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Il solidarismo nel quadro dell’oggettivismo giuridico

Le assise teoriche della teoria di Léon Duguit, spesso associata a fe- nomeni sociopolitici e culturali quali l’associazionismo, la difesa di istan- ze socialiste, ad un sindacalismo dal tratto ‘rivoluzionario’ (al punto da esser stata talvolta definita, a torto o a ragione, una teoria ‘anarchica’ del diritto1), riposano in realtà su un nucleo teorico riconducibile, in gran

parte, al solidarismo2, movimento sociale, politico e culturale, non privo

1 «Chez Duguit, l’Etat apparaît simplement comme un fait, celui de la domination

d’un groupe humain doté d’une force supérieure et né de la différenciation des fonctions sociales. L’Etat ne joue donc pas, en tant que tel, de rôle privilégié dans la formation du droit: il doit au contraire être ‘soumis au droit’: de à provient l’accusation d’’anarchisme juridique’ fréquemment portée contre Duguit», P. RAYNAUD, Léon Duguit et le droit na-

turel, in «Revue d’histoire des facultés de droit et de la culture juridique, du monde des juristes et du livre juridique», Paris 1987, p. 172.

2 Gli studi critico-ricostruttivi sulla nozione di solidarietà, còlta nel quadro dei

conflitti sociali tardo-ottocenteschi, coprono, copiosamente, l’arco di più di un secolo. Cfr., almeno, M. BORGETTO, Solidarité, in Dictionnaire de la culture juridique, Paris 2003; Id., La notion de fraternité en droit public française: le passé, le présent et l’avenir de la solidarité, Paris 1993; Id., La doctrine solidariste de Léon Bourgeois, une nouvelle definition des rapports entre le politique, le social et le droit, in Les juristes face au politique. Le droit, la gauche, la doctrine sous la IIIe République, a cura di C-M. Herrera, Paris 2003, pp. 35-56; Ph. RÉMY, La genèse du solidarisme, ne Le solidarisme contractuel, a cura di L. Grynbaum e M. Nicod, Paris 2004, pp. 3-11; L. DEUVÉ, Étude sur le solida- risme et ses applications économiques, Paris 1907; M. DREYFUS (a cura di), Démocratie,

Solidarité et Mutualité «Autour de la loi de 1898», Paris 1999; P. DUBOIS, Le Solidarisme, 2 voll., Lille 1985; B. DUMONS e G. POLLET, La Solidarité, in Dictionnaire critique de la

République, Paris 2002; J. DAVIGNAUD, La Solidarité, liens de sang et liens de raison, Paris 1986; D. O. EVANS, Le socialisme romantique, Pierre Leroux et ses contemporaines, Paris 1948; F. EWALD, Solidarité, in Dictionnaire d’éthique et de philosophie morale, Paris 1996; M. FERRAZ, Étude sur la philosophie en France au XIXème siècle. Le socialisme, le

naturalisme et le positivisme, Paris 1877; L. FLEURANT, Sur la solidarité: le fait et ses prin- cipales formes, son exacte valeur morale, la solidarité dans l’éducation de la démocratie, Paris 1907; P. GUILLAUME, Les Solidarités. Du terroir à l’État, Pessac 2001. Per dovere di completezza, vanno citati anche i “critici critici”, che del solidarismo coglie la funzione

di risvolti nel campo normativo. La solidarietà, dunque, intesa non gene- ricamente quale benevola disposizione morale verso il prossimo, ma co- me movimento politico e al tempo stesso come corpus dottrinario scienti- fico, istallato nella dimensione dell’essere, ma non risolta in esso, ha un posto di primo piano nell’opera di Duguit.

Se il solidarismo gode di una posizione concettuale di rilievo nel si- stema di Duguit, è per un duplice ordine di motivi. Da un punto di vista storico-ricostruttivo, interno, per dir così, al suo pensiero, la dottrina so- lidaristica ha contribuito a conferire alla sua ricerca quello spessore cri- tico che le ha consentito, fondamentale sul punto l’apporto di Dur- kheim, di emendarsi dalla vena empirica che ha caratterizzato, così signi- ficativamente, i suoi scritti giovanili. Se la prima fase della sua riflessione sembra significativamente strutturata – non senza il tramite, come si è detto, dell’opera di Spencer3, di cui condivide importanti assunti, pur

all’interno di una sostanziale distanza – intorno alla nozione di organo, mutuata in parte dalla biologia e in parte dalla sociologia, è il riferimento all’ordinamento oggettivo strutturato su base solidaristica e mutuato dal- la riflessione di Durkheim, a consentirgli la costruzione di una teoria coerente del rapporto società-diritto, libera da ogni referenza ingenua alla biologia.

Più in generale, ed è questo il secondo ordine di motivi, rendendo possibile la definizione di un’area intermedia tra fatto e diritto, tra essere e dover-essere, tra Sein e Sollen, la riflessione solidaristica ha dato un no-

ideologica di mistificazione del conflitto sociale; in questo senso, cfr., soprattutto, J. DONZELOT, L’invention du social. Essai sur le déclin des passion politiques, Paris 1984.

3 Kelsen coglie appieno il senso e i limiti della costruzione sistematica di Spencer, il

cui metodo è qualificato spregiativamente come ‘criptogiuridico’. In questo senso: «Quale esempio tipico di metodo cripto-giuridico citiamo, tra i sociologi più vecchi, Spencer. La sua sociologia è pensata da cima a fondo in senso naturalistico, è costruita sull’idea di evoluzione e si presenta come una prosecuzione diretta della sua biologia. Egli distingue un’evoluzione inorganica, un’evoluzione organica ed una ‘sovraorganica’ e, quindi, ‘aggregati’ anorganici, organici e sovraorganici. La società è un aggregato sovraorganico, che costituisce il punto più alto dell’evoluzione complessiva. Il carattere normativo del concetto di evoluzione - che fa entrare di straforo già nella scienza della natura un elemento di valore metodicamente dubbio – emerge qui con particolare chiarezza; qui esso disvela il suo senso autentico. Poiché l’evoluzione, per sua essenza, deve necessariamente essere evoluzione ‘superiore’, questo concetto appare parti- colarmente adatto a comprendere il dato di fatto che la formazione sociale è qualcosa di superiore rispetto agli individui in essa riuniti», H. KELSEN, Der Soziologische und der Juristische Staatsbegriff: Kritische Untersuchung des Verhaltnisses von Staat und Recht (1922), trad. it., Il concetto sociologico e il concetto giuridico dello Stato. Studio critico sul rapporto tra Stato e diritto, a cura di A. Carrino, Napoli 1997, p. 54.

tevole impulso alla costituzione del fondamento oggettivistico di una teoria della normatività. In questo senso, il solidarismo può esser consi- derato, al pari del ‘formalismo’ kelseniano, della teoria dell’“ordi- namento oggettivo” di Santi Romano, del ‘decisionismo’ dello stesso Schmitt, un “tipo di pensiero giuridico”4, cui non manca l’ambizione di

costituire, se non un punto di riferimento stabile e definitivo per l’azione politica, quantomeno un momento di ripensamento del rapporto politi- co tra normatività e società.

Ma che cos’è il solidarismo giuridico, e, soprattutto, come definirne la declinazione normativa? Parlare di solidarietà, nel senso in cui è chiamata in causa qui, vuol dire non identificarla né ad un ideale, né ad è un valore: la solidarietà, intesa come momento di organizzazione dell’ordinamento giuridico, non è l’effetto di una benevola disposizione d’animo: piuttosto, si tratta dell’implementazione di una serie di metodi tesi alla constatazione di “stati di fatto”, effetto e causa al tempo stesso dell’ordine sociale, ritenuti per questo degni di rivestimento normativo.

Si è già detto della misura in cui l’individualismo giuridico si sia co- stituito alla stregua di “ostacolo epistemologico” per una teoria della sfe- ra normativa tesa alla disgiunzione dell’“identificazione tendenziale” tra Stato ed ordinamento giuridico. Lo Stato, inteso come “guardiano not- turno”, ad un certo punto, è stato messo pesantemente in discussione, la limitazione delle funzioni del diritto alla costruzione di una sfera sempli- cemente ‘negativa’ dell’agire normativo, legata alla reciproca limitazione dell’attività dei singoli, (libertà-da), è stata ritenuta insufficiente alla re- golazione complessiva del corpo sociale, secondo il dettato kantiano5.

Tanto più che, come vedremo, questa limitazione cade già all’interno delle teorie liberali: nella teoria del filosofo di Königsberg, sulla scia di

4 Per quanto la metodologia di definizione di “tipo di pensiero giuridico” sia

sostanzialmente opposta a quella che ispira il solidarismo, dal momento che: «Qui infatti noi dobbiamo stabilire e distinguere fra loro, non dall’esterno ma dall’interno stesso del lavoro giuridico-scientifico, diversi tipi di pensiero giuridico, evidenziati sul piano teorico, pratico e culturale. È questa la strada dell’osservazione concreta, che forse conduce ad un risultato più rapidamente che non facendo ricorso alle indagini preliminari – generali, metodologiche, ed epistemologiche – intorno alle possibilità puramente logiche o ai condizionamenti puramente formali di una scienza giuridica in generale», C. SCHMITT, Über drei Arten des rechtswissenschaftilchen Denkens (1934), trad. it., I tre tipi di pensiero giuridico, ne Le categorie del ´politico’, a cura di G. Miglio e P. Schiera, Bologna 1972, p. 248.

5 Sul punto, cfr. F. F

IORE, L’idea di contratto originario nella filosofia del diritto

kantiana, ne Il contratto sociale nella filosofia politica moderna, a cura di G. Duso, Milano 1998.

Rousseau, ad assumere progressivamente rilievo è un elemento, inizial- mente inteso in senso psicologico, la volontà, della quale, tanto per l’individuo “in piccolo” (il cittadino), quanto per l’individuo “in gran- de” (lo Stato), si evidenzia fenomenologicamente una vera e propria ‘trans-sustanzazione’ da entità empirica in entità logica, razionalmente giustificabile6. In virtù della volontà costituita come entità razionale,

emendata rispetto al suo connotato naturalistico, è possibile costruire i postulati di una scienza del diritto come quella giuspositivistica, che identifica sfera normativa e statualità: così, il diritto già non è costruito solo come limitazione. La riduzione della molteplicità sociale, sussunta nella sua regolazione normativa sotto un unico comune denominatore, la legge, fonte formale intesa, con i suoi requisiti di generalità, imperatività ed astrattezza, come sola ed unica manifestazione possibile di regolazio- ne dell’ordinamento identificato con lo Stato, volizione spoglia di tutti i suoi caratteri e di tutte le sue determinazioni particolari, è da conside- rarsi, agli occhi dei solidaristi e, in generale, della critica antiformalista, il correlato politico della trasfigurazione della volontà individuale da mera pulsione a elemento razionale, ritenuta in grado di regolare l’azione sta- tale.

Inquadrare il solidarismo come “tipo di pensiero giuridico”7, signifi-

6 È una costruzione concettuale eticizzante che sostiene, in generale, la credenza

nella necessaria obbligatorietà dell’obbedienza allo Stato, anche quando gli elementi empirici non la sostengono. In questo senso, un capitolo fondamentale dello strutturarsi dello Stato inteso come ordinamento in grado di obbligare in virtù della (reale o solo presunta) capacità a carico dei suoi organi di trasvalutare la violenza in forza e l’interesse in ragione riguarda la vincolatività del parere della maggioranza. Se, infatti, è vero che, come sostiene Robert DERATHÉ (J.-J. Rousseau et la science politique de son temps (1950),

trad. it., J.-J. Rousseau e la scienza politica del suo tempo, Bologna 1993, p. 25): «Il cittadino ha il dovere di ubbedire alla volontà generale, di cedere davanti ad essa, non perché rappresenta l’interesse comune o un interesse superiore, ma perché si è impegnato a farlo in virtù del contratto sociale», è altrettanto vero che tramite il contratto sociale si crea una totalità in cui il cittadino è libero perché la volontà da esso espressa è anche la sua volontà.

7 Significativamente, si rileva come la dimensione concettuale della solidarietà non

sia adeguatamente sviluppata nel panorama del dibattito contemporaneo, che tende ad usarla in senso squisitamente ideologico, alla stregua di un valore, sostenuto da istanze di tipo volontaristico. Così: «La solidarité est devenue une référence majeure des politiques sociales, un concept important dans le débat public, le leitmotiv de tant de discours et de programmes. Et pourtant, l’omniprésence de ce mot ne s’accompagne guère d’un réel investissement théorique et idéologique. Les intellectuelles les plus écoutés, quand ils s’y arrêtent, en font un usage parcimonieux, et les plus influents philosophes contemporains ne s’y réfèrent que rarement: sans doute y a-t-il des exceptions, comme parfois Jürgen Habermas, Alex Honnet, ou Richard Rorty, mais le concept de solidarité suscite incom-

ca, allora, ricostruire i termini della polemica esplicita con l’indivi- dualismo giuridico e i suoi principi, considerati alla stregua della defor- mazione unilaterale della complessa e molteplice realtà del diritto, de- formazione che avrebbe prodotto il “positivismo giuridico”, per pensare ‘diversamente’ l’azione dello Stato. A questo processo, che potremmo definire di “deformazione unilaterale tramite astrazione”, impossibile da contrastare attraverso il ricorso al giusnaturalismo e all’idea di diritto na- turale, seppur nella sua versione storicizzata, “a contenuto variabile”, il solidarismo oppone una concezione in virtù della quale alla “totalità so- ciale” pertiene una proria ed autonoma trasposizione normativa.

D’altra parte, il solidarismo giuridico ha anche un altro obiettivo po- lemico, quel realismo ‘ingenuo’, costruito cioè non criticamente, il cui esito è l’identificazione acritica tra diritto e forza. In questo senso, in- tende porsi polemicamente nei confronti non solo dei formalisti, quant’anche di quei ‘realisti’ (pensiamo a Seydel o a von Jhering) che, pur negando i presupposti teorici tanto del positivismo formalistico quanto dell’individualismo sociale e giuridico, giungono ad una legitti- mazione acritica dello status quo, riaffermando l’identificazione tra dirit- to e Stato da un lato e tra diritto e forza dall’altro. Rispetto a questo complesso sviluppo otto-novecentesco, Duguit assume il solidarismo in una prospettiva, in virtù della quale la scienza del diritto dovrebbe fare da ‘apripista’ ad un’evoluzione in senso ‘positivo’ (sociologicamente più che valorialmente inteso, ossia interno alla teoria dei “tre stadi” di Au- gusto Comte) dello Stato, sostituendo alla sovranità la solidarietà quale principio strutturante. Questa prospettiva è elaborata all’interno di una griglia ‘criticamente’ organizzata, sicché l’identificazione tra diritto e forza costituisce l’essenziale di un approccio realista alla politica. È pos- sibile, allora, sostenere, senza tema di smentita, come la sua riflessione sia da iscrivere nella scuola dell’oggettivismo sociologico-giuridico tran- salpino (i cui principali esponenti sono Gény, Saleilles, Duguit, Hauriou, Renard, Gurvitch)8, anticipato dal solidarismo quale corrente dottrina-

ria, inteso alla stregua della ricerca della definizione di un ordine antige- rarchico, teso alla definizione di una “totalità immanente”, caratterizzata

parablement moins d’intérêt que ceux de ¨justice sociale¨, d’’equité’ ou de ‘reconnais- sance’. Quant aux économistes, hormis quelques hétérodoxes ou spécialistes des poli- tiques sociales, il mobilisent peu ce concept», S. AUDIER, La pensée solidariste. Aux

sources du modèle républicain, Paris 2010, p. 1.

8 Filone di ricerca oggetto di uno studio giovanile, dal taglio peraltro molto critico,

di Norberto BOBBIO, Istituzione e diritto sociale (Renard e Gurvitch), in «Rivista internazionale di filosofia del diritto», 1936, pp. 385-418.

da rapporti tendenzialmente antigerarchici, se non egualitari, in grado di produrre diritto.

Quest’idea di “totalità immanente” caratterizza la dottrina solidari- stica all’interno e nell’ambito dell’opposizione tra ‘comunità’9 e ‘società’,

che costituisce il nerbo del dibattito politico-sociale a cavallo tra fine- ’800 e i primi anni del ‘900 e che esemplifica, in una certa misura, l’antagonismo tra il vincolo sociale pre-moderno e quello, successivo prima alla Rivoluzione francese10, essenzialmente politica, e poi alla quel-

la industriale, che verte invece su una profonda trasformazione dei rap- porti socio-economici.

Si tenta una ripresa politicamente non regressiva della problematica delle Genossenschaften, così come pensate da von Gierke (interna all’opposizione più generale tra diritto germanico e diritto romano) e delle Gemeinschaften di Tönnies: si tenda di recuperare al diritto quegli aspetti qualitativi della “socialità per interpenetrazione” (propri della 9 Sottolinea l’importanza del dibattito intorno all’opposizione tra comunità e società

nel dibattito del diciannovesimo secolo Nisbet, per il quale: «Il concetto di comunità assume, nel diciannovesimo secolo, la stessa importanza fondamentale che aveva assunto il contratto nell’Età della Ragione. Allora i filosofi avevano usato il fondamento logico del contratto per dare legittimità ai rapporti sociali; il contratto rappresentava il modello di tutto quello che era buono e degno di essere difeso nella società. Nel diciannovesimo secolo, tuttavia, assistiamo alla decadenza del contratto in favore della riscoperta del simbolismo della comunità. In molte sfere del pensiero, i vincoli comunitari – reali o immaginari, tradizionali o progettati – vengono a formare l’immagine della buona società. La comunità diventa lo strumento che denota la legittimità di associazioni così diverse come stato, chiesa, sindacati, movimento rivoluzionario, professione e cooperativa», R. A. NISBET, The Sociological Tradition (1966), trad. it., La tradizione sociologica, Firenze 1987, p. 67.

10 È Buisson che, in maniera estremamente sintetica, esprime il senso del

“cambiamento di paradigma” indotto dalla Rivoluzione dell’89: «Ailleurs, là où la socié- té continue d’être une superposition de classes distinctes, inégales en droits et diverses de fonction, le problème ne se pose pas. Il ne pourrait se poser que dans la forme révolu- tionnaire: il consisterait à mettre en question l’existance même de la société, à en récla- mer le bouleversement. C’était l’état de la France avant 1789. Depuis 1789, le problème pour nous est tout autre. Des principes ont été admis dont il est impossible de ne pas tirer plus ou moins rapidement toutes les conséquences. Ce n’est plus au nom du senti- ment ou en vertu d’un sorte d’Évangile naturel de l’humanité que se font entendre les réclamations de ceux qu’on appelle charitablement les petits et le humbles, les pauvres et les déshérités. Il parlent ou l’on parle pour eux au nom d’un droit qui leur est formelle- ment reconnu. Il ont une créance sur la République et ils veulent la faire valoir. Il ne sol- licitent pas, ils revendiquent. Tout la question est pour eux de se faire accorder exolici- tement ce qui leur fut implicitement promis. D’un droit virtuel ils veulent faire un droit réel», F. BUISSON, La Politique radicale. Étude sur les doctrines du parti radical et radical- socialiste, Paris 1908, p. 219.

comunità in opposizione alla società) e, quindi, opposti, a loro volta, alla “sociabilità per coordinazione e reciprocità” da un lato, nonché alla so- cialità “per dominazione gerarchica” dall’altro, caratterizzante la sfera dei rapporti più propriamente strutturanti la Gesellschaft.

Come si vedrà, le stesse categorie durkheimiane di “solidarietà mec- canica” e “solidarietà organica” possono a buon diritto essere considera- te alla stregua della trasposizione teorica del rapporto, pensato non più in opposizione, ma in successione, tra le forme di ‘sociabilità’ che socie- tà11 e comunità12, stando alla lezione di Tönnies, esemplificano idealtipi-

camente13.

Nell’ambito della cornice sin qui sinteticamente delineata è possibile mettere in rilevo i problemi che interrogano il solidarismo come dottri-

11 «Con ‘società’ nel senso forte intendiamo una sorta di contestura interumana,

nella quale tutti dipendono da tutti; dove il tutto sussiste solo mercè l’unità delle funzioni assolte dai compartecipativi, a ciascuno dei quali, in linea di principio, è assegnata una funzione; e dove ogni individuo, a sua volta, è determinato in larga misura dall’appartenenza al contesto nella sua totalità. Il concetto di società viene dunque a designare piuttosto le relazioni tra gli elementi e le leggi cui quelle relazioni soggiacciono, che non gli elementi e le loro semplici descrizioni: così inteso, esso è un concetto di funzione», Società, in ISTITUTO PER LA RICERCA SOCIALE DI FRANCOFORTE, Soziologische Exkurse (1956), trad. it., Lezioni di sociologia, Torino 1966, pp. 29-30. Per una definizione compiuta del concetto di società, inclusiva del confronto con quello di comunità, cfr. voce Società, in Soziologie (1958), a cura di René König, trad. it. Sociologia, Enciclopedia Feltrinelli Fischer, vol. 5, Milano 1964, pp. 313-326.

12 Comunità, definita nei seguenti termini da uno dei suoi più autorevoli studiosi:

«Per comunità intendo qualcosa che va molto al di là della semplice comunità locale. La parola, come la troviamo spesso nel pensiero del diciannovesimo e ventesimo secolo, include tutte le forme di rapporti caratterizzati da un alto grado di intimità personale, profondità emotiva, impegno morale, coesione sociale e continuità nel tempo. La comunità è fondata sull’uomo concepito nella sua completezza piuttosto che sull’uno o sull’altro dei singoli ruoli che egli si trova ad interpretare nell’ambito dell’ordine sociale; deriva la sua forza psicologica da livelli di motivazione più profondi di quelli del mero atto di volontà o interesse e raggiunge la sua piena realizzazione in una sottomissione della volontà individuale, impossibile in unioni di pura convenienza o consenso razionale. La comunità è fusione di sentimento e pensiero, di tradizione e impegno, di partecipazione e volontà», R. A. NISBET, La tradizione sociologica, cit., pp. 67-68.

13 Nel 1887, Émile Durkheimha l’incarico di scrivere una recensione al testo

Comunità e società. Lo scritto del sociologo francese provoca una sentita reazione da parte del sociologo tedesco, che qualifica lo scritto come “oltremodo sorprendente”,