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Il riposizionamento geografico e di mercato

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA (pagine 95-99)

2.3. L’internazionalizzazione e le imprese del made in Italy: il settore

2.3.1. Il riposizionamento geografico e di mercato

Quanto detto fin’ora appare più chiaro se lo si riferisce ad un settore, e in particolare al calzaturiero italiano, anche per comprendere meglio l’ultimo capitolo di questo lavoro.

Il Far East rappresenta ormai un polo quasi monopolistico per la produzione di calzature a basso prezzo, come mostrano i dati sulla composizione del commercio mondiale, che lo hanno visto raggiungere un livello pari all’85% del totale74.

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Rossi Antonia, Andrea Cenderello (2004) “La governance dell’internazionalizzazione produttiva” Quaderni Formez, Roma.

Formez PA è un'associazione riconosciuta, con personalità giuridica di diritto privato sottoposta al controllo, alla vigilanza, ai poteri ispettivi della Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della Funzione Pubblica. http://www.formez.it/

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Università Cattolica del Sacro Cuore (2008) Rapporto del Centro di Ricerche in Analisi economica e sviluppo economico (CRANEC), “L’internazionalizzazione del sistema industriale italiano, una sfida vincente delle pmi e dei distretti italiani”

http://www.unicatt.it/centriricerca/cranec/allegati/libro_def_internazional.pdf

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In questa crescita, la Cina è in una posizione di primissimo piano. Grazie non solo ad una accresciuta capacità esportativa, ma anche ad un forte incremento dei consumi interni, il suo contributo alla produzione mondiale di calzature ha registrato un aumento continuo e ininterrotto, passando da una quota del 38% ad oltre il 61%75.

I cambiamenti strutturali che nell’ultimo decennio hanno segnato in modo indelebile l’evoluzione economica dei Paesi di più lunga tradizione moda sono riconducibili appunto alla liberalizzazione degli scambi internazionali.

Il nuovo regime di libero scambio, introdotto alla scadenza degli accordi ATC76 (Agreement on textile and clothing, 1 gennaio 2005), e la liberalizzazione delle importazioni dalla Cina hanno dato un ulteriore impulso alla globalizzazione delle reti produttive.

La liberalizzazione, però, ha avuto luogo in un contesto competitivo che già da molti anni era caratterizzato da questo processo di apertura internazionale, dove cioè le attività di produzione e di marketing dipendono da decisioni strategiche legate alle diverse opportunità disponibili su piazza mondiale, e non più regionale o locale. In aggiunta a ciò, il sistema imprese dei Paesi Europei - tradizionalmente leader del settore – è stato messo ulteriormente sotto pressione sul piano della concorrenza regionale dalle politiche di liberalizzazione degli scambi con i Paesi dell’Europa centro orientale e mediterranea, e dall’allargamento dell’Unione Europea ai nuovi

calzaturiero”. Elaborata dai ricercatori di Hermes Lab.

http://www.confindustria.it/Aree/NewsPub.nsf/40805B6AB1E5A993C12575700055290F/$File/2 _Indagine%20Settore%20Calzature_def.pdf

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Confindustria, Indagine di settore (2008) “Nuovi scenari e prospettive di sviluppo del settore calzaturiero”. Elaborata dai ricercatori di Hermes Lab.

http://www.confindustria.it/Aree/NewsPub.nsf/40805B6AB1E5A993C12575700055290F/$File/2 _Indagine%20Settore%20Calzature_def.pdf

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ICE (2004) “La liberalizzazione del Tessile e abbigliamento: impatti e strategie” http://www.ice.gov.it/statistiche/pdf/2004-12_Nota_Multifibre.pdf

membri.

Non bisogna dimenticare inoltre che nei Paesi industrializzati la globalizzazione ha contribuito a modificare la domanda di prodotti moda che è influenzata da importanti cambiamenti nella demografia, negli stili di vita, nel reddito disponibile e nella crescente tendenza verso uno stile più rilassato e casual, e verso i contenuti immateriali e simbolici del prodotto.

Non solo. I prodotti moda non si pongono più come voce primaria del paniere di spesa dei consumatori europei77, e i consumatori si sono progressivamente affrancati dalla dipendenza dal sistema moda istituzionale, mostrando comportamenti di consumo più maturi ed attenti, dove entrano in gioco la volontà e la capacità di scegliere tra le numerose proposte a loro disposizione, e affermare la propria “indipendenza” dalle rigide regole del Fashion System.

D’altra parte, i consumatori sono oggi abituati ad accedere con facilità ad un’ampia gamma di prodotti stagionali della più disparata provenienza, di livello qualitativo più che accettabile (la qualità delle produzioni provenienti da molti Paesi a basso costo si è infatti innalzata in tutti i comparti del settore) e con una frequenza di riassortimento che risponde alla loro continua richiesta di novità.

Naturalmente la globalizzazione ha comportato diverse conseguenze a seconda del settore industriale cui facciamo riferimento. Volendo con questo elaborato analizzare più avanti il caso della Riviera del Brenta, può essere funzionale a tal fine vedere nello specifico com’è cambiato il settore calzaturiero.

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Confindustria, Indagine di settore (2008) “Nuovi scenari e prospettive di sviluppo del settore calzaturiero”. Elaborata dai ricercatori di Hermes Lab.

http://www.confindustria.it/Aree/NewsPub.nsf/40805B6AB1E5A993C12575700055290F/$File/2 _Indagine%20Settore%20Calzature_def.pdf

Il processo di riposizionamento geografico internazionale attuato dalle imprese italiane del calzaturiero italiano, ha visto abbandonare, attraverso i suddetti processi di delocalizzazione ed esternalizzazione, le fasi del processo produttivo a minore valore aggiunto che una volta erano affidate in sub-fornitura a lavoratori o piccoli opifici locali, ed è stato perseguito un continuo miglioramento qualitativo delle produzioni attraverso la riduzione della manifattura a favore di attività a maggiore valore aggiunto (progettazione, design, marketing, distribuzione).

Ad accompagnare questa riallocazione produttiva, le imprese italiane hanno deciso di attuare anche una “riqualificazione di mercato”. I prezzi italiani della produzione e delle esportazioni sono, infatti, in costante crescita a testimonianza del graduale spostamento delle produzioni nazionali su fasce di prezzo più elevate e difendibili dalla concorrenza estera. Tali trasformazioni comportano, peraltro, anche un incremento significativo delle importazioni, in particolare dai paesi emergenti, che sono spesso dirette nelle principali aree di specializzazione del paese, segnalando – almeno indirettamente – l’apertura delle filiere produttive a livello internazionale (si veda il paragrafo successivo).

In questo processo di riposizionamento il calzaturiero italiano ha visto aumentare l’importanza delle funzioni immateriali, come testimonia la crescente quota di addetti high-skilled impiegati in R&S, distribuzione e organizzazione. Rispetto ai paesi dell’Est Europa, sede di delocalizzazione produttiva, in Italia queste funzioni hanno, infatti, un peso più elevato.

Viene spesso ribadito però che il successo del sistema moda italiano deriva dalla tipicità della struttura del settore manifatturiero, caratterizzato da “imprese di piccole e medie dimensioni, specializzate in specifiche attività di filiera, che coprono l’intero processo produttivo, dalle materie

prime al prodotto finito (approvvigionamento materiali, componenti, accessori, produttori di macchinari, modellisti e stilisti)78”.

La produzione calzaturiera italiana è concentrata, infatti, nei distretti, localizzati principalmente nelle Marche (Fermo), in Toscana (Valdinievole, S. Croce, Valdarno, Castelfiorentino), nel Veneto (Montebelluna, Verona, Riviera del Brenta), in Lombardia (Bassa Bresciana, Vigevano), in Campania (area Nord Napoletana), in Puglia (Casarano, Nord Barese) e in Emilia Romagna (San Mauro Pascoli). Queste sette regioni rappresentano il 94% del fatturato esportato e il 96-97% circa delle imprese e della forza lavoro nazionali (Tab. 2.7).

Tab.2.7 Le prime sette regioni italiane nel calzaturiero, (composizione %)

Aziende Addetti Export

Veneto 16,7 20,0 28,8 Marche 33,0 27,9 21,1 Toscana 22,1 19,1 18,2 Lombardia 7,7 7,6 12,7 Emilia Romagna 3,5 4,5 6,7 Puglia 6,9 10,0 3,9 Campania 7,1 7,4 2,9

Fonte: Intesa Sanpaolo, 2010, su dati Istat e stime Anci

2.3.2 Gli scambi commerciali con l’estero e l’internazionalizzazione

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA (pagine 95-99)