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Oltre l’ideologia individualistica Il legame sociale e le sue trasfor mazion

La nozione di solidarietà, riletta da Duguit in senso realistico, non è solo un antidoto alla costituzione di quelle categorie formali (volontà generale, soggetto di diritto, diritto soggettivo) che costituiscono para- digmaticamente l’oggetto della sua critica, quantanche il perno di una teoria che ambisce al ripensamento della la sfera normativa, intesa nella sua integrità. Né il metodo di Duguit è circoscritto al solo ambito del di- ritto pubblico: nella lettura del giurista francese, infatti, il confine tra sfera privatistica e pubblicistica è venuta anzitutto nella realtà: si consi- deri, a titolo di esempio, la categoria di contratto, che, in un certo senso, può essere ascritta, almeno quanto alla sua genealogia concettuale, alla dimensione giusprivatistica, ma che diventa, in un momento ben preciso, il pivot concettuale tanto dell’edificazione di un’area intermedia tra dirit- to privato e diritto pubblico, quanto della stessa sfera pubblica, per la cui legittimazione il ricorso alla nozione di “contratto sociale” è centrale

nelle teorie sei-settecentesche1.

Non è eccessivo sostenere che, almeno a partire da un cento punto, il primato dell’ideologia contrattuale – legato alla costituzione del sog- getto borghese, ad un immaginario di indipendenza dal contesto sociale di riferimento, di razionalità dell’espressione volitiva e della capacità di autoregolarsi – si estenda a tutta la sfera normativa, avendo per contenu- to l’uguaglianza dei soggetti contraenti e, quindi, il superamento della categoria medioevale di status. È proprio la revisione critica dell’ideo- logia contrattualistica, a fornire a Duguit l’occasione per porre una netta distanza dagli altri solidaristi, considerati legati a doppio filo ad un oriz- zonte definito da categorie giusprivatistiche, e, per questo, incapaci di costituire la sfera normativa in un campo realmente intersoggettivo e so- ciale. Secretàn, Fouillé e Bourgeois, lo si è visto, non sono in grado di

1 Questo passaggio è oggetto di una specifica disamina nel (bel) contributo di J.

TERREL, Les Théories du pacte social. Droit naturel, souverainité et contrat de Bodin à Rousseau, Paris 2001.

fornire una lettura del primato del vincolo sociale sulla dimensione indi- vidualistica, e, quindi, nella lettura che ne dà Duguit, la loro produzione scientifica resta legata alla nozione di contratto (nella forma tanto dell’“organismo contrattuale”, quanto del “quasi-contratto”), che di questa dimensione è significativa espressione.

L’affermazione che l’ideologia contrattualistica costituisce il necessa- rio correlato della progressiva affermazione dell’individualismo avvicina Duguit a Durkheim in posizione polemica nei confronti di Spencer, di cui pure si erano, in precedenza, accettati importanti assunti teorici, le- gati all’evoluzione in senso ‘organico’ della differenziazione sociale. Co- me si è già in parte anticipato, il quadro concettuale nel quale si dipana la critica portata al filosofo inglese è quella della polemica contro la per- vasività della categoria di contratto, critica sulla quale Duguit matura

una perfetta convergenza2. A Spencer è imputata un’eccessiva quanto

ingenua simpatia per il complesso processo di svuotamento di senso dell’apparato normativo delle società tradizionali, cui si plaude in virtù del processo, molto enfatizzato, di progressiva differenziazione ‘organi- ca’ della società: la critica mossa a Spencer da Durkheim, che anima molte importanti pagine de La divisione del lavoro sociale è ripresa da Duguit con particolare vigore. Se, per il filosofo inglese, il contratto co- stituisce la forma ‘normale’ e, in certo senso ‘originaria’ dello scambio, per cui: «[…] a misura che con il declino del militarismo e l’ascensione dell’industrialismo sia il potere sia la portata dell’autorità diminuiscono e la libertà d’azione aumenta, la relazione del contratto diventa generale; infine, nel tipo industriale pienamente sviluppato, questa relazione di-

venta universale»3, Durkheim gli imputa una concezione troppo ristretta

2Per DURKHEIM, infatti (La divisione del lavoro sociale, cit., p. 211): «Per altro, si

può difficilmente difendere oggi la concezione del contratto sociale, così priva di rapporti con i fatti. L’osservatore non la incontra – per così dire – sul suo cammino. Non soltanto non vi sono società che abbiano tale origine, ma non vi sono neppure società la cui struttura presenti la minima traccia di organizzazione contrattuale: il contratto non è quindi né un fatto storicamente accertato, né una tendenza che derivi dallo sviluppo storico».

3 H. S

PENCER, Principes de Sociologie, trad. fr. Paris 1878-87, vol. III, p. 808. Che

poi, in virtù dei suoi stessi princìpii Spencer ‘manchi’ la famiglia come istituzione, che invece è al centro delle attenzioni di Durkheim, questo è un altro problema, correttamente evidenziato da Solari, per il quale: «Sempre in armonia co’ suoi princìpi e quindi con la scuola del diritto naturale lo Spencer sostiene il carattere contrattuale del matrimonio, e quindi ammette il divorzio. È fautore della libertà e assoluta uguaglianza della donna, e a giustificare i limiti posti alla libertà della donna nei rapporti di famiglia ricorre al concetto di patto. Della famiglia come istituzione giuridico-sociale non tratta lo Spencer. Esso, come la scuola del diritto naturale, non riconosce che rapporti tra

della solidarietà contrattuale, limitata ai suoi soli aspetti negativi (leggi:

repressivi)4. La tesi fondamentale del sociologo francese può essere

espressa nei seguenti termini: se è vero che, come vuole Spencer, le rela- zioni contrattuali si moltiplicano nella misura in cui il lavoro sociale si divide, è altrettanto vero che, contemporaneamente, relazioni non con- trattuali rendono le forme positive del contratto sempre più complesse e articolate. Lo sviluppo di relazioni non contrattuali, a fianco di quelle contrattuali, attesterebbe allora dello sviluppo di vincoli positivi di soli- darietà: per supportare la sua tesi, si affronta lo sviluppo storico di istitu- ti di natura originariamente contrattuale, come il matrimonio e l’adozione, evidenziando come nel tempo la volontà contrattuale sia sta- ta sottoposta, nella forma di clausole, a progressive limitazioni, che sono lette come un effetto indiretto della progressiva preponderanza della “solidarietà per divisione del lavoro sociale”. Sono proprio le limitazioni della volontà contrattuale oggetto di alcuni articoli del Code Napoléon, a suffragare la tesi di Durkheim con argomenti concreti: lo spirito dei re- dattori del Codice del 1804, infatti, consiste nel regolare la forma con- trattuale assoggettandola a obbligazioni di natura sociale o morale, limi- tando così la volontà dei contraenti. Innanzitutto, non c’è obbligatorietà per le espressioni di volontà contrattuale di un incapace, per quelle sen- za oggetto, la cui causa è considerata illecita, per quelle la cui causa è il- lecita in senso stretto, per quelle concernenti una cosa che non può esse- re venduta o che sono poste in essere da una persona che non può ven- dere. Inoltre, una serie di articoli del Codice Civile dei francesi vertono su obbligazioni che devono essere considerate fisse e che non possono essere oggetto di trasformazione in sede di stipulazione del contratto: si tratta degli articoli 1628, in virtù del quale il venditore non può mancare all’obbligazione di garantire il compratore contro ogni evizione che ri- sulti da un fatto personale, dell’articolo 1629, che obbliga alla restituzio- ne della somma pagata in caso di evizione, quale che sia la sua origine, purché il compratore non sia stato a conoscenza del pericolo, e, infine, dell’articolo 1602, che obbliga il contraente ad essere esplicito e a spie- garsi chiaramente su ciò a cui si impegna. Analogamente, il venditore

individui, e quindi la famiglia, se conserva un valore e significato etico non è giuridicamente tenuta in grande considerazione», G. SOLARI, Socialismo e diritto privato, cit. p. 47.

4 In questo senso: «Il campo dell’azione sociale si restringerebbe quindi sempre di

più, poiché non avrebbe altro scopo che quello di impedire agli individui di invadere i rispettivi domini e di nuocere l’uno all’altro – vale a dire, non sarebbe più regolatrice che in modo negativo», É. DURKHEIM, La divisione del lavoro sociale, cit., p. 209.

non può essere dispensato dalla garanzia dei difetti nascosti (art. 1641 e 1643), se ne è al corrente; ancora, se si tratta di immobili, in virtù dell’art. 1674, è il compratore che ha il dovere di non approfittare della situazione per imporre un prezzo troppo inferiore al valore reale della cosa. Inoltre, Durkheim evidenzia come sia del tutto sottratto alla capa- cità di definizione delle parti tutto ciò che riguarda la prova e la natura delle azioni cui il contratto dà diritto, nonché i termini, entro i quali de- vono essere poste in essere.

Per rimanere nei termini della polemica con Spencer, si sottolinea come la preponderanza della solidarietà “per divisione del lavoro” si manifesti non solo ‘negativamente’, tramite il rifiuto di riconoscere un contratto stipulato in dispregio della legge, ma anche ‘positivamente’: ecco che al diritto è riconosciuta una vocazione di regolazione non sta- tuale dei rapporti sociali. Ad acquistare valore primario in questa diffici- le querelle che oppone Durkheim a Spencer è l’articolo 1135 del Codice Civile (per il quale i contratti «obbligano non solo a ciò che è espresso, ma anche a tutte le conseguenze che l’equità, l’uso o la legge attribuisco- no all’obbligazione in base alla sua natura»), che dimostrerebbe in che misura i contratti danno origine a obbligazioni che vincolano dall’e- sterno la volontà dei contraenti, e che non possono essere oggetto di pat- tuizione.

In definitiva, la posizione, sia di Durkheim che di Duguit, è che la capacità del contratto di derogare alla legge, in nome di una presunta autonomia dei privati è, nei fatti, una delle illusioni dell’ideologia indivi- dualistica: se c’è un primato, è quello dell’ordinamento oggettivo. Al tempo stesso, però, la constatazione della trasformazione del legame so- ciale verso forme di solidarietà ‘restitutiva’, legata a processi ‘organici’, comporta che il diritto sia in grado di recepire e tradurre non solo mo- menti di reciproca limitazione delle volontà, ma anche di intervento atti-

vo nella società5.

Alla pretesa autosufficienza del contratto, Durkheim oppone la fun- zione cooperativa propria della solidarietà, in virtù della quale: «La soli- darietà negativa è possibile solo dove ne esiste un’altra, positiva, della

quale è, al tempo stesso, risultante e condizione»6.

5 In definitiva: «Pertanto il contratto non è autosufficiente; esso è possibile in virtù

di una regolamentazione di origine sociale», É. DURKHEIM, La divisione del lavoro

sociale, cit., p. 222.

6 Ivi, p. 136. Come rilevano, pertinentemente, F. C

ALLEGARO e N. MARTUCCI

(Introduzione a É. DURKHEIM, Lezioni di Sociologia. Per una società politica giusta, cit., p. 67): «Seguendo la storia del contratto e le sue contraddizioni, la sociologia giunge così

In virtù della critica all’eccessivo peso che Spencer avrebbe conferito ai momenti ‘negativi’ della solidarietà a discapito di quelli ‘positivi’, Durkheim elabora una serie di posizioni polemiche nei confronti del pensatore inglese: al tempo stesso, l’autore de La divisione sociale del la-

voro prende le distanze anche da un altro esponente del solidarismo,

Fouillée, per il quale come si è detto, come si è visto, in virtù della sua teoria dell’“organismo contrattuale”, sarebbe definibile come contratto la semplice adesione che l’individuo, diventato adulto, retroagisce sul legame sociale, validando la sua appartenenza alla società in cui è nato,

per il solo fatto che «continua a viverci»7.

Duguit valida e, al tempo stesso, supera la posizione durkeimiana di critica dell’ideologia contrattualista, proponendo una sua lettura molto

originale8: non solo nelle società contemporanee a svilupparsi sarebbero

relazioni parallele a quelle contrattuali, che potremmo definire consu- stanziali ad una solidarietà ‘positiva’, ma si assisterebbe ad un vero e proprio declino della forma contrattuale.

Le sua tesi, dunque, è ben più pregnante di quella dell’autore de La

divisione del lavoro sociale: il dominio del contratto, pure fondativo

dell’ideologia individualistica, e, contemporaneamente, della sfera pub- blica, sarebbe oggetto, nelle società industriali a cavallo tra l’800 e il ‘900

fino a ridefinirne gli assunti fondamentali. La storia del contratto ci mostra, anzitutto, come questa non sia un’istituzione primitiva e originaria, ma si fondi, piuttosto, sulla sacralizzazione moderna della volontà individuale. Tale sacralizzazione, come osservato, suppone anzitutto la trasformazione del concetto di proprietà resa possibile dalla nascita del patriarcato e dalla proprietà mobiliare. L’evoluzione dell’istituzione contrattuale è allora ricostruita meticolosamente da Durkheim, attraverso la descrizione di quelle forme arcaiche di contratto che hanno preceduto e reso progressivamente possibile la forma moderna, quella a cui, per rigore concettuale, tende a riservare il termine di “contratto propriamente detto”».

7 É. DURKHEIM, La divisione del lavoro sociale, cit., p. 211. Per A. FOUILLÉE, infatti

(La science sociale contemporaine, cit., p. 8): «A plus fort raison les volontés humaines, dans l’état de repos, tendent-elles à prendre la forme du contrat, comme dans l’état de lutte elles prennent les formes de la violence. En d’autres termes, l’histoire nous montre que les hommes ont agi tantôt sous l’empire d’une passion brutale dont la formule abs- traite est la loi du plus fort, tantôt sous l’influence d’un idéal de société humaine plus ou moins obscur dont la formule est le contrait social». Appare chiaramente come in questa concezione il contratto sia il luogo di un’esplicazione della socialità libera dalla forza e dal potere coattivo.

8Così: «[…] è ben vero che le relazioni contrattuali, le quali in origine erano rare o

completamente assenti, si moltiplicano, a misura che il lavoro sociale si divide. Ma ciò che Spencer sembra non aver tenuto presente è che le relazioni non contrattuali si sviluppano contemporaneamente», É. DURKHEIM, La divisione del lavoro sociale, cit., p. 214.

di un significativo declino, proprio nella misura in cui la solidarietà or- ganica, “per divisione del lavoro”, si accresce. L’argomentazione di Du- guit, congruenti con le premesse anti-individualistiche del suo sistema, ha il seguente tenore: il contratto non è il concorso di due volontà che gravitano su uno stesso oggetto, che vogliono scambiarsi reciprocamente dei servizi e che, in siffatto modo, si costituiscono unitariamente. Piutto- sto, la volontà di ognuno dei contraenti si trova ad essere determinata dall’atto di volontà dell’altro dei contraenti. In questo senso, il “regime contrattuale” contemporaneo sarebbe esemplificabile attraverso il ricor- so a due situazioni ‘tipiche’: le relazioni contrattuali si realizzerebbero o all’interno di gruppi omogenei, tipicamente, società, in cui essendo scar- sa la differenziazione sociale, sono elevate le possibilità di pattuire le condizioni di formalizzazione del contratto stesso. Al contrario, ed è questa la seconda ipotesi, laddove ci si dovesse trovare in un regime di forte differenziazione sociale, parlare di volontà che si fondono, per co- stituire un’unica volontà è impossibile, perché i soggetti, pur volendo la stessa cosa, non si identificano reciprocamente. Duguit scorge nella creazione della volontà contrattuale i medesimi presupposti che sono sottostanti l’ipotesi della costituzione della “volontà generale”, qualitati- vamente sovraordinata a quella dei soggetti empirici che la generano. Da qui, la considerazione che, nella maggior parte dei casi, si parla formal- mente di contratti, ma, nella realtà, si tratterebbe di scambi di servizi, configurabili come semplici atti unilaterali di volontà. Notiamo, per inci- so, che i due esempi (che corrispondono, rispettivamente, alle situazioni normative del regime societario e dello scambio di servizi) corrispondo- no, rispettivamente, alle forme della solidarietà meccanica e organica. Nel caso di rapporti sociali legati alla solidarietà per divisione del lavoro non si può parlare di contratti veri e propri: l’atto, per il cui tramite il lavoratore accetta un determinato salario in cambio di una certa presta- zione non è un vero e proprio contratto, perché quell’atto è tipizzato per soggetti, per cui non si può parlare di due volontà che di incontrano e si fondono in maniera originale in una volontà una.

Duguit reinterpreta e forza, non senza una certa brillantezza argo- mentativa, gli argomenti con cui Durkheim aveva smontato il punto di vista di Spencer: «Si le caractère contractuel a disparu dans les rapports de l’employer et de l’employé, ce n’est point parce que la loi positive est intervenue, mais la loi positive intervient d’autant mieux qu’il n’y a plus,

qu’il ne peut plus y avoir de rapport contractuel»9. Dunque, mentre

9 L. D

Durkheim interpreta la regolazione e la definizione statuale dei limiti delle clausole contrattuali come una conseguenza del fatto che “non tut- to nel contratto è contrattuale”, per Duguit, invece, la regolazione codi- cistica delle clausole contrattuali è solo un ‘nome’ di un altro fenomeno, concreto, empiricamente tangibile, quello in virtù del quale la forma contrattuale tenderebbe a sparire, per essere soppiantata da manifesta- zioni unilaterali di volontà, di cui si dà una regolazione in sede di diritto oggettivo. Anche la nozione di “quasi-contratto”, cui aveva fatto riferi- mento Bourgeois per superare le contraddizioni e i limiti di quest’istituto, è considerata strutturalmente inadeguata a rendere ragio- ne di situazioni come quella, ad esempio, del ‘contratto’ di trasporto: il viaggiatore non è un contraente, perché acquistare un biglietto non può esser considerato né la realizzazione di una forma contrattuale, né di una forma “quasi-contrattuale”. Per il giuspubblicista: «L’échange de ser- vices tend de plus en plus à se réaliser par un, deux ou plusieurs actes unilatéraux de volontés, qui veulent la même chose, mais qui ne sont

point déterminées l’une par l’autre»10. In definitiva, ogni atto di volontà,

anche isolato, può produrre un effetto, e, al tempo stesso, più atti pos- sono produrre un effetto sociale. Si tratta di effetti non risultanti dal contratto stesso, quanto, piuttosto, da atti di volontà individuale: siamo di fronte ad uno dei momenti più alti della critica realista di Duguit, che fa valere la determinazione empirica di volontà che restano slegate e che non fanno ‘uno’, non si unificano come vogliono gli idealisti, ma che si incontrano in quanto atti la cui legittimità riposa non sulla struttura formale dei loro atti, quanto, piuttosto, sulla loro determinazione finali- stica. In questo senso, come si vedrà nel prossimo capitolo, anche le

Vereinbarungen dei giuristi tedeschi, oggetto in particolare attenzione in

Jellinek, sono oggetto di una severa critica.

I risultati dell’approccio duguista al problema del contratto rilevano anche rispetto ad altre problematiche: in primo luogo, è palese la sostan- ziale differenza tra la sua concezione del rapporto tra solidarietà e storia e quella di Durkheim. Per quanto Duguit passi, peraltro non a torto, per un giurista durkheimiano, per quanto, ancora, quest’affermazione non sia, almeno per molti versi, inesatta, va detto che il giuspubblicista non condivide uno dei momenti concettualmente più densi della teoria del sociologo: la tesi della cosiddetta “preminenza della solidarietà organi- ca”. Per intenderne la portata, basti pensare a quanto la teoria dell’anomia come tendenza allo s-legame sociale sia stata considerata un

effetto nocivo della solidarietà “per divisione del lavoro”, ove quest’ul- tima abbia effetti di tale parcellizzazione da minare il tessuto minimo della convivenza sociale. Come si è detto, Duguit considera invece quel- lo tra “solidarietà meccanica” e “solidarietà organica” un rapporto sin- cronico e non di successione diacronica: in altri termini, saremmo in presenza di due modalità compresenti all’interno di un processo che è di complessificazione dei contenuti sociali della coscienza, che resta sempre e comunque individuale. La solidarietà “per identificazione” si costitui- rebbe per Duguit in una ‘piega’ della solidarietà ‘organica’, o “per divi- sione del lavoro”: è proprio la coscienza chiara della solidarietà “per dif- ferenziazione” che provoca il sorgere di forme di solidarietà ‘meccanica’, e, quindi, forme di associazione, che si caratterizzano per il fatto che in essa le coscienze individuali non si annullano in un’unità indistinta, co- me vuole Durkheim, che manifesta un interesse sempre più spiccato per la centralità di una nozione, come quella di “coscienza collettiva”, con- siderata un’entità non solo realmente esistente, ma anche qualitativa- mente superiore alla somma delle parti che la costituiscono. Lo sviluppo delle società e l’insieme dei processi di differenziazione sociale non solo