce di diverse considerazioni, che trovano fondamento nelle teorie sulla struttura finanziaria, già evidenziate nel capitolo 1. Si riconosce che il finanziamento con debito consente di mantenere stabile l’assetto proprietario, ma anche di condividere il rischio di impresa con un finanziatore esterno, con il vantaggio, per l’imprenditore capace, di appropriarsi interamente degli utili che residuano dopo il pagamento degli interessi passivi.

Questa può essere certamente considerata una delle logiche con cui le imprese italiane strutturano le proprie strategie finanziarie, ma anche dal lato dell’offerta, lo stesso soggetto finanziatore di capitale di credito ha dei vantaggi. I vantaggi sono soprattutto in termini di minori controlli sulla gestione dell’impresa (un finanziatore al tasso di interesse concordato con la banca? 2) se si, l’impresa ha domandato maggior credito senza ottenerlo? 3) pur di ottenere una quantità di credito maggiore, l’impresa sarebbe stata disposta a pagare un tasso di interesse più elevato?

esterno di debito deve verificare solo la probabilità che il cash flow dell’impresa non sia sufficiente) rispetto al controllo che dovrebbe esercitare un sottoscrittore di capitale di rischio (che viene coinvolto nella gestione della società). La necessità di un controllo tende inoltre a ridursi, se non ad annullarsi, quando il prestatore di fondi riesce a garantirsi il proprio credito con il patrimonio personale dell’imprenditore.

Inoltre, l’impresa che predilige il finanziamento con capitale di credito, preferendo mantenere la proprietà, può segnalare ai finanziatori esterni di avere buone prospettive di crescita. Al contrario, un imprenditore propenso a condividere la proprietà con azionisti esterni può segnalare che il business non ha alte prospettive di profitto. L’indebitamento bancario si presenta inoltre come uno strumento finanziario semplice.

3.3.4 I servizi innovativi di corporate banking

L’indagine condotta da Capitalia ha anche una sezione dedicata al grado di utilizzo da parte delle imprese italiane degli strumenti di corporate banking più “innovativi”; anche in questo caso, come nel precedente, l’indagine rileva una scarsa propensione degli imprenditori a utilizzare strumenti più complessi, sia a causa delle scarse conoscenze sui prodotti in questione, sia per la grandezza delle imprese, ancora forse troppo limitata per accedere a strumenti quali cartolarizzazione, emissione di obbligazioni, project finance, ecc. L’indagine Capitalia infatti mostra che solo il 3,8% delle imprese intervistate ha fatto ricorso a strumenti di finanza innovativa, percentuale che si mantiene costante rispetto all’Indagine sul triennio 1998-2000, che per la gestione finanziaria delle stesse vengono coinvolte in prevalenza strutture interne piuttosto che intermediari (questo vale infatti per circa il 97% delle imprese), e che la quotazione in Borsa è realtà solo per lo 0,5% delle intervistate.

I servizi di corporate banking maggiormente richiesti dalle imprese sono ancora di contenuto “povero” (quali ad esempio gestione della tesoreria in euro e/o in valuta, servizi di amministrazione incassi e pagamenti, fidejussioni, avalli, accettazioni bancarie). Questo dato può essere sintomo anche di uno scarso sviluppo dei mercati finanziari, come d’altra parte essere frutto, come accennato in precedenza, del sussistere di una scarsa propensione dell’imprenditore italiano verso strumenti finanziari alternativi e innovativi. Un dato non confortante in un’ottica di cambiamento culturale è quello riguardante le intenzioni future indicate dagli

imprenditori: la percentuale di imprese manifatturiere che dichiara di volersi avvalere nei prossimi 3 anni di tali strumenti innovati si dimezza rispetto all’Indagine svolta nel triennio precedente (6,4% contro 13,2%).

Questa interpretazione trova conforto anche nel dato sull’indebitamento commerciale. La letteratura teorica ed empirica ha mostrato come negli ambienti in cui il sistema bancario è poco sviluppato e i problemi informativi sono rilevanti, il credito commerciale svolge un ruolo essenziale nella finanza dell’impresa14.