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Il Positivismo alla prova della “legge dei tre stadi”: Comte e Duguit

Su un piano più generale, luogo comune, relativo all’opera di Augu- sto Comte, al di là delle interpretazioni che intendono equiparare il posi-

vol. II, Torino 1949; M. UTA, La loi des trois états dans la philosophie d’Auguste Comte,

Bourg 1928.

38 Per un’introduzione alle problematiche, relative alla costituzione della sociologia

come scienza, ci si può utilmente riferire a A. BIXIO, Sociologia, in Enciclopedia Filosofica, vol. XI, Milano 2006, pp. 768-798.

tivismo scientifico ad un oggettivismo ‘ingenuo’, è quello relativo ad una presunta inclinazione del filosofo a pensare l’estinzione non dello Stato o dei rapporti gerarchici quali residuo di una mentalità metafisica, quanto dello stesso diritto, retaggio di un’epoca, quella dominata da presupposti teologici, considerata in via d’estinzione. Se la cosa si ponesse realmente in questi termini, il costante richiamo di Duguit a Comte sarebbe poco più che un’impostura, a meno di non considerare entrambi corifei di una stessa tensione a valorizzare senza mediazione il fatto sociale. Sarebbe una conferma di un luogo comune generalizzato, secondo il quale la filo- sofia del positivismo mirerebbe all’estinzione della sfera normativa nella sua interezza, e non solo della legge, quale sua modalità di realizzazione storica39.

Ogni equazione tra positivismo ed estinzione della sfera normativa è arbitraria, almeno quanto quella tra positivismo e oggettivismo ‘inge- nuo’: ai fini di una più corretta posizione del problema, è necessario, in- nanzitutto, fare riferimento alle posizioni comtiane, sulla cui scorta la nozione di legge nel senso giuridico del termine, quale imperativo volon- taristicamente prodotto, ha un valore metafisico, al pari della postula- zione di un rapporto di causalità tra gli eventi. Da quest’affermazione, però, è del tutto inadeguato derivare che ciò implichi la scomparsa del 39 La questione del rapporto tra Duguit e il positivismo di marca sociologica è ogget-

to di discussioni: punti di vista opposti si fronteggiano. G. RICHARD, centrando mag- giormente – a parere di chi scrive – la questione, parla di un’«adesione espressa alla leg- ge dei tre stadi» (Le positivisme juridique et la loi des trois états, in «Archives de philoso- phie du droit et de sociologie juridique», 1931, p. 313). Maurice HAURIOU, al contrario, sostiene la non applicabilità alla sfera normativa della “legge dei tre stadi” di Augusto COMTE (Les deux réalismes, in «Recueil de législation de Toulouse», 1912, p. 413); suc-

cessivamente, P. CINTURA (La pensée politique de Léon Duguit, in «Revue juridique et économique du Sud-Ovest», 1968, nn. 1-2, p. 80) torna a sostenere il punto di vista della non consonanza tra i due punti di vista. Significativa la posizione di Gaston Richard, so- ciologo legato alla scuola di Durkheim, sebbene spesso in contrasto con il sociologo lo- renese: nello studio sopracitato, dedicato al rapporto tra diritto e positivismo scientifico, Richard si rivela critico circa la lettura duguista di Comte, proprio nella misura in cui quest’ultimo avrebbe preconizzato ed auspicato la fine del diritto, quale semplice resi- duo metafisico: siamo in presenza di una pagina tra le più significative, in cui ad aleggia- re è il fantasma di un positivismo letto come dottrina incapace di produrre quadri dot- trinari di interpretazione e normazione del reale. A supporto di questa tesi, Richard so- stiene che Duguit, per sua stessa ammissione lettore tardivo del Système de politique posi- tive, avrebbe ignorato la Correspondance inédite, pubblicata con notevole ritardo per i tipi della Societè positiviste, nella quale un Comte esplicito sostenitore del colpo di Stato del 2 dicembre 1851 non manca di giustificare nei seguenti termini la sua entusiastica adesione in una lettera inviata a Benedetto Profumo, un italiano residente a Genova in quel periodo.

diritto o la negazione dell’autonomia, o, almeno, di un certo grado di au- tonomia, della scienza giuridica.

La riflessione positivistica, ed in particolare in quella di Augusto Comte, non abdica affatto di fronte all’oggetto, come un certo ritorno del kantismo sull’oggettivismo vuole lasciar intendere, ma, al contrario, la sua potenza e la sua fermezza consistono nel liberare lo spirito dalle cose, ponendo la conoscenza su un piano d’immanenza, senza che l’intellezione si costituisca alla stregua di una resa alle cose stesse. Se ciò non avviene, se non è resa alle cose stesse, è perché è solo nello stabilirsi di una relazione linguisticamente formalizzata e connotata, relazione che Comte chiama non casualmente legge, in un senso opposto a quello giuri- dico, che la realtà giunge a manifestarsi nella sua intellegibilità40. La “legge

dei tre stadi”, in apparenza constatata come un fatto empirico nei suoi primi scritti, sottoposta ad uno stringente ripensamento nel 1825, è defini- tivamente verificata alla luce di considerazioni antropologiche, ma di un’antropologia che qualificata come «psicologia genetica» nel Cours, vie- ne dimostrata in definitiva solo nel 1853, nel III volume del Système de po-

litique positive, su una base che non è più, come invece nella prima reda-

zione, di natura psicologico-antropomorfizzante. Il suo fondamento è, in definitiva, rinvenuto nell’indifferibilità della sua “necessità logica”: una legge in siffatto modo intesa – entità che attesta della supremazia dello spirito sul mondo delle cose – essendo una relazione, espressa in termini linguistici, non può, nonostante il suo carattere formale, essere intesa al- trimenti, se non all’interno del complesso sociale nel cui ambito viene enunciata. Nella misura in cui la legge, intesa qui nel senso giuridico del termine, occupa uno spazio che è partizione di un insieme più ampio, che è quello della legge intesa in senso generale, la normatività non può che essere intelligibile che sulla base delle sue condizioni sociali di esistenza e di verificabilità. In questo senso, Comte ricerca, per la legge giuridicamen- te intesa, un fondamento sociale, oggettivo, di validità, più solido di quello offerto da una sua possibile fondazione formalistica. Se, lo studioso fran-

40 In definitiva, qualsivoglia legge è prodotto della formulazione di una relazione si-

gnificante, trovando la sua ragion d’essere, la sua giustificazione epistemologica non tan- to sulla base di un’evidenza empirica, quanto, più coerentemente, su quella della sua in- telligibilità, della sua razionalità, della sua autoevidenza, sintetizzate dall’intelletto che le organizza sulla base della loro verificabilità. In questo senso, oggetto della ricerca socio- logica è la ricerca di leggi, intese in un senso che tiene assieme intellezione e normatività: la stessa “legge dei tre stadi” di Comte, la “legge della progressiva preminenza della soli- darietà organica” di Durkheim, la “legge della caduta tendenziale del saggio di profitto” di Marx, sono tutt’altro che leggi basate sulla constatazione di un nesso naturalistico, di causa-effetto.

cese dà le coordinate teoriche del proliferare dell’elemento legislativo a spese di quello normativo, latamente inteso, definendo questo fenomeno “feticismo della legge”, la sua intenzione è di fondare la scienza del diritto su basi solide, rigorose, tali da poterla configurare al livello epistemologico al livello delle discipline del suo tempo.

Da questo punto di vista, il discorso di Duguit è solidale con quello di Comte: per quanto quest’ultimo non faccia mai riferimento, se non implicito, a nozioni quali diritto soggettivo e diritto oggettivo, fortemen- te caratterizzanti, invece, il vocabolario del giuspubblicista bordolese. In senso generalissimo, la pratica del diritto sarà scientificamente fondata, allorquando troverà la sua ragion d’essere non più sull’elemento volitivo intrinseco alla legge, quanto, piuttosto, su quel dominio di rapporti che, sulla base della messa in opera di una sintesi soggettiva ‘prima’, sono formalizzati nella definizione di una “regola sociale di diritto”. Duguit in- tende per diritto oggettivo quel fondo obiettivo della sfera giuridica che solo può legittimarla come scienza, e che deve essere espresso in regola nella misura in cui il positivismo come filosofia sociale supera la dimen- sione del rapporto causa effetto, per diventare ricerca, formalizzata ed in- telligibile, di relazioni sociali obiettivate: se la ricerca di rapporti di causa- lità è intesa come metafisica, sulla scorta dell’insegnamento di David Hu- me, di leggi si parlerà nel senso della ricerca di una filosofia prima, sottrat- ta al dominio dell’empirico, ma non in disaccordo con esso.

Un atteggiamento di tal genere, è bene che ciò sia chiaro sin dall’inizio, non è esclusivo, a priori, né di un’investigazione relativa alle condizioni di possibilità, né dei principi ultimi, purché entrambe con- dotte a partire dalla presupposizione della datità del fenomeno rispetto allo spirito che ne sintetizza le coordinate: l’elemento concettuale non può dirsi estraneo alla ricerca del giuspubblicista: metafisica e spirito cri- tico non sono escluse da un sistema nel quale scienza e scientismo sono ben distinti. Una scienza giuridica fondata su basi sperimentali non rifiu- terà né una ricerca che risponda a domande sull’essenza della sfera del dover-essere, né sulle condizioni a priori di pensabilità della norma. Se il positivismo condivide con il criticismo la considerazione dell’impos- sibilità per il soggetto epistemico di una conoscenza sul noumeno, se ne allontana nella misura in cui quest’ultimo ritiene che il fenomeno sia una costruzione del soggetto. Per i positivisti, dunque, il soggettivismo, ma non il soggetto fa da velo al fenomeno: quest’ultimo, almeno idealmente, può esser colto dallo scienziato nella sua interezza, oggettivamente, sep- pur subordinato a quell’esigenza di formalizzazione di cui sopra. Così, la conoscenza scientifica presiede tanto alle sfere tanto dell’essere, quanto

del dover-essere dell’agire umano: Sein e Sollen sono egualmente sotto- poste ad una verifica posta in essere sulla base di un criterio di scientifi- cità che investe e gli aspetti fattuali e quelli doveristici dell’esperienza sociale, critica prodromica alla fondazione in senso oggettivistico una teoria della norma lato sensu intesa, teoria che si costituisca quale sot- toinsieme di una scienza dei costumi, la cui formalizzazione ha costituito parte rilevante in Francia dell’attività di una certa scienza sociale. Il me- todo sperimentale, in questo senso, sarà in grado di fornire indicazioni, mai eccedenti una riflessione epistemologicamente fondata, alla scienza tali che questa ispiri l’azione, ispirata ad un criterio di oggettività. In questo senso, per Duguit, le scienze sociali non devono differire nel me- todo dalle scienze naturali, e quest’osservazione vale nel quadro generale di un progetto di unificazione dello spirito umano: «On a souvent ensei- gné que les sciences sociales ont une méthode propre, qui n’est point celle des sciences physique ou naturelles. C’est à mon sens une singulière erreur; car toute méthode scientifique est déterminée par les lois de l’esprit humain, qui sont évidemment les mêmes quel que soit le do- maine dans lequel il cherche et travaille, lois que limitent son pouvoir et qui règlent son action»41.

Il realismo di Duguit è ‘critico’ nella misura in cui costituisce un orientamento possibile per il soggetto, più che riguardare la realtà socia- le in quanto tale, la quale esprime, già di per sé, in modo immanente, non solo la propria declinazione normativa (ogni fatto sociale è intrinse- camente prescrittivo, data la sua originaria relazionalità), ma anche quel- la règle de droit, che della normatività dei fatti sociali costituisce la gene- ralizzazione formale. Si rinviene nella sua ricerca una linea di pensiero

che già Durkheim recepisce nei suoi studi sul metodo42: in ambito giuri-

dico non si danno solo fatti in quanto tali, quanto, piuttosto, un orien- tamento ai fatti, orientamento non assoluto, non atemporale, quanto, piuttosto, coniugato e reso possibile storicisticamente da un movimento, il positivismo scientifico, che è situato a monte e che è nella storia, mo- vimento posto in serie col solidarismo giuridico, di cui si abiura la ten- denza scientista, tesa cioè alla costituzione di un sapere onnicomprensi- vo e totalizzante, situato al livello del puro e semplice fenomeno. In altri termini, l’orientamento ai fatti è storicisticamente determinano, al pari

41L. DUGUIT, Leçons de droit public général, faites à la Faculté de Droit de

l’Université égyptienne pendant les mois de Janvier, Fèvrier et Mars 1926 (1926), Paris 2000, p. 35.

42 Cfr., É. D

della visibilità che investe la solidarietà, non più “grammatica segreta” del sociale, quanto principio autocosciente.

Nella ricostruzione teorica della sfera normativa, Duguit si dichiara positivista: in virtù di tale professione di fede, la sua ricostruzione, non solo non fa ricorso a sostanze, facenti funzione di sostrato, ma, inoltre, non è edificato in contraddizione con l’esperienza sensibile. È a partire da quest’ultima che ne indurremo l’esistenza: la presenza di una norma sociale, in questo senso, non è mai slegata dalla reazione sociale che, in un determinato gruppo, si produce nei confronti di un determinato comportamento. In questo senso, ciò che permette di parlare di norma non è il diritto scritto, che può essere solo presupposto coerente allo sta- to sociale di un determinato gruppo in un certo momento: Duguit si ri- vela, sul punto, perfettamente allineato alle posizioni di Durkheim, che deduce in prima istanza l’esistenza della solidarietà da un simbolo visibi- le, il diritto, e, in seconda battuta, deduce quest’ultimo da un ulteriore simbolo visibile, la reazione sociale ad un comportamento deviante. Se Gény obietta circa l’impossibilità di prescindere, nella costruzione del

fenomeno normativo, da elementi (données) di natura razionale43, evi-

denziando l’inconciliabilità tra la nozione di una regola di diritto che s’impone in virtù del suo stesso valore, espressione di un’istanza di carat- tere razionale, e quella di una norma, che si rivela esser tale in virtù del fatto che la più parte delle coscienze di un certo gruppo la considera ta- le, per Duguit il diritto, inclusi gli elementi razionali e formali, non sono estrinseci al legame sociale. Nel suo sistema, la normatività, di cui la giu- ridicità è un semplice sottoinsieme, altro non è, se non il coté doveristico del fatto sociale, che si esteriorizza nella coscienza che i più ne hanno, coscienza che non potrà mai essere identificata con una totalità chiusa. Un determinato comportamento potrà esser considerato obbligatorio

43 La critica di G

ÉNY è spietata: «Duguit ne peut éviter comme tout le monde de se servir des concepts pour exprimer les résultats de ses analyses les plus empiristes», F. GÉNY, Les bases fondamentales du droit civil en face des théories de L. Duguit, in «Revue

trimestrielle de droit civil», cit., p. 801. Alla luce di quanto detto, se guardiamo al giuspubblicista di Bordeaux a partire alle critiche mossegli da Gurvitch è palese quanto siano relative alla concezione del diritto come epifenomeno dell’istituzione. Così (G. GURVITCH, L’Idée du Droit Social. Notion et système et du Droit Social. Histoire doctri- nale depuis le XVIIe jusqu’à la fin du XIXe siècle, cit., p. 596): «Singulier positivisme vraiment qui commence par affirmer que tous les détenteurs du pouvoir doivent se sou- mettre au droit, et singulier sensualisme que celui qui aboutit à voir dans la règle du droit la suprême expression de la réalité sociale!». In realtà, come si vedrà, Duguit non esclude affatto la concettualizzazione del reale, limitandosi ad una veemente polemica contro le tendenze astrattive interne al pragmatismo.

solo se parte significativa del gruppo sociale di appartenenza la conside- ra tale, manifestando tale posizione attraverso la reazione ad un deter- minato comportamento. Il passo successivo è quello sulla cui scorta la violazione ad un determinato comportamento è percepita chiaramente non come episodica, ma come necessaria, nel senso che essa testimonia di un assenso o di un dissenso che non è espressione soggettiva, quanto sintomo dell’aderenza degli atti giuridici posti in essere con le istanze vi- tali dell’ordinamento giuridico: la sanzionabilità di un determinato com- portamento, ritenuto illecito, si configura, in questo senso, quale istitu- zionalizzazione formale della reazione sociale. Siamo in presenza, dun- que, di un ulteriore capitolo della traduzione in senso solidaristico dei capisaldi teorici dell’individualismo giuridico: vedremo però tra breve a quali rilevanti conseguenze porterà l’estensione su scala più ampia dell’interpretazione solidaristica della sanzionabilità di un comporta- mento, ritenuto tanto non conforme al vincolo solidaristico, quanto ne- cessario e, purtuttavia, omesso.

Dimostrata l’inconsistenza dell’accusa che vuole il positivismo inge- nuamente votato ad un oggettivismo acritico, incapace di configurare la sfera normativa in un senso che non sia quello della resa allo stato di fat- to, è necessario però evidenziare le modalità attraverso le quali il feno- meno normativo – cui non è estranea la dimensione psicologica indivi- duale, la sola di cui si possa fare esperienza – è ricostruito nella sua complessità, ossia nel suo intreccio con la socialità. L’elemento psicolo- gico gioca un ruolo nell’ambito di una costruzione eminentemente empi- rica del fenomeno normativo: l’obiezione sulla cui scorta tra fatto e dirit- to si dà una frattura insanabile, e che il secondo non può essere dedotto dal primo, pena l’incorrere in quella che i filosofi formalisti definiscono “fallacia naturalistica”, dovendo trovare, piuttosto, le ragioni della pro- pria validità nella normatività, nel caso di Duguit appare totalmente spiazzata: il fenomeno normativo si costituisce a partire dal fatto sociale, ma nell’ambito di una dimensione che è fattuale. Il diritto, in ultima ana- lisi, è considerato alla stregua di un fatto sperimentalmente constatabile tramite i suoi effetti, non estraneo al dominio delle scienze naturali. Quest’affermazione va letta proprio nel senso cui l’adeguatezza dell’at- tività di formalizzazione soggettiva al proprio oggetto è misurabile attra- verso la risposta sociale che un qualsiasi atto giuridico produce. In que- sto senso, l’attività di formalizzazione della scienza del diritto non ha una sua autonomia se non relativa, essendo la validità stessa dell’or- dinamento vincolata ad un ordine più ampio, in cui giocano un ruolo importante elementi di natura materiale, quali l’efficacia e la legittimità.

Duguit fa agire uno schema lineare di azione-reazione, applicando alla lettera quanto gli viene consegnato dalla riflessione sociologica del ‘pri- mo’ Durkheim e, e lo fa ipotizzando una reazione puntuale ed immedia- ta del sociale ad ogni atto giuridico, definito tale, proprio nella misura in

cui ingenera una trasformazione nell’ordinamento oggettivo44.

Il sistema di Duguit riposa, però, su un importante implicito teorico, che sostiene, dall’esterno, il suo apparato concettuale, il misconoscimen- to del quale comporta, inevitabilmente, il fraintendimento del suo pen- siero, che riguarda proprio la costruzione formale del fenomeno norma- tivo a partire dal vincolo solidaristico, o, meglio, a partire dalla perce- zione psicologica del vincolo soggettivo. Procediamo con ordine, se- guendo il ragionamento del giuspubblicista, per poi estenderlo ad un ambito più ampio: dato un determinato gruppo, cui è consustanziale la percezione autocosciente dell’obbligatorietà di certi comportamenti, il diritto «[…] est simplement l’expression de la loi qui régît cette attitude consciente, et qui n’est point un impératif formulé par une volonté supé-

rieure»45. Per quanto da questa considerazione derivino una serie di

conseguenze, si ritiene opportuno selezionare una sola tra quelle che trovano in queste considerazioni il proprio punto di partenza, relativa alla differenziazione tipologica delle norme, funzionale al desiderio di rinvenire il dispositivo concettuale a partire dal quale si struttura la dia- lettica tra fatto sociale e sfera normativa. Per Duguit, la differenza tra norma sociale e norma giuridica riposa sul fatto che, nel caso di norma intesa in senso giuridico, la reazione resta formalizzata e comminata da un organo appositamente predisposto, quale espressione della coscienza della necessità con cui il rispetto di questa norma è percepito dalla mas- sa delle coscienze. La formalizzazione della sanzione ad un determinato