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6. Gli Stati Generali dell’esecuzione penale

6.2. Il tavolo 12: misure e sanzioni di comunità

Il gruppo di lavoro del tavolo 12 era così composto:

- Gherardo Colombo: Magistrato di cassazione (coordinatore)

- Stefano Anastasia: Ricercatore di filosofia e sociologia del diritto presso l'u-

niversità degli studi di Perugia

- Roberto Bezzi: Responsabile area educativa dell’istituto penitenziario di Mi-

lano-Bollate

- Lina Caraceni: Ricercatore di diritto processuale penale presso l’università

44 - Milena Cassano: Dirigente Provveditorato regionale Amministrazione peni-

tenziaria Lombardia

- Guido Chiaretti: Presidente dell'associazione "Sesta Opera San Fedele"

- Roberto Cornelli: Professore associato di criminologia dell’università degli

studi di Milano Bicocca

- Francesco Cozzi: Procuratore aggiunto della Procura della Repubblica di

Genova

- Elisabetta Laganà: Garante Diritti dei Detenuti del Comune di Bologna

- Giorgio Pieri: Responsabile Servizio carcere della "Comunità Papa Giovanni

XXIII"

- Ninfa Renzini: Avvocato

- Rita Romano: Direttore Istituto penitenziario di Eboli

Durante i lavori i membri del tavolo 12 hanno avuto un incontro con il direttore della Casa di Reclusione di Milano-Bollate e hanno ascoltato i pareri espressi dai de- tenuti del Reparto di trattamento avanzato “La Nave” presso la Casa circondariale San Vittore di Milano e dai detenuti della Casa di Reclusione di Milano-Opera sul tema del tavolo.

Inoltre il coordinatore del gruppo ha partecipato, insieme ai membri degli altri ta- voli, al viaggio in Norvegia per conoscerne il sistema carcerario.

Il punto di partenza del lavoro è stato quello di “correggere l’impostazione – ra- ramente teorizzata, ma non di rado concretizzata – secondo la quale le misure alter- native vanno viste, e, quindi, disciplinate, come una risorsa per alleviare le situazio- ni di sovraffollamento carcerario. In realtà, con il conforto di sempre più frequenti dati statistici, bisogna attribuire alla categoria in esame il merito di porre in essere un’azione mirata «allo scopo di ridurre la perpetrazione di ulteriori reati». Ciò at- traverso l’instaurazione di rapporti positivi con gli autori di reato, «al fine di assi- curarne la presa in carico (anche con un controllo, se necessario), di guidarli e assi- sterli per favorire la riuscita del loro reinserimento sociale» ”.65

Nella relazione finale del tavolo 12 è specificato che il fatto di puntare sulla “qua- lità” delle misure alternative, non equivale a sacrificarne il profilo quantitativo. Tut-

65

45 tavia è necessario riesaminare le non sempre giustificate rigidità che il legislatore ha introdotto, conformandosi a esigenze di allarme sociale, impedendo l’accesso per de- terminate categorie di condannati alle misure alternative, anche a prescindere dalla loro effettiva pericolosità.66

Il carcere è il luogo in cui si riafferma la cultura deviante, una sorta di “scuola di delinquenza” che produce un alto tasso di recidiva (intorno al 70%). La detenzione, inoltre, non funziona da deterrente, soprattutto per chi delinque per motivi passionali o a causa di una dipendenza, né per chi compie un crimine per necessità o per cultura (laica o religiosa).

Per di più, considerando che il carcere è sofferenza, il male provocato dal crimine non viene eliminato ma moltiplicato, perché la pena detentiva suscita dolore e ranco- re nel detenuto e nelle persone ad esso legate da rapporti affettivi e non ripara real- mente il danno inflitto alla vittima del reato, soddisfacendo solo il suo desiderio di vendetta.

La sofferenza imposta attraverso il carcere può al massimo educare il soggetto all’obbedienza, non alla responsabilizzazione e alla cittadinanza (compito affidato alla pena).67

Alla luce delle considerazioni fin ora apportate dagli esperti del tavolo 12, il car- cere dovrebbe costituire l’eccezione, riservato solo a quelle persone la cui pericolo- sità non possa essere annullata dalle misure di comunità.

Le misure penali di comunità, invece, dovrebbero essere la regola, innanzitutto perché comporterebbero una riduzione dei costi per lo Stato e in secondo luogo per- ché per ottenere dei risultati, è necessario utilizzare degli strumenti utili allo scopo: in caso di reati dovuti alla necessità, vanno eliminate le cause che portano al bisogno, implementando gli interventi sociali e iniziando dei percorsi di risarcimento del dan- no di natura civilistica.

Se il crimine è provocato dalla dipendenza, questa dovrebbe essere curata in un ambiente adatto, che limiti la custodia a chi è veramente pericoloso e in ogni caso evitando che le necessità custodiali confliggano con la buona riuscita della cura.

Il gruppo di lavoro del tavolo 12 si è posto quindi cinque obiettivi:

66

Cfr. ibidem

67

46

1. Incrementare, nell’opinione pubblica, la consapevolezza che il sistema delle

pene non detentive tutela la sicurezza delle comunità, facendo diminuire il ri- schio di recidiva.

2. Valutare la possibilità di un sistema di sanzioni di comunità correlate alle esi-

genze del territorio, che sia espressione di un’effettiva e tempestiva presa in carico congiunta dei servizi ed enti territoriali con il coinvolgimento di orga- nismi privati, imprese e volontariato.

3. Ipotizzare i contenuti normativi idonei ad attuare il criterio direttivo della

Legge delega per la riforma dell'Ordinamento Penitenziario che prevede la “revisione dei presupposti di accesso alle misure alternative, sia con riferi- mento ai presupposti soggettivi, sia con riferimento ai limiti di pena, al fine di facilitare il ricorso alle stesse” (art. 26, lett. b).

4. Prevedere la realizzazione d’infrastrutture e assetti organizzativi adeguata-

mente dimensionati e integrati di professionalità che rafforzino la concreta azione di controllo e sostegno nella gestione delle sanzioni in comunità.

5. Valutare l'opportunità di percorsi rieducativi, specifici e mirati, da proporre

alla persona sottoposta a sanzione di comunità (educazione alla legalità, pro- pedeutica al lavoro, valore delle diversità).

Fissati gli obiettivi, sono state suggerite numerose proposte. Di seguito se ne ana- lizzano le più importanti (tutte le proposte e le considerazioni del tavolo 12 possono essere approfondite nella relazione finale del tavolo e nel documento finale degli Sta- ti Generali contenute nel sito internet del Ministero della Giustizia).

Innanzitutto, dal punto di vista della trasformazione culturale proposta dagli Stati Generali, sarebbe importante sensibilizzare l’opinione pubblica (obiettivo 1), comu- nicando che “Il carcere non dà sicurezza, ma rassicura, agisce nel campo delle sen- sazioni e non della realtà, neutralizza solo temporaneamente”. 68

Per attuare questa sensibilizzazione, il tavolo propone al governo di iniziare un percorso d’informazione attraverso vari strumenti, fra cui l’utilizzo degli spazi dedi- cati alla diffusione di messaggi di utilità sociale e pubblico interesse (sia attraverso i media che organizzando manifestazioni, rassegne specialistiche e congressi, come

68

47 specificato dagli artt. 1, 2 e 3 della Legge n° 150/2000) e la realizzazione di convegni sul tema delle sanzioni di comunità, affiancati dalla promozione di ricerche sul tema.

Vanno inoltre sensibilizzati target specifici della popolazione, come i giovani, at- traverso la formazione degli insegnanti e la previsione di momenti di riflessione con gli studenti.

Le proposte di sensibilizzazione del tavolo 12 sono importanti, a parere di chi scrive, poiché richiedono al governo di essere il primo promotore del cambiamento culturale necessario alla riforma, invitando indirettamente il potere politico a non dif- fondere nell’opinione pubblica sentimenti di allarmismo e paura.

Per quanto riguarda il secondo obiettivo (la creazione di un sistema di sanzioni di comunità correlate alle esigenze del territorio), sarebbe innanzitutto necessario con- formarsi alla Raccomandazione R (2010) 1 che al punto 10 sottolinea che “I servizi di Probation collaborano con altri organismi pubblici e privati e con la comunità lo- cale per promuovere l’inserimento sociale degli autori di reato. È necessario un la- voro multidisciplinare, coordinato e complementare fra più organizzazioni, per ri- spondere alle necessità, spesso complesse, degli autori di reato e per rafforzare la sicurezza collettiva”.

Tuttavia, nonostante l’introduzione di leggi che prevedono un ruolo più attivo del territorio (come la Legge n° 328/2000 sulla realizzazione di un sistema integrato d’interventi e servizi sociali), queste hanno prodotto effetti in misura diversa nelle varie regioni.

Per fare in modo che gli enti locali giochino un ruolo più attivo nel campo delle misure di comunità, bisognerebbe innanzitutto iniziare un’opera di sensibilizzazione e formazione sul tema.

In secondo luogo sarebbe necessario un ricollocamento delle risorse economiche, tramite i Fondi Sociali Europei e la Cassa delle Ammende, per far fronte agli oneri delle misure di comunità, in modo tale che a livello locale questi possano essere uti- lizzati per le attività rivolte ai soggetti ammessi a questo tipo di misure.

Il gruppo di lavoro raccomanda, inoltre, “una riforma dell’art. 17 O.P. e dell’art. 120 del regolamento n° 230/2000 (che riguardano la partecipazione della comunità all’attività di rieducazione) prevedendo il coinvolgimento del volontariato

48 nell’esecuzione penale esterna, in moto tale da superare l’ostacolo che oggi blocca l’accesso della società civile alla diffusa collaborazione con l’UEPE”.69

La cooperazione con il volontariato (dei singoli o delle associazioni) è importante, tuttavia, nonostante le sollecitazioni per potenziarne la presenza nell’esecuzione pe- nale esterna, non si è creato un rapporto consolidato come accade invece per la colla- borazione con gli istituti penitenziari.

Il volontariato è necessario proprio perché radicato nel territorio e capace di pro- durre servizi alla comunità, dovrebbe quindi essere una risorsa strategica per l’attuazione dei fini di trattamento nell’esecuzione penale esterna.

Il tavolo 12 raccomanda di prevedere, inoltre, per esigenze trattamentali, la possi- bilità di poter eseguire le misure di comunità in un luogo pubblico o privato di cura, assistenza e accoglienza in assenza d’idoneo domicilio. L’accesso alle sanzioni di comunità, infatti, andrebbe garantito, senza discriminazioni, anche a chi non ha un domicilio proprio.

Il terzo obiettivo fissato dal tavolo di lavoro è di riesaminare i requisiti di accesso per le misure di comunità e i limiti di pena che ne permettano il ricorso, in modo tale da facilitarne l’impiego.

Si prospetta un progetto normativo volto a tracciare un sistema di sanzioni che cambi completamente l’attuale prospettiva carcero-centrica, a partire dal lessico uti- lizzato: l’espressione “misure alternative” dovrebbe lasciare il posto a quella di “mi- sure di comunità”, proprio perché queste non devono essere viste come un’eccezione ma come una prassi comune.

Viene proposto perciò di riformare il Capo VI dell’Ordinamento Penitenziario, ri- nominandolo in “Misure penali di comunità” e introducendo un Capo VI-bis dedica- to ai profili processuali comuni, in modo tale da favorire un accesso più rapido alle forme di esecuzione penale extra muraria.

La revisione dovrebbe interessare anche le singole misure alternative, in particola- re la detenzione domiciliare, disponendo nuovi presupposti di accesso e contenuti.

Fra le proposte c’è innanzitutto quella di portare a quattro anni il limite di pena per usufruire di tutte le misure, dovrebbe poi essere presa in considerazione la con-

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49 cessione delle misure di comunità fin dall’emissione della sentenza di condanna, in- centivandone l’accesso dalla libertà.

Importante è la richiesta di abrogazione degli artt. 4-bis, 58-ter e 58-quater dell’Ordinamento Penitenziario (che pongono dei limiti alla concessione dei benefici e delle misure di comunità) perché, secondo gli esperti che hanno partecipato al tavo- lo, “Ogni presunzione assoluta di pericolosità contrasta con il finalismo rieducativo della pena e con il principio dell’individualizzazione del trattamento; la possibilità di accedere ad una misura penale di comunità deve essere sempre valutata nel caso concreto. Inoltre, ogni itinerario di recupero va prefigurato in modo tale da amplia- re progressivamente gli spazi di libertà del condannato, qualunque sia il punto di partenza, con accesso, almeno negli ultimi mesi di detenzione, all’affidamento in prova al servizio sociale”.70

Si chiede anche di potenziare l’utilizzo dell’affidamento in prova al servizio so- ciale (disciplinato dall’art. 47 O.P.), modificando le procedure e i tempi necessari per accedervi, favorendo il contenuto riparativo della misura, realizzabile sotto forma di attività di volontariato, e prevedendo un maggiore coinvolgimento dei servizi territo- riali, del terzo settore e delle università.

Un’altra tipologia di misura che andrebbe riformata, secondo i membri del tavolo, è quella della semilibertà, attuando quanto già disposto dal secondo comma dell’art. 48 O.P. e pianificando la misura secondo tre modelli:

• Semilibertà in caso di mancanza d’idoneo domicilio: misura utilizzata in caso d’impossibilità di applicare l’affidamento in prova o la detenzione domiciliare per mancanza di un idoneo domicilio privato o pubblico.

• Semilibertà per lunghe pene: misura concedibile dopo aver espiato la prima metà della condanna, in base alla valutazione di progressi compiuti dal sog- getto nel percorso trattamentale, se sussistono le condizioni per un graduale reinserimento nella società.

• Semilibertà anticipatoria della liberazione condizionale per condanna all’ergastolo: misura che dovrebbe essere concessa nel periodo antecedente alla liberazione condizionale, se il soggetto ha fornito prova di cambiamenti circa la capacità di costruire e gestire relazioni personali e sociali improntate

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50 al rispetto delle regole e se è disponibile a svolgere prestazioni lavorative non retribuite a favore della comunità.

Il tavolo auspica inoltre l’inserimento del lavoro di pubblica utilità come sanzione penale di comunità per condanne fino a due anni di detenzione, disciplinando che la misura consista in attività lavorative non retribuite in favore della collettività da svolgere presso lo Stato, o a livello locale presso enti o organizzazioni di assistenza sociale e di volontariato. Questa misura inoltre dovrebbe prevedere che la durata dell’attività non superi le otto ore giornaliere e in ogni caso non pregiudichi le esi- genze di lavoro, di studio o personali del condannato.

Sono proposti inoltre interventi normativi con l’obiettivo di anticipare il ricorso a forme di esecuzione extra moenia per pene detentive medio-brevi già nella fase di cognizione evitando, se possibile, l’ingresso in carcere.

Il quarto obiettivo si occupa di predisporre le infrastrutture e gli assetti organizza- tivi adeguati per la gestione delle misure di comunità. A livello europeo ciò era stato già espressamente dichiarato nella Raccomandazione R (99) 22: fermo restando che la detenzione deve essere prevista solo nel caso in cui ogni altra sanzione appaia ina- deguata e che l’ampliamento del parco penitenziario dovrebbe essere una misura ec- cezionale, bisogna applicare un insieme appropriato di sanzioni che siano credibili rispetto alla pena detentiva, assicurando una loro efficiente attuazione.71

Il Ministero della Giustizia ha già iniziato un processo di riorganizzazione infra- strutturale con il D.M. 84/2015 che ha portato gli UEPE a confluire nel Dipartimento di Giustizia Minorile e di Comunità.

Le proposte del tavolo 12 prevedono innanzitutto, proprio in previsione di un au- mento delle competenze e del carico di lavoro che a essi spettano, un riordinamento e un rafforzamento degli UEPE, aumentando il personale di servizio sociale e inte- grandolo con altre figure professionali come gli educatori. È raccomandata, poi, l’approvazione di modifiche che consentano l’utilizzo e il contributo del volontariato per l’esecuzione delle misure esterne al carcere.

Bisognerebbe, inoltre, consolidare la collaborazione fra le strutture del Ministero della giustizia e gli enti locali territoriali attraverso la conferenza Stato Regioni.

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51 Tutto ciò ha ovviamente bisogno di un sostegno finanziario che dovrebbe avveni- re attraverso l’utilizzo dei fondi derivanti della Cassa delle Ammende, oggi prevalen- temente utilizzati per le ristrutturazioni degli istituti penitenziari, ed estendendo il Fondo Sociale Europeo.

Il quinto e ultimo obiettivo del tavolo prospetta un rafforzamento del trattamento e del reinserimento, attraverso la creazione di percorsi individualizzati.

“Il trattamento nelle sanzioni di comunità deve tenere conto della finalità risocia- lizzante della pena, deve quindi essere individualizzato e rispondere alle esigenze di sicurezza (art. 27 Cost.), deve essere improntato ad assoluta imparzialità, senza di- scriminazioni in ordine a nazionalità, razza e condizioni economiche e sociali, a opinioni politiche e credenze religiose (art. 3 Cost.), deve favorire la rimozione delle cause che hanno spinto la persona a delinquere, deve favorire – in una prospettiva di responsabilizzazione - la riflessione sulle condotte antigiuridiche e sulle conseguenze prodotte dal reato e alle persone offese dal reato. I programmi devono essere diver- sificati e flessibili in quanto funzionali al percorso personalizzato ed al tipo di misu- ra/sanzione.”72

L’asse portante delle misure di comunità è quindi il programma di trattamento, un documento che viene redatto durante il periodo di osservazione (dalla libertà o du- rante la detenzione), avvalendosi anche del contributo di esperti, operatori e volonta- ri.

“Il Programma di trattamento è finalizzato a:

Prevenire e ridurre la recidiva e contribuire alla sicurezza collettiva;

Promuovere una riflessione critica del reo sulle condotte antigiuridiche, re- sponsabilizzandolo sulle conseguenze verso la comunità e la vittima;

Favorire percorsi di giustizia riparativa;

Favorire il reinserimento sociale e l’abbandono di comportamenti illeciti; Delineare la compatibilità fra ambiti prescrittivi, obblighi e impegni persona-

li”. 73

Gli esperti raccomandano la predisposizione di programmi educativi individualiz- zati che coinvolgano sia la rete formale, formata dai servizi socio-sanitari, dalle co- munità terapeutiche o di alloggio, dai servizi sociali ecc., sia la rete semi formale dei

72

Ivi p. 32.

73

52 servizi del privato sociale e del volontariato. Queste reti hanno il compito di immet- tere i soggetti ammessi a sanzioni di comunità in percorsi responsabilizzanti e idonei a ricostruire il patto di cittadinanza rotto con la commissione del reato, favorendo an- che percorsi di giustizia riparativa.

La caratteristica importante dei programmi di trattamento è la flessibilità, bisogna, infatti, tenere conto delle risorse personali e familiari, del tipo di reato, dell’entità della pena comminata, delle specifiche problematiche della tipologia della misura e del fatto che tutti questi elementi mutano durante lo svolgimento della misura alter- nativa.

Nell’ultima parte della relazione del tavolo 12 gli esperti si sono occupati della sorveglianza elettronica. Il cosiddetto “braccialetto elettronico” rappresenta una limi- tazione della libertà nell’intero arco della giornata o solo per alcune ore, richiedendo che il soggetto permanga in un determinato luogo o che non si avvicini a un determi- nato spazio, individuo o gruppo di persone.

Con questa forma di limitazione della libertà l’assolvimento delle prescrizioni è garantito non da forme di contenimento fisico o dalla presenza di qualcuno che “fac- cia la guardia”, ma da un sistema di sorveglianza a radiofrequenza o satellitare, che monitora a distanza il comportamento del soggetto.

A livello europeo questo tipo di sorveglianza è usato per affrontare il sovraffolla- mento negli istituti di pena, per ridurre il ricorso alla carcerazione preventiva, per ga- rantire una maggiore sicurezza alla collettività, per ridurre gli effetti negativi della carcerazione e per ridurre i costi del sistema penitenziario.

I membri del tavolo 12 si sono domandati se la sorveglianza elettronica sia un pre- sidio d’intrinseca efficacia o se sia utile solo se accompagnata ad altre azioni orienta- te al reinserimento.

“Va subito detto che la reale efficacia della sorveglianza elettronica con riferi- mento a queste finalità è ancora incerta: laddove è stata introdotta, non è stata stu- diata in modo sistematico per verificarne nel concreto l’efficacia rispetto agli obiet- tivi prefissati e l’impatto dal punto di vista etico (come d’altro canto richiede il pun- to 40 della Raccomandazione CM/REC(2014) 4 del Comitato dei Ministri agli Stati

53 Membri sulla Sorveglianza Elettronica) e la sperimentazione italiana ne è la confer- ma.”74

I limiti per l’utilizzo della sorveglianza elettronica vanno ricercati nella normativa europea: la Raccomandazione R (2010) 1 prevede che questo tipo di controllo vada integrato con interventi concepiti per condurre alla reintegrazione, limitando l’invasività al minimo necessario in base alla gravità dell’infrazione e ai rischi per la collettività.

La raccomandazione specifica, infatti, che le tecnologie devono essere utilizzate in maniera ben regolamentata per ridurre i potenziali effetti negativi sulla vita privata e familiare del soggetto cui è applicata la misura.

Il tavolo 12 fornisce alcune proposte per fissare limiti e contenuti del ricorso alla sorveglianza elettronica: innanzitutto richiede che all’introduzione del controllo elet- tronico sia accompagnato un monitoraggio e una valutazione della misura per verifi- care sia l’efficacia rispetto agli obiettivi, sia il rispetto dei diritti umani.

Inoltre gli esperti ritengono che la sperimentazione della sorveglianza elettronica vada vincolata ad un programma di progressiva riduzione dell’uso della detenzione carceraria.

Questa misura deve inoltre essere considerata, al pari di una detenzione, privativa della libertà e dunque come una misura di tipo custodiale o di una condanna definiti- va, non può essere intesa come una sanzione di tipo amministrativo.