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ELEMENTI CHE DEFINISCONO IL REQUISITO

4.4 Il supporto dell’ambiente ai processi sociali e comunicat

Il supporto dell’ambiente ai processi sociali e comunicativi è un espediente fondamentale per alleviare gli effetti stressogeni e facilitare il processo di coping.

La concezione e la collocazione degli spazi è in grado di favorire i processi sociali e comunicativi, prevedendo situazioni di maggior interazione tra le persone, ma al contempo prestando la giu- sta attenzione alla realizzazione di spazi adeguati per la privacy e l’intimità.

Per quanto concerne i pazienti, l’obiettivo progettuale è di ospitare all’interno dell’ospedale il network di relazioni sociali per loro significative. Anche il supporto sociale in forma di condivisio- ne dell’esperienza della malattia con altri pazienti è una rilevante forma di risorsa psicosociale. Per i piccoli degenti, per esempio, il poter frequentare delle lezioni scolastiche è considerabile come una forma di supporto sociale. Il bambino, infatti, oltre a stringere rapporti di amicizia con altri pazienti, potrà, una volta dismesso, continuare a sentirsi parte della comunità dei suoi com- pagni di classe, in quanto il suo processo formativo non subisce una brusca interruzione.

Per i familiari, l’ambiente ospedaliero può fornire diverse forme di supporto sociale, ad esempio attraverso la presenza di aree relax dedicate interamente a loro, in cui hanno la possibilità di incontrare genitori che vivono o hanno vissuto la medesima esperienza, oppure tramite servizi di supporto psicologico previsti dall’istituzione ospedaliera.

Per quanto riguarda il personale medico, il supporto sociale può essere inteso in termini di rela- zioni interpersonali tra i diversi membri dello staff. Tali relazioni hanno luogo fondamentalmente in ambiti di socializzazione non connessi con lo svolgimento delle attività lavorative, come nelle aree dove si può mangiare o incontrarsi in maniera informale; un’ulteriore modalità di supporto sociale avviene inevitabilmente anche in termini di relazioni di natura puramente comunicativa e di contenuto lavorativo, che migliorano la collaborazione e la crescita professionale del perso- nale. In questo caso, è indispensabile prevedere un sistema di spazi consono al lavoro in équipe multidisciplinari9.

La scuola in ospedale

In Italia la scuola in ospedale ha radici lontane. Fino agli anni Ottanta era strutturata sostan- zialmente come “scuola speciale”, e coordinata quasi esclusivamente da insegnanti di scuola materna ed elementare o da iniziative di personale volontario. Nel decennio successivo venne incentivata una prospettiva di continuità con la scuola territoriale. La legge n.59 del 1990, con la 9 Del Nord R. (a cura di), op. cit.

quale è stata istituita l’autonomia scolastica, ha permesso di ricondurre l’attività didattica presso i presidi ospedalieri. L’istituzione, oltre a garantire ai bambini malati il diritto all’istruzione, contri- buisce al benessere psicoaffettivo e fisico del piccolo degente in quanto garantisce la prosecu- zione del percorso educativo-didattico e offre un sostegno psicologico, sociale e cognitivo in un momento di fragilità sia fisica che emotiva.

Con la legge n. 440 del 1997 è stato istituito nello stato di previsione del Ministero della Pubblica istruzione, il “Fondo per l’arricchimento e l’ampliamento dell’offerta formativa e per gli interventi perequativi” finalizzato al potenziamento dell’autonomia scolastica. In questo contesto il servi- zio didattico viene formalmente riconosciuto come parte integrante del processo terapeutico poiché mantenendo vivo il tessuto di rapporti dell’alunno con il mondo scolastico e il sistema di relazioni sociali che derivano da esso, supporta il mantenimento e il recupero psicofisico. La scuola assume pertanto un ruolo pedagogico ed educativo, e inoltre rappresenta una “zona franca” all’interno dell’istituzione ospedaliera, dove il piccolo degente può rifugiarsi lontano da ansie, terapie e preoccupazioni. Nello spazio didattico il bambino-malato torna infatti ad essere “bambino-e- basta”10.

Attività ludiche

Un ambiente ospedaliero che mira consapevolmente a introdurre il gioco al suo interno, deve prevedere un sistema di spazi dedicati ad esso, in grado di supportare le specifiche necessità ludiche e ricreative dei pazienti sulla base sia della loro età evolutiva che delle loro condizioni di mobilità. Pertanto, oltre agli spazi gioco presenti a livello dell’intera struttura ospedaliera, è necessario, per quei pazienti che non possono lasciare la propria stanza, prevedere spazi per il gioco all’interno della camera di degenza o del posto letto. Anche la previsione di spazi differen- ziati per accogliere le diverse esigenze ludico-ricreative sulla base delle principali età evolutive deve ritenersi una necessità imprescindibile.

L’attività del gioco richiede un attenzione particolare, data l’influenza che esercita sul processo cognitivo e sociale del bambino. Il gioco è un elemento basilare nel processo di sviluppo del bambino. Nel passaggio che lo porta a divenire adulto è la sua attività principale: “i giochi sono la parte più seria della vita del bambino, sono il lavoro più grande che egli compie”11.

Mentre per gli adulti il gioco è legato al tempo libero, per i bambini esso assume una valenza

10 M. Capurso, Gioco e studio in ospedale. Creare e gestire un servizio ludico-educativo in un reparto pediatrico, Erick- son, Trento, 2001.

diversa costituendo un’ azione seria, un vero e proprio lavoro finalizzato alla conoscenza e alla scoperta del mondo.

Molti studiosi sottolineano nel gioco una necessità biologica e fisiologica e, per un bambino, un evento cognitivo di apprendimento che favorisce lo sviluppo e agevola l’adattamento a ciò che lo circonda. ”Attraverso il gioco il bambino incomincia a comprendere come funzionano le cose, che cosa si può o non si può fare con determinati oggetti; inizia ad avere fiducia nelle proprie capacità ed è un processo attraverso il quale diventa consapevole del proprio mondo interiore così come di quello esteriore”12.In questo senso il gioco diviene un potente mezzo di comuni-

cazione. “Creare un ambiente capace di favorire il ‘buon gioco’ non è dunque compito facile. È una ricerca permanente, sensibile che cerca qualità nel dialogo interdisciplinare tra pedago- gia, psicologia, design e architettura. Un dialogo sulla qualità del vivere perché il gioco è vita. Oggetti dunque che si offrono nella loro identità flessibile, disponibili ad accogliere le azioni, i pensieri, i desideri, gli apprendimenti dei bambini e degli adulti che sanno ‘stare al gioco’. Ma nel contempo oggetti, cioè arredi, giocattoli capaci di suggerire, grazie ai loro colori, forme, ma- teriali, possibilità, suggestioni, emozioni che arricchiscano i progetti di gioco, di apprendimento e di vita dei bambini e degli adulti”13.

Risulta evidente quanto il gioco abbia un ruolo di assoluta importanza, ancor di più per quei bambini che si ritrovano a dover fare i conti con la malattia. Il comitato inglese per l’educazio- ne pre-scolastica afferma il metodo più efficace e consono per aiutare il bambino ricoverato in ospedale, consiste nel fornirgli il giusto tipo di gioco, affinché possa pian piano esternare le sue paure, accettarle e gradualmente adattarle alle sue necessità personali.

La natura variegata del gioco e il suo significato, lo rendono uno strumento terapeutico molto importante: può assumere il ruolo di co-terapia, poiché diviene uno strumento per riscattare la parte sana del bambino e un filo conduttore tra gli eventi reali e le dinamiche interne al bambino, che vengono esternate proprio attraverso le attività ludiche in cui è coinvolto.

All’interno delle strutture ospedaliere l’intervento ludico deve essere guidato, specie se si esprime attraverso forme libere di gioco, supervisionato dal personale specializzato e quando permesso, con il coinvolgimento dei genitori. L’attività ludica idonea viene scelta secondo la specificità del bambino, la sua età, la sua condizione clinica, ed organizzata in maniera tale da poter cogliere, attraverso l’osservazione eventuali messaggi e mettere a punto le strategie d’intervento. Quindi, in un ambiente che già di per sé induce passività e senso di non libertà, devono necessariamente essere ricreate le condizioni nelle quali ogni bambino possa continuare a giocare.

12 Del Nord R (a cura di), op. cit. 13 Ibidem.