relazioni economiche tra Europa e Africa
3.4 Il ritorno del protezionismo nel commercio globale?
Parallelamente all’aumento esponenziale di accordi preferenziali, negli ultimi due anni, a seguito dei diversi shock che hanno colpito gli scambi internazionali, si è andata
manifestando in alcuni paesi un’altra tendenza, di senso contrario alla liberalizzazione degli scambi, e che consiste in una rinnovata imposizione di restrizioni di vario genere al
commercio internazionale.
Il susseguirsi negli ultimi anni di condizioni alquanto diverse tra di loro sui mercati internazionali, che hanno portato a brusche fluttuazioni di domanda e offerta, e soprattutto dei prezzi delle materie prime, hanno indotto alcuni paesi a cercare di isolare i propri mercati da queste fluttuazioni, con un rafforzamento delle misure protezionistiche.
Una prima condizione che ha spinto in questa direzione è stata la temporanea scarsità di prodotti agricoli nel 2007, perdurata per la prima metà del 2008, che ha portato
all’introduzione di misure restrittive all’export. La misura più comune è stato il ricorso al divieto di esportazione per il riso, che Cina, India, Egitto hanno introdotto dal 2007, e che il Brasile ha adottato come misura temporanea a partire da aprile 2008. Anche il Vietnam, secondo esportatore mondiale, ha posto un divieto sui nuovi contratti all’export fino a giugno 2008 (la Thailandia, tuttavia, primo produttore, non ha modificato in senso restrittivo le proprie politiche sul riso). Ci sono stati anche casi di imposizione di dazi all’export (come nel caso dell’Argentina con soia e girasole), creando proteste generalizzate tra gli agricoltori e contribuendo ad un aumento generalizzato dei prezzi. Anche i sussidi agricoli hanno prepotentemente ripreso quota, dopo l’attacco subito agli inizi del 2000, e sono passati, nei paesi Ocse, dagli 80 miliardi di dollari del 2004 ai 280 del 2008.
La seconda condizione, il cui effetto è divenuto visibile nella seconda parte del 2008 e nei primi mesi del 2009, è la crisi economica globale, che ha portato a un crollo generalizzato dell'export e a una contrazione della produzione mondiale non sperimentata dai tempi della Grande Depressione. Il rallentamento dell’attività economica e l’aumento dei livelli di disoccupazione in molti paesi ha indotto diversi governi a cercare di proteggere alcuni settori con la proposizione di misure a vario titolo protezionistiche.
Studi recenti (tra cui quello della Banca Mondiale da cui sono tratti i dati numerici citati in seguito) fanno notare una serie di fattori specifici che caratterizzano le misure messe in atto.
Il primo è che il protezionismo attuale è di carattere sostanzialmente diverso da quello che ha caratterizzato la Grande Depressione, e per esprimerne la novità sono stati coniati termini come “creeping” o “murky protectionism”, o “protezionismo strisciante”. Questo perché
non sono state introdotte, a parte qualche eccezione29misure in violazione degli accordi
presi in sede multilaterale con l'Omc. Questo rappresenta uno dei problemi maggiori, in quanto, da parte di alcuni paesi, possono essere raddoppiati o addirittura triplicati i dazi all'importazione senza per questo incorrere in sanzioni. Come si vede dalla tabella, in molti casi i paesi applicano per i prodotti manifatturieri tariffe ben inferiori a quelle massime che sarebbero consentite dagli accordi. Va anche sottolineato che, nonostante ciò, non ci sono ancora segnali drammatici di un aumento generalizzato, e anche quei paesi che vi hanno fatto ricorso si sono limitati a pochi e specifici prodotti.
Questo porta a esaminare un'altra differenza sostanziale rispetto al protezionismo degli anni trenta, ovvero la maggiore prevalenza del commercio verticale, o di scambi tra paesi di input, beni intermedi e semilavorati, creando in molti settori una catena produttiva che attraversa vari confini nazionali. L’esistenza di questi stretti collegamenti nel ciclo
produttivo di molti paesi fa sì che quelli con maggiore apertura al commercio mondiale di parti e beni intermedi non possano aumentare indiscriminatamente le tariffe senza
danneggiare anche le imprese nazionali. Il commercio verticale che lega la produzione e la
29 Si veda il box in coda a questo stesso capitolo per esempi concreti di misure imposte dai diversi paesi.
Tavola 3.1 - Accordi commerciali bilatelari/regionali in vigore e notificati all'OMC per aree geografiche
1958-1989 1990-95 1996-2000 2001-2008 Totale Europa 12 11 22 51 96 Ue 10 1 11 13 35 Nord America 1 2 11 26 40 America latina 5 1 8 25 39 Asia orientale 2 2 2 38 44 Medio Oriente 2 3 6 16 27 Africa 0 2 7 6 15
domanda dei paesi potrebbe rappresentare una delle ragioni per la severità e la velocità del
declino dei flussi commerciali internazionali30e forse anche la motivazione che più ha
contribuito a mantenere sotto controllo le pressioni protezionistiche. Una volta che la catena di valore si frantumasse, come potrebbe senza dubbio accadere in caso di rinnovate
difficoltà all'export, ricreare i collegamenti e le infrastrutture sarebbe costoso e rischierebbe di rallentare ulteriormente la ripresa mondiale.
Infatti, va sottolineato che, nonostante tutto, il ricorso a misure protezionistiche è stato contenuto, segno che l'esperienza della Grande Depressione, notevolmente aggravata e prolungata da un aggressivo protezionismo e i diversi richiami sui rischi connessi a queste misure, sono serviti di monito.
In questo spirito, a novembre 2008 i paesi del G-20 hanno firmato una dichiarazione di intenti contro l'introduzione di misure protezionistiche per i successivi 12 mesi. Tuttavia, come osservato da Pascal Lamy, Direttore Generale dell’Omc, durante il G-20 a Londra a aprile 2009, mentre per i primi mesi questa linea è stata sostanzialmente rispettata, a partire da gennaio 2009 si è verificato un incremento sostanziale sia nelle tariffe che nelle
procedure antidumping avviate. Tra i promotori spiccano i 17 paesi del G-20, sebbene in misura non uniforme, con alcuni paesi più attivi di altri.
Infine, c'è da considerare il fatto che i provvedimenti maggiormente adottati dai paesi in crisi, sebbene non tariffari e di immediato effetto, possono risultare elementi più pesanti di distorsione del commercio mondiale, oltre al fatto di essere generalmente meno trasparenti. I casi più evidenti sono quelli, spesso riportati dalla stampa internazionale, di salvataggio e nazionalizzazione di imprese, di sussidi a settori in crisi e misure volte a incrementare la quota di lavoro domestico rispetto a quello straniero. Tutto questo rischia non solo di provocare ritorsioni da parte degli altri paesi (i sussidi negli Stati Uniti hanno avuto l'effetto di stimolare analoghe misure da parte della Ue e del Canada), ma anche di propagarsi molto velocemente, non essendo prevista nessuna norma in sede Omc per limitarne l'applicazione. Passando ad esaminare in maggiore dettaglio le dimensioni quantitative del fenomeno, tra
ottobre 2008 e febbraio 2009 sono state circa 78 le disposizioni proposte31 di cui 66 misure
restrittive al commercio, delle quali 47 entrate effettivamente in vigore, secondo i dati forniti dalla Banca Mondiale.
Solo un terzo di queste misure riguardano l'aumento di tariffe, mentre in alcuni casi si sono verificati restrizioni non tariffarie come divieti all'esportazione. È il caso di segnalare, tuttavia, che nessuno dei paesi avanzati ha utilizzato queste procedure, preferendo, come già menzionato, ricorrere a sussidi e ad altri pacchetti di intervento a vario titolo.
Grande rilievo hanno assunto le misure, adottate da tutti i paesi anche se con formulazione più o meno estensiva, di stimolo fiscale, sia diretto in generale a sostegno della ripresa, sia volto a supporto di specifici settori.
Particolarmente importanti sono stati inoltre i provvedimenti di restrizione al lavoro estero, soprattutto per le imprese che hanno beneficiato di supporto pubblico, e quello che è stato
definito “protezionismo verde”32,mirante a limitare le importazioni di beni prodotti con
standard ambientali giudicati non conformi, cui si farà cenno nell’approfondimento sul protezionismo alla fine del capitolo.
Discussioni a livello teorico sono state sollevate da alcuni economisti riguardo all’utilità di misure protezionistiche a breve termine collegate agli stimoli fiscali. In mancanza di una concertazione al livello internazionale, è stato dimostrato che i benefici per il paese che li
30 Si veda l'articolo di Key-Mu Yi, 2009, “The collapse of global trade: the role of vertical specialisation” in
http://www.voxeu.org/re-ports/Murky_Protectionism.pdf. Una delle prove che viene fornita è il confronto nelle esportazioni manifatturiere degli Stati Uniti verso il NAFTA e verso il resto del mondo.
31 Una nota sulla metodologia impiegata: la maggior parte dei dati e degli esempi forniti nel paper della Banca Mondiale sono
tratti dalla stampa internazionale o da fonti ufficiali, cercando conferma in più di una fonte differente, anche se, data la ti-pologia della materia, errori ed omissioni o modifiche delle politiche adottate sono altamente possibili.
32 Per una maggiore panoramica sul protezionismo verde, che rischia di compromettere in futuro summit di Copenhagen di
dicembre 2009, con conseguenze molto gravi per gli accordi sul cambiamento climatico e riduzione di emissioni, si veda Evenett, S. & Whalley J, 2009, “Resist green protectionism – or pay the price at Copenhage”, consultabile online in http://www.voxeu.org/reports/Murky_Protectionism.pdf
eroga sono minori che per il resto del mondo, mentre il costo ricade in ogni caso sul paese stesso.
In questo panorama, pare particolarmente importante il rapporto fatto dal Direttore Generale dell'Omc Pascal Lamy al Trade Policy Review Body a Febbraio 2009, al fine di richiamare l'attenzione e rafforzare il consenso contro l'introduzione di ulteriori misure
protezionistiche.
Le nuove tentazioni protezionistiche si sono manifestate infine nella recente proliferazione
dell’istituzione di dazi antidumping33in questo caso non limitata ai soli paesi industrializzati
(prima i soli ad utilizzarli erano Unione Europea, Canada, Australia, Nuova Zelanda e USA) ma anche da quelli emergenti o in via di sviluppo, con una tendenza da parte di questi ultimi
a diventarne i primi promotori34.
Gli ultimi dati pubblicati dall’Omc35 confermano questi segnali, mostrando come il numero
delle procedure iniziate nel 2008 è aumentata del 31 per cento rispetto al 2007, portando a un totale di 208 procedure per il solo 2008. Di queste, tuttavia, solo una parte ha poi trovato applicazione, portando l'incremento reale al 19 per cento. I paesi in via di sviluppo hanno dominato questa tendenza, che li vede come la parte attiva nell'iniziare la procedura nel 73 per cento dei casi, e come parte convenuta nel 78 per cento (per un totale di 147
investigazioni, quali la metà in più del dato 2007).
Il paese che si è distinto per il più elevato numero di procedure iniziate è l’India, con 54 casi totali, di cui 23 riguardanti il settore dell'acciaio.
Un alto numero di casi ha caratterizzato anche il Brasile (23), Turchia (23), Argentina (19), Stati Uniti e UE (18 rispettivamente).
D’altro canto, la Cina è stata di gran lunga il paese più frequentemente oggetto di investigazioni, con 66 iniziative registrate a suo carico, quasi un terzo in più del 2007. I settori più colpiti sono stati ferro e acciaio (48), prodotti chimici e tessile (35).
Anche se non tutte le procedure iniziate hanno poi effettivamente portato all'istituzione di un dazio antidumping, quello che sembra evidente è la necessità di una negoziazione multilaterale che riveda e stabilisca regole e casi oggettivi per l’utilizzo delle procedure antidumping, senza le quali è probabile che il loro uso diventi ancor più generalizzato36: vi è infatti il pericolo che strumenti, pensati per fermare casi eccezionali di competizione sleale, vengano utilizzati come armi per la politica commerciale e industriali dei singoli paesi.
33 Per un'analisi che collega il nuovo protezionismo all'incremento dei dazi antidumping, si veda Bown, C., 2009,
“Protectio-nism on the rise: antidumping investigations”, in http://www.voxeu.org/reports/Murky_Protectio“Protectio-nism.pdf, che sottolinea anche come, a causa di una mancanza di trasparenza in alcune procedure, i dati disponibili non coprono tutti i membri del-l'Omc.
34 Un recente studio, Vandenbussche H. e Zanardi M., (2008) – What Explains the Proliferation of Antidumping Laws?,
Eco-nomic Policy, n. 23, January 2008 – cui si rimanda per una trattazione esaustiva dell’argomento - riporta i casi di 108 paesi che fino al 1980 non erano dotati di legislatura antidumping, poi inserita invece nei 23 anni successivi. I dati sembrano sug-gerire l’uso di procedure antidumping sia a scopo di ritorsione sia come sostituto a dazi doganali ridotti a seguito di accordi commerciali.
35 I dati riportati di seguito nel testo sono tratti dal Global Antidumping Database della Brandeis University, consultabile online
al: http://people.brandeis.edu/~cbown/global_ad/
36 L’uso dei dazi antidumping è consentito dall’Omc secondo quanto stabilito dall’Art. 6 dell’accordo GATT. Secondo più di
un economista, la latitudine consentita nella determinazione causale danno economico – ritorsione è troppo ampia, e può piegarsi agevolmente a includere anche casi di fair competition. Inoltre, l’art. 6 non definisce le modalità dell’applicazione, così come l’agenzia nazionale incaricata dell’attuazione – con il risultato che tali modalità divergano anche notevolmente tra i singoli paesi.
In una nota pubblicata nel marzo 2009, la Banca Mondiale ha calcolato che tra ottobre 2008 e febbraio 2009 sono state circa 78 le misure relative al commercio proposte, di cui 66 restrittive, delle quali 47 effettivamente introdotte – 12 da parte dei paesi avanzati e 35 da parte dei paesi emergenti.
Ad un esame dei singoli casi, quello che è apparso evidente è che il protezionismo attuale ha delle caratteristiche peculiari, tanto da essere definito “protezionismo strisciante”.
Nel concreto, queste sono state le tipologie di misure adottate, di cui si
forniscono alcuni esempi di applicazione:1
1) Dazi all'importazione (imposizione di nuovi o aumento di