2. Analisi dei dati
2.6. Stati Generali e percezione del sistema penale
Nel progettare gli Stati Generali, il Ministro Orlando aveva concepito questo evento come un’occasione di cambiamento culturale all’interno del Paese. Resta il dubbio però che il cambiamento culturale prospettato dal Ministro non si sia mai compiuto. Innanzitutto bisogna chiedersi quante persone, che non operano nel setto- re, conoscano veramente questo evento, e anche fra gli addetti ai lavori questo non è conosciuto da tutti.
Su nove interviste effettuate, infatti, in quattro casi gli intervistati non erano a co- noscenza del lavoro degli esperti dei 18 tavoli. Dopo le prime interviste in cui ci si è soffermati molto a parlare degli Stati Generali, si è preferito parlarne in maniera più generale, chiedendo un parere agli intervistati sull’evento, senza scendere troppo nei particolari.
È emerso quindi in alcuni casi lo scetticismo da parte dei volontari circa questo evento, perché, nonostante sia importante che si parli di questi temi, è necessario poi che dalle parole si passi ai fatti. Ed è su questo che le associazioni nutrono i dubbi maggiori, sul fatto che dopo essersi interrogati e aver fatto proposte per sei mesi, queste poi restino nel dimenticatoio e non si proceda alla realizzazione di quanto pro- spettato.
Le associazioni, inoltre, lamentano il fatto che chi lavora o svolge attività di vo- lontariato nel settore penitenziario conosceva già tutte le problematiche sottoposte ai membri dei tavoli, quindi sarebbe bastato interagire di più con loro per sapere su qua- li intervenire.
Inoltre se questa doveva essere l’occasione per cambiare il pensiero dell’opinione pubblica, l’evento non ha avuto l’eco necessaria per farlo.
Bisogna considerare che il primo obiettivo del tavolo 12 era proprio quello di pro- spettare un aumento della sensibilizzazione da parte del governo, che attraverso i suoi canali ufficiali dovrebbe impegnarsi ad informare l’opinione pubblica sulle mi- sure di comunità.
87 “Allora secondo me l’opinione pubblica potrebbe essere un ostacolo nella misura in cui non si presenta la cosa nel modo giusto, e mi spiego: è un ostacolo perché co- me dicevo prima l’opinione pubblica ora pensa “commetti un reato e sei un appesta- to, quindi perché devi avere accesso a questa cose?” è il solito discorso sempre no? “hai fatto il reato poi dopo due mesi, tre mesi o due anni sei fuori a fronte di una pe- na molto più lunga. Perché?” Quindi questo non lo capisce la popolazione, la socie- tà, lo capisce poco.
D’altra parte però pretenderebbe anche che questi facessero dei lavori, come dire “metteteli a lavorare” si dice sempre… perfetto, allora in questo secondo me si può raggiungere una sorta di equilibrio.
Da un lato la politica e il volontariato potrebbero spiegare, e quindi qui c’è la sensibilizzazione, che l’idea di aver commesso un reato e a seguire dovrebbe esserci, dovrebbe essere incentivata una restituzione, fa parte comunque proprio di quell’articolo della costituzione del quale si parlava, quindi alla rieducazione del detenuto.
D’altra parte se ben presentati, i lavori che poi i detenuti o coloro che hanno ac- cesso a misure di questo tipo fanno, la società potrebbe dire «ok, questo sta facendo qualcosa, sta facendo qualcosa a costo zero per noi però restituisce qualcosa» che appunto può essere la manutenzione, la pulizia, il controllo…”
Associazione Controluce, Pisa.
Secondo le associazioni con cui si è discusso più a fondo dell’argomento, cambia- re il modo di comunicare la pena potrebbe veramente cambiare la visione che l’opinione pubblica ha di certe fasce della popolazione, ma questo è utopistico, pro- prio perché è un argomento che per troppo tempo è stato trattato in maniera superfi- ciale e sbagliata.
Alcune associazioni ritengono che ci sia un problema proprio nell’impostazione dell’esecuzione penale oggi in Italia:
“Noi abbiamo un grande scatolone dove non c’è diversificazione e personalizza- zione della pena, nel senso che noi abbiamo come risposta a qualunque tipo di reato il carcere, che è la cosa peggiore che uno possa fare perché poi quando si va a met-
88 tere mani a quello che è il vissuto della persona, ogni persona ha un vissuto diverso e ogni persona ha una problematica diversa sulla quale bisogna andare ad interve- nire per il discorso rieducativo e poi di inclusione sociale.
Per cui il modello che noi abbiamo, quello legislativo è fallimentare. C’è questa grande scatola dove trovi quello che perché è vissuto in periferia e perché aveva al- tre situazioni era quasi abituato ad entrare e uscire dal carcere, la persona che in campo amministrativo ha sbagliato a mettere una firma e sta insieme a quella perso- na, dal tossicodipendente alla persona invece che non ha mai avuto a che fare con il problema delle sostanze, e si ritrovano anche in cella insieme e questa cosa se da una parte può aiutare perché conosci mondi che fino ad ora non avevi mai conosciu- to, quindi dal punto di vista umano ti rimetti in discussione o altro, però poi va an- che rielaborata questa cosa”
Associazione Noi e Voi, Taranto.
È necessario quindi, a parere delle associazioni, che non si utilizzi il carcere per punire ogni tipo di reato, perché nella maggior parte dei casi arreca più danni che be- nefici, soprattutto nel caso dei tossicodipendenti, che all’interno del carcere non rie- scono a portare avanti un percorso di riabilitazione. C’è bisogno più che altro di una personalizzazione della pena, che si tenga conto delle condizioni personali, familiari e sanitarie di ogni individuo, cosa che invece oggi non viene fatta, per mancanza di personale educativo.
“Io non so se lei conosce un pochino la situazione del carcere di Sollicciano, è una situazione disastrosa. C’è una situazione delle strutture che è fatiscente, recen- temente c’è stata un’evasione di tre detenuti romeni, che è stata facilitata dal fatto che la muraglia esterna del carcere in alcuni punti è deteriorata. Per cui, insomma, ci piove dappertutto dentro il carcere, anche nelle celle, ci sono i soffitti con le chiazze di umidità. Dal punto di vista strutturale si dovrebbe suggerire la chiusura… e poi anche dal punto di vista trattamentale…
R: dovendo far fronte ad esigenze strutturali il percorso trattamentale viene mes- so in secondo piano?
89 I: no, ma c’è proprio una… penso che Sollicciano ha attualmente la presenza di circa 750 detenuti. Poi abbiamo sei educatori e quindi il rapporto fra educatori e popolazione detenuta è un rapporto…
R: si, più di uno a 100…
I: quindi funziona malissimo l’area trattamentale.”
Associazione Pantagruel, Firenze.
È emerso poi durante un’intervista un argomento interessante,
“riguardo alla riabilitazione dei detenuti, che è uno di quegli argomenti che non vengono mai trattati e che invece ritengo sia importante. All’interno del carcere non può entrare chi ha precedenti penali, si fanno i controlli prima di poter dare accesso ecc. Se una persona ha fatto un percorso per cui ha finito la sua pena, l’ha scontata e si è anche reinserito dal punto di vista sociale, non può rientrare in carcere. Che è un guaio, perché invece diventa un testimone nei confronti… nel campo educativo queste cose sono il nostro pane quotidiano. Ora all’interno del carcere queste cose sembrano essere cose assurde.
Quando un ex detenuto o con l’associazione o perché lavora in una ditta deve rientrare in carcere e quindi può diventare un esempio per chi l’ha conosciuto come detenuto e dire “guarda quello sta lavorando” non può entrare. Questa è una cosa che secondo me va rivista. […] Se uno ha voglia di fare e ha fatto quel tipo di espe- rienza, porta una motivazione su queste cose e doverlo bloccare perché ha avuto dei precedenti tanti anni fa, mentre lui è una risorsa perché tu hai vissuto quell’esperienza, ne sei uscito e finalmente sei un testimone che la cosa può andare avanti, per la legge invece ancora rimane un problema ostativo. Queste sono cose da rivedere.”
Associazione Noi e Voi, Taranto.
Un altro tema importante emerso è quello della mediazione penale.
“Come Messa Alla Prova noi collaboriamo con un’altra associazione che è la ASAV che è l’Associazione Scaligera Assistenza Vittime di reato.
90 Alcuni nostri soci sono soci anche di quest’altra associazione e si ascoltano le vit- time di reato e si cerca di fare un po’ di mediazione, lo scopo sarebbe di fare della mediazione penale fra reo e vittima.
Siamo ancora molto molto lontani ovviamente, però diciamo che occupandoci noi come Fraternità dei detenuti e l’ASAV delle vittime, diciamo che visto che la Messa Alla Prova è anche questo fra le varie cose previsto dalla legge, il top sarebbe arri- vare alla mediazione penale no? Ecco, ancora siamo lontani, però uno degli scopi di tutte le nostre attività e di tutte le nostre collaborazioni, anche con l’ASAV è arrivare anche a questo.”
Associazione La Fraternità, Verona
Due delle associazioni intervistate si stanno organizzando per sviluppare questa attività, richiedendo ad alcuni volontari di fare un corso di formazione in questo campo per poter, in futuro, aprire degli sportelli di mediazione penale.