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Il terzo pacchetto sicurezza

DIRITTO PENALE DELL’IMMIGRAZIONE

2.5 Il terzo pacchetto sicurezza

Il terzo pacchetto sicurezza è stato recepito dal nostro ordinamento con il decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 89, convertito in legge 2 agosto 2011, n. 129, modificando nuovamente il T.U., in attuazione della direttiva 2004/38/CE sulla libera circolazione dei cittadini comunitari e della direttiva 2008/115/CE sul rimpatrio degli stranieri nel rispetto dei diritti fondamentali dell'uomo.

Il terzo pacchetto sicurezza viene approvato in seguito agli avvenimenti, che hanno portato alla celebre “sentenza El Dridi”,

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collegata al caso di uno dei moltissimi immigrati irregolari in Italia, colpiti da un ordine di espulsione.

2.5.1 La sentenza “El Dridi”

Il signor El Dridi era un cittadino algerino, entrato illecitamente nel territorio dello Stato italiano: nel 2004 aveva ricevuto un decreto di espulsione da parte del prefetto, in attuazione del quale il questore di Udine aveva formulato un ordine di allontanamento dal territorio entro il termine di cinque giorni, a decorrere dal 21 maggio 2010, per la mancanza di documenti di identificazione, l'indisponibilità di un mezzo di trasporto e l'impossibilità di ospitare lo straniero in un centro di permanenza temporanea, a causa della mancanza di posti liberi. Non avendo eseguito l'ordine, El Dridi veniva condannato dal Tribunale di Trento alla pena di un anno di reclusione per il reato, di cui all'art. 14, comma 5-ter, del T.U., ma impugnò tale decisione dinanzi alla Corte d'appello di Trento, che sospese il procedimento e pose alla Corte di Giustizia una questione pregiudiziale, in ordine alla corretta interpretazione degli artt. 16 e 17 della direttiva 2008/115/CE (cd. Direttiva rimpatri, oggetto di approfondimento nel successivo capitolo) sulle circostanze in presenza delle quali uno Stato membro può disporre il trattenimento di cittadini di Paesi terzi sottoposti a procedure di

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rimpatrio e sulle condizioni di trattenimento. La Corte di Giustizia ha dichiarato l'incompatibilità della disciplina italiana del delitto, di cui all'art. 14, comma 5-ter, T.U., con la direttiva rimpatri sulla base di due argomentazioni: in primo luogo, la direttiva garantiva che le persone fossero rimpatriate nel pieno rispetto dei loro diritti fondamentali e della loro dignità, e nel rispetto dei principi generali del diritto comunitario e del diritto internazionale in materia, compresi gli obblighi di protezione dei rifugiati e dei diritti dell'uomo. La normativa italiana, che prevedeva la reclusione e l'arresto obbligatorio del soggetto che permaneva illegalmente sul territorio italiano, non si conciliava con l'esigenza di tutela dei diritti fondamentali della persona, dal momento che la qualificazione del reato come “delitto” e la pena alla reclusione da uno a quattro anni non apparivano perfettamente proporzionate al fatto commesso. In secondo luogo, la decisione di trattenere in carcere fino a 180 giorni lo straniero destinatario di un provvedimento di espulsione, risultata contraria alla ratio sottesa alla direttiva europea sui rimpatri e all'obiettivo di realizzare un sistema efficace di esecuzione delle decisioni di rimpatrio. Se lo straniero non avesse potuto essere allontanato dal territorio dello Stato per tutto il periodo della reclusione, la sanzione penale avrebbe costituito un ostacolo all'effettivo allontanamento dello straniero

72 irregolare 61.

Di conseguenza, la Corte di Giustizia non precludeva il ricorso al diritto penale, a condizione che venisse considerato come

extrema ratio nell'ottica di una serie di strumenti graduali volti

a ottenere l'effetto utile del diritto comunitario sostanziale: quello dal rimpatrio volontario, poi dell'accompagnamento coatto alla frontiera, fino, allo strumento penalistico, che non prevedeva necessariamente il carcere. In altre parole, la norma interna veniva considerata inapplicabile poiché ostacolava la pronta esecuzione del rimpatrio dello straniero e non per la violazione dei suoi diritti fondamentali.

2.5.2 La legge 2 agosto 2011, n. 129

Il recepimento della sentenza “El Dridi” nel diritto interno ha avuto conseguenze immediate sul piano giurisdizionale, in quanto ha permesso da subito la disapplicazione, da parte dei giudici nazionali, di tutte le disposizioni del T.U. contrarie alla fattispecie, di cui art. 14, comma 5-ter, e l'inottemperanza all'ordine di allontanamento del questore, non più considerata

61 VIGANÒ F (2011), Discusso avanti alla Corte di giustizia il primo rinvio

pregiudiziale sulla direttiva rimpatri, in “Diritto penale contemporaneo”, 31

Marzo. Disponibile su https://www.penalecontemporaneo.it/d/490-discusso-avanti- alla-corte-di-giustizia-il-primo-rinvio-pregiudiziale-sulla-direttiva-rimpatri

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come un reato. Di fatto, la sentenza El Dridi ha portato alla scarcerazione e al proscioglimento di centinaia di stranieri detenuti o sotto processo per questo reato.

Sul piano normativo, il legislatore è intervenuto in ottemperanza alle indicazioni della Corte di Giustizia con il decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 89, convertito con legge 2 agosto 2011, n. 129. Le novità principali riguardavano il reato di inosservanza all'ordine di allontanamento del questore e i termini massimi di durata della detenzione amministrativa nei CIE, trasformando il reato di violazione dell'ordine del questore ad opera di stranieri irregolari destinatari di provvedimenti di espulsione in un reato contravvenzionale, punibile con una multa dai 10.000 ai 20.000 €. In compenso, il periodo massimo di trattenimento nei CIE veniva esteso fino a un massimo di 18 mesi, con un meccanismo di proroghe progressive convalidate dal giudice di pace. In merito alla disciplina delle modalità di esecuzione dell'espulsione, mentre la normativa comunitaria prevedeva come regola la partenza volontaria dell'espulso entro un certo termine e, solo eccezionalmente, l'accompagnamento coattivo per mezzo della forza pubblica, la normativa italiana fissava il termine per la partenza volontaria solo su richiesta dell'interessato, e non d'ufficio, con il conseguente vantaggio

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dell'accompagnamento coattivo62. Inoltre, il legislatore ha

aggiunto una serie di disposizioni volte ad individuare le situazioni in cui si sarebbe verificato un concreto rischio di fuga63, in modo da legittimare il prefetto ad ordinare l'espulsione

mediante accompagnamento coattivo, invece della partenza volontaria.