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DIRITTO PENALE DELL’IMMIGRAZIONE

3.8. Le espulsioni giudizial

La legge prevede che, in alcuni casi, il giudice, a seguito di condanna per aver commesso un reato, possa imporre allo straniero la misura di sicurezza dell’espulsione. Quando, alla fine del processo, il giudice ritiene il condannato persona socialmente pericolosa, può ordinare che sia espulso dopo aver scontato la pena. Questo provvedimento di espulsione, però, può essere disposto solo nei confronti dello straniero che si trovi in condizioni di irregolarità, cioè nelle condizioni previste dall’art. 13, T.U., che disciplina le ipotesi di espulsione amministrativa del prefetto. Il giudice può ordinare l'espulsione dello straniero condannato per taluno dei delitti per i quali è astrattamente previsto l'arresto obbligatorio o facoltativo in flagranza89, se ritiene il

condannato socialmente pericoloso90.

Altre ipotesi di espulsione a titolo di misura di sicurezza sono previste dal codice penale o dalle leggi penali speciali nei confronti del condannato alla reclusione per un tempo "superiore ai due anni"91 ,

ovvero per uno dei delitti contro la personalità dello Stato, previsti dal

89 CODICE DI PROCEDURA PENALE, artt. 380, 381. 90 Decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, art.15. 91 CODICE PENALE, art.235.

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Titolo I del codice penale92, o, ancora, per determinati reati legati al

traffico di stupefacenti93. Anche in queste ipotesi, comunque, è

necessario che il giudice ritenga il condannato persona socialmente pericolosa.

92 CODICE PENALE, art. 312.

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CONCLUSIONI

La specie umana è caratterizzata dalla straordinaria diversità fisica e culturale degli individui. Spesso, però, questa diversità è all’origine di conflitti e di diseguaglianze: infatti, i rapporti fra gli esseri umani sono determinati più in base alle differenze che alle somiglianze. Uno dei modi più comuni per differenziare tra loro gli individui consiste nel distinguerli in base alle caratteristiche somatiche e ai tratti culturali.

La conseguenza di queste differenziazioni sociali è che diversi gruppi finiscono per considerare e per essere considerati dagli altri “diversi”. Il diverso, però, viene sempre considerato inferiore. Per la grande maggioranza degli individui, infatti, le loro norme, la loro religione, i loro valori o la loro cultura sono superiori, mentre quelli degli altri gruppi sono inferiori. A volte, forse, la diversità spaventa e produce senso di insicurezza. perché ci si rende che esistono altri modi di comportarsi, di valutare, di vivere, modi che mettono in discussione ciò con cui si è abituati a valutare le cose. È proprio da questo che cominciano a generarsi le discriminazioni: tutte le nostre regole di comportamento e tutto il nostro sistema culturale cessano di essere assoluti. Certo, un individuo non lo si può considerare inferiore perché ha tratti fisici diversi dai nostri o perché ha diverse norme di comportamento: bisogna rendersi conto che la

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nostra visione del mondo non è l’unica, né necessariamente la migliore. È facile considerare se stessi, il proprio gruppo, la propria cultura come i migliori, come i più giusti e come gli unici degni di rispetto, ma occorre ricordarsi che, anche se diverso, può portare una nuova ricchezza, perché ci dà la possibilità di vedere aspetti nuovi del mondo.

La gestione dei flussi migratori ha costituito uno degli argomenti più pungenti del quadro politico-sociale mondiale, in grado di influenzare le scelte elettorali dei cittadini, portati ad individuare un gruppo minoritario come capro espiatorio per le difficoltà del Paese. Le attuali difficoltà economiche dell’Italia non prevedono la presenza di immigrati, anzi, il risultato complessivo dell’immigrazione sull’economia è positivo: una delle possibili cause può essere costituita dall’invecchiamento della popolazione, che ha bisogno di nuova forza lavoro. I reati non sono aumentati, anzi, sono diminuiti. Tuttavia, ci sono problemi che nascono dall’immigrazione, ma sono di natura residuale rispetto a tematiche come la mancanza di lavoro, la recessione economica e l'evasione fiscale. La disciplina sull’ingresso e sul soggiorno degli stranieri si basa sull’uso degli strumenti di diritto penale, talvolta camuffati da provvedimenti amministrativi, come ad esempio la compressione del diritto della libertà personale del migrante all’interno dei Centri di

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Permanenza per il rimpatrio (CPR), nonché l’impiego di vere e proprie sanzioni penali come finalità deterrente per far diminuire l’afflusso migratorio. È necessario interrogarsi, innanzitutto, sulla prudenza nell'utilizzare lo strumento penale per debellare l’immigrazione clandestina. Il Testo Unico sull’immigrazione è volto alla realizzazione dell’espulsione, ossia al suo effettivo allontanamento dal territorio nazionale. La scelta di utilizzare gli istituti del diritto penale che consistono in limitazione del diritto della libertà personale nei confronti di chi sbarca sulle coste italiane, sembrano manifestarsi alcune incertezze. Infatti, se lo scopo principale del Testo Unico sull’immigrazione è quello allontanare lo straniero entrato senza avere nessuna legittimazione e quindi violando le norme sull’ingresso, le sanzioni penali non sembrano avere quell’effetto deterrente a raggiungere suddetta intenzione, dal momento che queste misure finiscono per ampliare il tempo trascorso sul territorio nazionale, rappresentando un inconveniente all’allontanamento ed un intralcio alla giustizia italiana.

L’introduzione del reato di clandestinità ha suscitato critiche da parte della dottrina e della giurisprudenza, dei pensatori e dell’opinione pubblica. Inoltre, dalla lettura delle normative attuali parrebbe quasi che dignità e diritti umani appartengano non più a tutte le persone, ma solo ai cittadini e agli stranieri

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regolari. Tutti gli altri diventano clandestini, perdono le sembianze umane e, perciò, non godono dei diritti. La normativa in questione riguardante il reato di clandestinità, ha premiato la logica della differenziazione umana ed è diventata regola apertamente discriminatoria, legittimata solo dalla necessità di assicurare l’ordine pubblico e la tranquillità dei cittadini. Tra i migranti non si riconosce più l’uomo e la donna, il bambino o l’anziano, ma ciascuno di loro si disincarna e diventa la rappresentazione di un'altra identità. La disciplina sorta come regolamentazione dei flussi esprime nella realtà la volontà di regolare e gestire le forme dell’inevitabile incontro fra culture e popoli. Non stupisce, dunque, che tale norma sia stata aspramente criticata da una platea molto ampia e variegata: dalla Chiesa Cattolica a intellettuali, da giuristi, fino ad associazioni e movimenti.

Nel 2016 l’allora presidente della Corte di Cassazione, Giovanni Canzio, ha manifestato l’inutilità del reato di immigrazione illegale poiché essendo un reato contravvenzionale non possono essere applicate misure che restringono il diritto della libertà personale quindi lo straniero che entra o soggiorna illegalmente non può essere arrestato, viene denunciato e processato in contumacia; tuttavia allo straniero irregolare non verrà mai applicata la condanna definitiva perché privo di soggiorno e

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lavoro regolare, quindi le sanzioni inflitte restano prive di effetto.

Giudizi critici sono stati espressi dallo stesso Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, al momento dell’emanazione della legge 5 luglio 2009, n. 94. Il presidente Napolitano ha ritenuto opportuno, infatti, manifestare perplessità non solo per le modalità della sua approvazione, ma anche per la tecnica legislativa utilizzata, spesso imprecisa e incoerente, e soprattutto per l’eterogeneità dei contenuti.

Un controllo più equilibrato, oculato e meditato di fenomeni come l’immigrazione clandestina da parte della politica rimane attualmente un’aspirazione incompiuta.

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