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1.4 Il relationship lending

1.4.3 La struttura organizzativa della banca: il ruolo del loan officer

Finora abbiamo visto come si definisce e come si configura il fenomeno del relationship lending mostrando come esco contribuisce a ridurre le asimmetrie informative e a creare quel vantaggio informativo che permette alle banche di ridurre i costi legati al monitoring; vediamo ora come tale fenomeno influisce sulla struttura organizzativa stressa della banca, concentrandoci sul ruolo del cosiddetto loan officer, ossia il direttore di filiale.

A colmare un vuoto esistente in una letteratura ancora concentrata sul relationship lending come modello di prestito a scarsamente interessata ad evidenziare la necessità di una particolare struttura organizzativa a supporto dello stesso, Berger e Udell (2002) mettono l’accento su una figura professionale, quella dei loan officer appunto, ritenuti i custodi principali del patrimonio informativo raccolto tramite la soft information, che è per sua stessa natura difficile da trasmettere o da osservare per altri soggetti. Secondo gli autori, infatti, i conflitti d’agenzia, in particolare nelle banche di piccole dimensioni, possono essere contenuti dal tipo di struttura organizzativa che caratterizza queste istituzioni finanziarie. A seconda del tipo di lending technology che viene utilizzata, la banca deve dotarsi quindi di diverse strutture organizzative (cfr. Degryse, Laeven, Ongena, 2006; Uchida, Udell e Yamori 2006).

Nel caso del relationship lending si richiede una certa discrezionalità in capo al loan officer, colui che conosce al meglio le relazioni tra affidato e banca e tra affidato e comunità; essendo spesso un soggetto che vive nelle comunità delle piccole imprese affidate, è la persona in grado di realizzare la sintesi migliore tra l’informazione di tipo soft e i dati di tipo quantitativo relativi alla piccola impresa, comunque presenti nel database della banca. La necessità per le banche che si affidano al relationship lending di delegare una maggior indipendenza al loan officer può essere tuttavia la causa del nascere di una serie di conflitti di agenzia tra loan officer e banca: il primo può infatti avere incentivi di short-termism che portano ad un sovra-investimento nel breve periodo orientato verso investimenti ad alta remunerazione, oppure potrebbe essere incentivato a nascondere una situazione finanziaria critica di un soggetto

affidato a causa di un rapporto d’amicizia con l’imprenditore o per interessi legati all’impresa affidata, anche nella prospettiva di un lavoro futuro all’interno dell’impresa stessa.

Le banche che si affidano al relationship lending possono quindi trovarsi in una condizione dove la presenza di questi conflitti d’agenzia costringe le banche stesse ad investire risorse nel monitorare non solo le performance dei propri prestiti, ma anche il comportamento dei propri loan officer. La nascita di questi conflitti d’agenzia è dovuta, in generale, al particolare processo con cui vengono erogati i prestiti bancari, che prevede una serie di contatti e di interazioni tra diversi soggetti; il piccolo imprenditore contratta il proprio finanziamento con il loan officer, che a sua volta contratta con il management e l’alta direzione della banca. Il management della banca si trova a dover riferire agli azionisti della banca, i quali per ultimi devono mediare con i creditori della banca e con la regolamentazione imposta dallo Stato o da altre autorità di vigilanza.

Nel relationship lending, il rapporto tra il loan officer e l’affidato si basa su quel tipo di soft information che risulta così difficile nella sua codificazione da parte di soggetti esterni da rendere difficile il controllo da parte del management della banca sull’operato del loan officer; a tutto questo si aggiunge la distorsione rappresentata dal fatto che il direttore di filiale potrebbe avere degli interessi che non coincidono con quelli della banca per cui lavora.

Nel caso del relationship lending, questi problemi vengono spesso eliminati o comunque ridotti dalla stessa struttura organizzativa adottata dalla banca, che prevede un numero molto limitato di livelli gerarchici, la vicinanza della direzione al centro di erogazione del prestito, la presenza di un presidente che rivede tutti i principali affidamenti della banca stessa. Per le piccole banche inoltre risulta più limitato il ricorso al mercato esterno, del debito o del capitale, con uno dei principali proprietari- finanziatori della banca che ricopre la funzione di presidente. Questo riduce inevitabilmente la presenza di conflitti tra i loan officer e la banca, ma anche quelli tra management della banca e proprietà e tra proprietà e creditori della banca stessa.

Questa analisi non risulta tuttavia particolarmente compatibile con la realtà italiana delle piccole banche; le banche di credito cooperativo, ad esempio, prevedono di fatto dei limiti alla quota di partecipazione detenibile da ciascun socio e il voto capitario indipendentemente dalla quota sociale. Nel caso italiano, quindi la presenza

di un socio rilevante nel capitale della banca, condiziona solo in linea teorica (ad esempio in termini di moral suasion) l’entità del conflitto d’agenzia tra management e azionisti.

La semplificazione gerarchica adottata dalle piccole banche non è compatibile invece con quella adottata dagli istituti di maggiori dimensioni, che devono necessariamente ricorrere al mercato per reperire le risorse finanziari. Inoltre, le banche maggiori sono spinte ad escludere il relationship lending per motivi legati alla distanza esistente tra la direzione della banca e il centro di erogazione del finanziamento; questa distanza non facilita difatti la comprensione e la trasmissione delle relazioni locali su cui si basa il relationship lending e le evidenze empiriche dimostrano come la quota di portafoglio prestiti riservata dalle grandi banche alle piccole imprese sia minoritaria e comunque indirizzata verso le tipologie di business più tradizionali.

Quindi i prestiti che le banche maggiori rivolgono alle piccole medie imprese sono comunque basati soprattutto su informazioni di tipo quantitativo, mentre, sempre da un punto di vista empirico si rileva la difficoltà per le grandi banche, seppur decrescente grazie ai progressi dell’information techology, di controllare l’efficienza delle piccole banche controllate e i prestiti realizzati dalle stesse a causa della loro distanza rispetto alla direzione.

Per quanto concerne la relazione tra management e proprietà, questa si riconduce al generale conflitto d’agenzia esistente tra chi controlla e chi ha la proprietà dell’impresa; applicata al caso del credito, questa può essere contestualizzata al tipo di prestiti che vengono preferiti dal management, che può effettuare scelte fondate solo sulla propria funzione di utilità, senza considerare la massimizzazione del valore per la banca. Si tratta di un conflitto d’agenzia che nel caso del relationship lending può essere ridotto, ad esempio, dalla presenza di un’identità tra presidente della banca e principale azionista.

L’ultimo conflitto d’agenzia riguarda la relazione tra soci e creditori della banca o tra soci e legislatore; l’atteggiamento assunto da questi due soggetti può incidere considerevolmente sulle politiche di prestito della banca, aumentando i coefficienti patrimoniali richiesti o riducendo la propensione ad erogare credito nel caso in cui la banca si trovi in difficoltà finanziarie.