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Solidarietà ‘meccanica’ e solidarietà ‘organica’ in Durkheim

L’opera di Durkheim, che può esser sinteticamente definita alla stre- gua di una riflessione critica intorno al senso del concetto di oggettività, quale entità ‘estima’ (cioè interna ed esterna al tempo stesso) al positivi- smo, ruota tutta intorno all’auspicato ruolo dominante, se non egemoni- co, che la sociologia dovrebbe assumere (o, forse meglio, avrebbe dovu- to, visto il successivo ridimensionamento delle sue pretese) nel panora- ma culturale e accademico, quale “scienza delle scienze”, sulla scia del magistero che era stato già di Augusto Comte.

Rispetto agli studiosi di cui si è trattato fin ad ora, la figura di Dur- kheim96 è quella di un intellettuale di grande spessore culturale, interno

96 É. DURKHEIM (1858-1917), è stato Professore di Sociologia prima a Bordeaux e

all’Accademia e profondamente integrato nei dispositivi dell’inse- gnamento universitario, dotato di una precisa vocazione egemonica, il cui programma è esemplificato magistralmente nella fondazione de

L’Année sociologique, rivista con la quale intende conferire alla sociolo-

gia un ruolo di disciplina-guida in continuità con l’insegnamento di Comte. Le finalità dell’“impresa scientifica” di Durkheim sono in primo luogo scientifiche e, solo in guisa mediata, politiche: la vocazione ege- monica che manifesta nella fondazione del campo sociologico, ordinato secondo le coordinate teoriche da lui impresse, sono legittimate da una profondità e da un respiro più ampio di quello degli autori di cui ci sia- mo occupati finora97.

un’importante scuola cui hanno afferito, seppur con discontinuità e rotture polemiche, oltre allo stesso Duguit, almeno, Marcel Mauss, Maurice Halbwachs, Georges Gurvitch e Claude Lévi-Strauss. Per un inquadramento di carattere bibliografico dell’opera del sociologo, cfr., almeno: C. BOUGLÉ, Bilan de la sociologie française contemporaine, Paris 1938; G. DAVY, Sociologues d’hier et d’aujourd’hui, Paris 1950; R. ARON, Mains currents

in sociological thought (1972), trad. it., Le tappe del pensiero sociologico, Milano 1987, pp. 297- 368; J. DUVIGNAUD, Durkheim, sa vie, son œuvre, Paris 1965; G. GURVITCH, La

vocation actuelle de la sociologie, I (1957), trad. it., La vocazione attuale della sociologia, Bologna 1957; A.GIDDENS, Capitalism and modern social theory: an analysis of the writings of Marx, Durkheim and Max Weber (1971), trad. it., Capitalismo e teoria sociale. Marx, Durkheim e Weber, Milano 1985; ID., Durkheim (1985), trad. it., Durkheim,

Bologna 1999; T.PARSONS, The structure of social action: a study in social theory (1937), trad. it., La struttura dell’azione sociale, Bologna 1970; M. A. TOSCANO, Evoluzione e

crisi del mondo normativo. Durkheim e Weber, Roma-Bari 1975; P. MARCONI, Durkheim. Sociologia e politica, Napoli 1974; G. POGGI, Immagini della società, Bologna 1973; F. FERRAROTTI, Lineamenti di storia del pensiero sociologico, Roma 2002, pp. 143-154; M. FOURNIER, Émile Durkheim (1858-1917), Paris 2007. Ancora su Durkheim, stavolta con

riferimento alle tematiche normative, cfr.: G. GURVITCH, Pour le centenaire de la nais- sance de Durkheim, «Cahiers internationaux de Sociologie», XXVII, 1959; C. A. VIANO,

La dimensione normativa nella sociologia di Durkheim, in «Quaderni di sociologia» XII, 1963, pp. 310-352; S. Villeneuve, Durkheim. Réflexions sur la méthode et sur le droit, in «Archives de Philosophie du droit», 14, 1969, pp. 237-255; B. LACROIX, Régulation et anomie selon Durkheim, in «Cahiers internationaux de Sociologie», LV, 1973, pp. 265- 292; G. POGGI, Immagini della società. Saggi sulle teorie sociologiche di Tocqueville, Marx e Durkheim, Bologna 1973; G. DAVY, L’homme, le fait social et le fait politique Paris

1973; R. MARRA, Il diritto in Durkheim. Sensibilità e riflessione nella produzione normativa, Napoli 1986.

97 Come sostiene pertinentemente Carla FARALLI (Léon Duguit filosofo del diritto, in

L. DUGUIT, Le trasformazioni dello Stato. Antologia di scritti, Torino 2003, pp. 28-29,

nota 4: «La molteplicità delle ricerche condotte da Durkheim e dai suoi allievi è ampiamente documentata dall’Année sociologique, fondata, dallo stesso Durkheim nel 1896: questo laboratoire de recherche – come lo definisce J. Carbonnier (Sociologie juri- dique, Paris 1978, p. 115) – testimonia la diversità e l’evoluzione degli interessi dei

Sul piano teorico, è possibile riassumere l’attitudine essenziale del sociologo francese come la costruzione di un rapporto di reciprocità e di mutua intellegibilità tra vita sociale e sfera normativa: in questo senso, possiamo dire che la problematizzazione del rapporto tra ‘essere’ e “do- ver essere”, così come tematizzato dagli altri solidaristi e da Bourgeois in particolare, ossia inteso a partire da aree distinte, connesse per il tramite di un elemento esterno come il “quasi-contratto”, è del tutto estraneo alla sua riflessione, sulla cui scorta la normatività è considerata, in virtù di un dispositivo intellettuale molto raffinato, parte integrante della so- cialità stessa, e, in particolare, della solidarietà. Ubi societas, ibi ius: per il sociologo francese, il problema teorico è nel rinvenimento di un metodo, in grado di ricostruire intellettualmente l’organicità del rapporto tra realtà sociale e dimensione normativa che si dà però già nell’oggetto, in

re. È su questa linea, realistica ed inclusiva della tensione doveristica,

che la solidarietà viene recepita da Duguit, laddove, lo si ribadisce, per i vari Fouillée, Secrétan, Bouglé, Bourgeois, l’essere sociale resta situato sul ‘semplice’ piano dell’essere, senza fornire alcun tipo di indicazione doveristica, lasciando alla scienza giuridica e alla politica del diritto l’elaborazione di quei quadri in grado di connettere sinteticamente fatto e valore, e che la politica, intesa come azione, dovrà assumere per legit- timare se stessa in senso realistico.

È dunque per la strada tracciata da Durkheim, più che per quella dei ‘solidaristi’ che l’oggettivismo è recepito da Léon Duguit: il c.d. “fatto sociale”, in entrambi, è pensato con una valenza immediatamente nor-

durkheimiens, tra i quali per la rilevanza delle loro ricerche anche in campo giuridico vanno ricordati: L. Genet e P. Huvelin, storici, l’uno del diritto greco, l’altro del diritto romano; E. Lévy, collaboratore dell’Année sociologique dal 1897, che sviluppò una sorta di psicologia sociale, mettendo l’accento sul ruolo delle credenze nel diritto, come suggerisce la sua famosa formula “la croyance crée le droit”; J. Charmont che sostituì E. Lévy quando quest’ultimo abbandonò la rivista; P. FAUÇONNET che si dedicò allo studio dell’evoluzione della nozione di responsabilità (cfr. La responsabilité, étude de sociologie, Paris 1920); M. Leenhardt, missionario ed etnologo sul campo, che studiò la personalità (cfr. Dosekamo. La personne et le mythe dans le monde mélanésien, Paris 1947); G. Davy autore di un interessante studio sulle origini del diritto contrattuale (cfr.: G. DAVY, La foi jurée, étude sociologique du problème du contrat, Paris 1922) e attivo animatore della terza serie dell’Année sociologique (“dernier survivant des disciples de Durkheim – ha scritto di lui J. Carbonnier nell’Année sociologique, 1975, p. 5, annunciandone la morte – était le chaînon précieux par le quel la Année sociologique se sentait relié à son fondateur ”); H. Hubert e M. Mauss, nipote di Durkheim e uno dei discepoli più assidui (collaborò all’Année sociologique dal 1898 al 1912), ed originali che indirizzò i suoi studi in molteplici direzioni.

mativa, di cui il diritto98, quale entità afferente alla sfera politico-statuale,

è solo un sottoinsieme, identificabile col monopolio dell’uso della forza, che non differisce qualitativamente dalla regolazione sociale, e che non dev’essere costruito dall’esterno, con l’ausilio di categorie concettuali. Tra norme sociali, norme morali e norme giuridiche propriamente dette vi sarebbe solo una differenza di grado: si tratterebbe sempre e comun- que di norme sociali, senza che si dia un salto qualitativo, attestante un diverso genus, individuabile a partire dal requisito della sanzionabilità, come nella dottrina formalistica di Kelsen.

Sin dalle sue riflessioni sul metodo, fortemente rievocative, sin dal ti- tolo, della lezione cartesiana99, il nesso tra “fatto sociale” e ‘normatività’

si stringe immediatamente: il sociologo transalpino ne dà, infatti, la se- guente definizione; “fatto sociale” sarebbe: «[…] ogni modo di fare, più o meno fissato, capace di esercitare sull’individuo una pressione esterna, oppure un modo di fare che è generale nell’estensione di una società da- ta, pur avendo esistenza propria, indipendente dalle sue manifestazioni individuali», non senza la precisazione «La prima regola, ed anche la più fondamentale, impone di considerare i fatti sociali come cose»100.

Quest’espressione è stata considerata, probabilmente non a torto, enigmatica: cosa vuol dire, infatti, che i fatti sociali vanno studiati come

cose, se non, in prima battuta, che non lo sono? I fatti sociali, allora,

vanno studiati come se fossero cose, ma in che senso? Da un lato, i fatti sociali attengono alla dimensione fenomenica: la loro essenza logica è inaccessibile all’analisi sociologica, che non attiene ad essenze, intese in senso logico-metafisico. Le ‘cose’ di cui si occupa la sociologia, ed è que- sto il secondo punto, vanno intese come un limite oggettivo, e, in una certa misura, coattivo, imposto dall’esterno alle volizioni e all’attività de- gli individui. Con questo, Durkheim, assume da un lato l’individuo con- 98 Per una visione d’insieme relativa alla riflessione durkheimiana sul diritto, oltre al

già citato testo di Realino Marra, cfr.: S. LUKES, A. SCULL (a cura di), Durkheim and the Law, Oxford 1984; R. COTTARELL, Émile Durkheim: Law in a moral domain, Stanford

1999.

99 Cfr. G. P

AOLETTI, Durkheim et le problème de l’objectivité: une lecture des Formes

élémentaires de la vie religieuse, in «Revue française de sociologie», 43-3, 2002, pp. 437- 39. Sull’argomento, ci sia consentito rimandare a V. RAPONE, Durkheim cartesiano, ovvero della costruzione critica della nozione di “fatto sociale”, in AA. VV., Dimensione simbolica. Attualità e prosettive di ricerca, a cura di V. Rapone, cit., pp. 117-142.

100 É. DURKHEIM, Les règles de la méthode sociologique (1895), trad. it., Le regole del

metodo sociologico. Sociologia e filosofia, Milano 1996, p. 33. In senso chiaramente polemico, si veda l’importante contributo di J. MONNEROT, Les faits sociaux ne sont pas des choses, Paris 1946.

creto, inteso come entità psicologica, come referenza della sua indagine – anche questo è un punto di forte continuità con Duguit –, dall’altro, però, intende i fatti sociali come limiti reali, costrittivi nei confronti del singolo, costitutivi il “limite esterno” alla sua azione, limite che ha la qualità dell’inerzia, dell’attrito, della materia che si erge, in una certa mi- sura, ad ostacolo ineludibile, ma anche fecondo, alla libertà. Cosa, allora, è il limite dell’azione di ciascuno, è ciò che ne limita, dall’esterno, condi- zionandola, l’azione, è, ancora, quell’attrito che ogni volontà incontra nel realizzarsi, e che, tuttavia, le consente di comprendersi come tale. In definitiva: «La nostra definizione comprenderà quindi tutto l’oggetto da definire se diremo che è un fatto sociale ogni modo di fare, più o meno fissato, capace di esercitare sull’individuo una costrizione esterna – op- pure un modo di fare che è generale nell’estensione di una società data, pur avendo esistenza propria, indipendente dalle sue manifestazioni in- dividuali»101.

Per Durkheim, il “fatto sociale”, inteso come ‘cosa’, è, allora, fonte di conoscenza, seppur quest’ultima si dà limitatamente all’organiz- zazione dei fenomeni, consentendo il superamento di un approccio idea- listico, e, in quanto tale, ideologico (i due termini vanno considerati in una certa misura equivalenti), al reale. Se nell’idealismo, infatti, questo limite è interno alla coscienza stessa (si pensi al non-io in Fichte), nell’oggettivismo non solo le è esterno, ma è anche inconscio, almeno in linea di principio, nel momento, cioè, in cui l’io lo impatta.

L’oggetto, inteso come limite esterno al soggetto, ne orienta le de- terminazioni volitive e le rappresentazioni ideative in un duplice senso: da un lato, circoscrive le pretese di onnipotenza di quel soggetto ‘prati- co’ che arriva al punto di “potere tutto ciò che vuole”, dall’altro, lo orienta in senso conoscitivo. Il “fatto sociale”, inteso come cosa, è costi- tutivo del metodo scientifico nella misura in cui invece «[…] di cercare di comprendere i fatti acquisiti e realizzati, essa si accinge immediata- mente a realizzarne di nuovi, di più conformi agli scopi perseguiti dagli uomini: quando si crede in cosa consista l’essenza della materia, ci si mette subito alla ricerca della pietra filosofale. Questo sconfinamento dell’arte nella scienza, che impedisce a quest’ultima di svilupparsi, è d’altronde agevolato dalle circostanze stesse che determinano il risveglio della riflessione scientifica»102. Il riferimento, qui, è alla teoria di France-

sco Bacone, che contrappone l’esercizio del sapere scientifico all’immaginazione, costitutiva invece alla sfera degli idola, a tutti gli ef-

101 É. DURKHEIM, Le regole del metodo sociologico. Sociologia e filosofia, cit., p. 33. 102 Ivi, p. 35.

fetti costitutive dell’ideologia, a quelle rappresentazioni ‘sfuocate’ e ‘im- precise’ del reale, alla cui base vi sarebbero giudizi impropriamente anti- cipati all’oggetto, notiones vulgares o prenotiones. Queste ultime, nelle narrazioni ingenue, prendono il posto dei fatti, misconoscendo la valen- ze coattive di questi ultimi: Durkheim mette in evidenza, con grande ef- ficacia persuasiva, come l’individuo abbia la tendenza a orientarsi nel rapporto col mondo sulla base di una relazione del tutto immaginaria, del tutto simile a quella, fantastica, che costringe gli abitanti della caver- na platonica a scambiare le ombre proiettate sulle pareti per la “cosa stessa”.

La conoscenza si dirà scientifica nella misura in cui si struttura in rapporto alle ‘cose’, secondo un metodo che è quello “a posteriori”, me- todo sperimentale, che non antepone nessuna nozione pre-giudiziale alla conoscenza dell’oggetto. Solo rivolgendo l’attenzione al mondo delle co-

se, ossia dei fatti sociali, intesi a partire dalla loro costituzione fenomeni-

ca e alla loro vocazione coattiva – nonché agli stessi rapporti tra cose, che non sono altro, se non legami reciproci di solidarietà – un sapere po- trà dirsi oggettivo.

Questa disposizione concettuale generale è accompagnata dall’enun- ciazione di tre corollari che precisano un metodo, la cui ispirazione, car- tesiana, è tale, che l’identificazione tra il pensiero di Durkheim e un og- gettivismo radicale, inteso “tout court” è impossibile. Con chiaro intento illuministico e antiromantico, la strada di una possibile liberazione dagli

idola baconiani passa, allora, per una relazione con le cose, in grado di

dissolvere le nostre pseudo-conoscenze, che leggono la realtà trasponen- do su di essa la qualità del pensiero, operando magicamente: sarebbe questa la cifra dell’idealismo, che misconosce la qualità totalmente ‘altra’ dalla coscienza della realtà, al pari dell’inconoscibilità, asserita rispetto alla sua inseità103. Se questa prima regola è del tutto ‘negativa’, nel senso

103 «Il dubbio metodico di Descartes non è, in fondo, che una sua applicazione: se,

nel momento in cui si accinge a fondare la scienza, Descartes non è, in fondo, che una sua applicazione: se, nel momento in cui ci si accinge a fondare la scienza, Descartes assume come legge quella di mettere in dubbio tutte le idee che ha ricevuto precedentemente, ciò significa che egli vuol servirsi soltanto di criteri scientificamente elaborati, cioè costruiti in base al metodo che istituisce; tutti quelli che derivano da un’altra origine devono quindi venir respinti, per lo meno provvisoriamente», ivi, p. 47. Aggiungiamo, per inciso, che, per Durkheim, ad una concezione, in virtù della quale il “fatto sociale” ha anche una sua valenza normativa, corrisponde un certo grado di distinzione-connessione tra “giudizi di fatto” e “giudizi di valore”; sul punto, cfr. l’importante contributo: É. DURKHEIM, Giudizi di valore e giudizi di realtà, in ivi, pp. 207-224.

di limitativa, Durkheim ne elabora altre due, che rilevano nella misura in cui supportano costruttivamente il suo edificio teorico; innanzitutto, è necessario: «[…] assumere sempre come oggetto di ricerca solo un gruppo di fenomeni precedentemente definiti mediante certi caratteri esterni ad essa comuni, e che comprende nella stessa ricerca tutti quelli che rispondono a tale definizione»104.

Contro la svalutazione dell’esteriorità, propria della conoscenza filo- sofica tradizionale, l’assunzione della sensibilità quale punto di partenza di una riflessione che ritiene che solo “dall’esterno” si possa attingere alla realtà (non intesa essenzialisticamente) delle cose: lo scopo dell’intera edificazione della scienza sociologica è riportare in un corret- to equilibrio ideale e reale, intelletto e sensibilità, percorrendo una stra- da segnata dal metodo empirico, rivisto criticamente.

L’ideal-realismo del sociologo francese procede con la selezione di quei faux sociaux, che si ritiene presentino un certo grado di oggettività: «[…] perciò – scrive Durkheim – quando il sociologo si accinge ad esplorare un qualsiasi ordine di fatti sociali, egli deve sforzarsi di consi- derarli dal lato in cui essi si presentano isolati nelle loro manifestazioni individuali»105.

Al precedente lavoro sulla coscienza, se ne aggiunge un altro, volto alle sensazioni e al rapporto con oggetti ‘significanti’, solo a partire dai quali si generano “rilevanze concettuali” sulle sensazioni: la scia è quella di un approfondimento delle metodologie sensiste, quale bagaglio pro- prio dell’illuminismo, a partire da D’Holbach e Condillac.

Quanto asserito sul piano del metodo si riflette in ambito normativo: l’anteriorità della cosa e dei rapporti che sono individuabili sull’asse reso possibile dal riferimento alla chose ha precise ricadute nel campo della definizione del fenomeno normativo, còlto, oggettivisticamente, prima della sua formalizzazione. Questo modo di procedere definisce progres- sivamente l’area, ascrivibile alla socialità, caratterizzata da una normati- vità diffusa, nel cui ambito il primato è della consuetudine (‘coutume’) e la cui definizione è indipendente da processi di formalizzazione. In que- sto senso, il diritto è considerato in un rapporto particolare con la socia- lità: la centralità del momento sanzionatorio è ricusata e la sanzione stes- sa è considerata da Durkheim null’altro che una modalità formalizzata e garantita dalla forza di riprovazione sociale. Ogni gruppo sociale non può esistere senza una serie di interdetti, la cui funzione è quella di rego- lare la coesione interna, e che, proprio per questo, non hanno un valore

104 Ivi, p. 50. 105 Ivi, p. 57.

per il loro contenuto, ma solo per la funzione regolativa che svolgono (appartengono a questo tipo di regole quelle specificamente sociali, co- me le regole alimentari, quelle che determinano gli scambi di oggetti e donne tra gruppi, gli interdetti legati alla religione e al culto in generale). La modalità con la quale la trasgressione di certi interdetti è socialmente punita, la riprovazione sociale, può essere oggetto di formalizzazione: in questo caso la norma appare dotata del requisito formale della sanzione: lo Stato è l’organismo che organizza questo processo di formalizzazione della reazione sociale106. È questo l’ambito di una teoria della morale che

nega consapevolmente ogni introspezionismo: la dicotomia tutta kantia- na tra foro interno e foro externo, la necessità stessa di dislocare il co- mando tra queste due sfere è del tutto estranea al sociologo transalpino, per il quale, fondamentalmente, il diritto è funzione della solidarietà so- ciale.

La concezione durkheimiana della solidarietà è sviluppata nella sua opera prima, che poi è la sua tesi di dottorato, e che, in un certo senso, costituisce anche il suo lavoro più sistematico: La divisione del lavoro so-

ciale107, lavoro di notevole complessità nel quale sono presenti già in un

elevato stato di formalizzazione quelle intuizioni che saranno sviluppate nel corso della sua elaborazione ‘matura’. Nel suo lavoro di dottorato la solidarietà è definita, in modo estremamente significativo e pregnante, alla stregua di «[…] un fenomeno di natura esclusivamente morale che, di per sé, non si presta né all’osservazione esatta, né alla misura. Per procedere a questa classificazione e a questo confronto tra diversi tipi, è dunque necessario sostituire al fatto interno che ci sfugge, un secondo esterno che lo simbolizzi, e studiare il primo attraverso il secondo. Que- sto simbolo visibile è il diritto»108.

Si tratta di un passo, come già anticipato, estremamente significativo: la solidarietà, quanto alla sua essenza noumenica, non è definibile, il che vuol dire che del legame sociale si possono predicare solo esteriorizza- zioni, che alludono ad un’essenza inaccessibile in sé, simbolizzandola. Dunque, è l’assunzione di un punto di vista che privilegia i sensi, legato

106 Notiamo, per inciso che, in questa prospettiva, l’identificazione tra norme

giuridiche e norme sanzionabi, e, quindi, tra diritto e forza, è il riflesso astraente dell’assolutizzazione di un momento isolato, estrapolato da una totalità, che, invece, surdetermina complessivamente il fenomeno normativo, e che sarebbe compito della sociologia ricostruire.

107 Cfr. É. D

URKHEIM, De la division du travail social (1902), trad. it., La divisione del

lavoro sociale, cit..

all’assunzione del “punto di vista esterno”, che consente l’accesso alla solidarietà, che verterà su un fenomeno e sarà esso stesso di natura squi-