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La direttiva 2008/115/CE “Direttiva rimpatri”

DIRITTO PENALE DELL’IMMIGRAZIONE

3.1 Le fonti in materia di espulsioni e respingiment

3.1.1 La direttiva 2008/115/CE “Direttiva rimpatri”

La direttiva rimpatri 2008/115/CE è composta da trenta considerazioni, cui seguono ventitré articoli, divisi in cinque capitoli: disposizioni generali; fine del soggiorno irregolare; garanzie procedurali; trattenimento ai fini dell’allontanamento; disposizioni finali.

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negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, nel rispetto dei diritti fondamentali in quanto principi generali del diritto comunitario e del diritto internazionale, compresi gli obblighi in materia di protezione dei rifugiati e di diritti dell'uomo”; la direttiva, dunque, si presenta come strumento essenziale

ai fini di rendere effettiva la politica di rimpatrio dell’Unione. Non rientra, invece, all’interno degli obiettivi della normativa quello di definire in quali casi, ed in base a quali condizioni, il soggiorno dello straniero sia da considerarsi irregolare, con la conseguenza che la competenza a regolare tale aspetto rimane agli Stati membri. L’art. 1 ha una doppia natura poiché, da una parte, funge come strumento politico e normativo per la disciplina del rimpatrio, dall’altra, pone attenzione sul tema dei diritti umani delle persone coinvolte durante tutta la procedura del rimpatrio. Gli Stati membri sono dunque obbligati, nel momento in cui adottano tale direttiva, a garantire il rispetto dei diritti umani, come del resto già previsto dalle sottoscrizioni della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo del 1950, della Convenzione di Ginevra sullo status di rifugiato del 1951 e della Convenzione ONU sui diritti del fanciullo del 1989.

L’art 2 disciplina gli ambiti di applicazione, ed in particolare lascia agli Stati membri la scelta di non applicare la presente direttiva ai cittadini di Paesi terzi, in due soli casi:

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• soggetti sottoposti a respingimento alla frontiera, conformemente all'articolo 13 del codice frontiere Schengen, ovvero fermati o scoperti dalle competenti autorità in occasione dell'attraversamento irregolare via terra, mare o aria della frontiera esterna di uno Stato membro, e che non hanno successivamente ottenuto un'autorizzazione o un diritto di soggiorno in tale Stato;

• soggetti sottoposti a rimpatrio come sanzione penale o come conseguenza di una sanzione penale, in conformità alla legislazione nazionale, o sottoposti a procedure di estradizione. L’articolo 3 contiene alcune definizioni essenziali per l'interpretazione della direttiva. Particolarmente rilevanti sono le definizioni di soggiorno irregolare, di rimpatrio e di rischio di fuga. Il primo richiama l’articolo 5 del Codice frontiere Schengen e lascia spazio alle previsioni delle legislazioni nazionali. Il secondo, poi, viene inteso non solo come ritorno nel Paese di origine del migrante, ma anche nei Paesi di transito, in conformità ad accordi comunitari o bilaterali di riammissione o di altre intese e in Paesi terzi, in cui il soggetto decide volontariamente di tornare. Il rischio di fuga rileva tanto in caso di astensione dalla concessione del periodo di partenza volontaria, quanto nel caso di detenzione: deve essere determinato caso per caso, ed in base a circostanze oggettive, ma non viene espressamente

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previsto nella direttiva un divieto di presumere tale rischio per il solo fatto della presenza irregolare del migrante sul territorio dello Stato. La definizione specifica delle circostanze in cui un rischio di fuga possa essere configurabile, è quindi rimandato alle legislazioni degli Stati membri, che dovranno prevedere un elenco circoscritto di casi e situazioni con la possibilità, tuttavia, di una forte disarmonia tra le varie prassi statali in merito.

L’articolo 4 introduce la possibilità per gli Stati membri di mantenere le disposizioni più favorevoli esistenti in forza di accordi tra la Comunità e i Paesi terzi o tra gli Stati Membri e i Paesi terzi tramite accordi bilaterali.

Chiude il primo capo l’articolo 5, che sottolinea il rispetto del principio di non-refoulement. Il principio di non respingimento è fondamentale nel diritto internazionale: infatti, ai sensi dell’art. 33 della Convenzione di Ginevra, a un rifugiato non può essere impedito l’ingresso sul territorio, né può essere deportato, espulso o trasferito verso territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate. Per effetto della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, il divieto di refoulement si applica indipendentemente dal fatto che la persona sia stata riconosciuta rifugiata e/o dall’aver quest’ultima formalizzato o meno una domanda diretta ad

ottenere tale riconoscimento.

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allontanamento forzato verso un Paese non sicuro.

L’articolo 6 contiene una delle previsioni principali della direttiva: la decisione di rimpatrio. Gli Stati membri sono generalmente obbligati ad adottare tale provvedimento, ma possono astenersi nel momento in cui il cittadino abbia il permesso di soggiorno o altra autorizzazione rilasciata da un diverso Stato membro. La procedura di rimpatrio prevede, poi, che debba essere data priorità al rimpatrio volontario che a quello coatto.

L’articolo 7 stabilisce un periodo per una eventuale partenza volontaria, da un minimo di sette ad un massimo di trenta giorni, che può essere anche prolungato, tenendo conto delle circostanze specifiche del caso individuale, anche se manca un'indicazione riguardo la durata dell’estensione del periodo di ritorno volontario. L’articolo 8 prevede che, qualora non venga concesso nessun periodo di partenza volontaria, o se entro tale periodo il migrante irregolare non adempie all’obbligo di rimpatrio, gli Stati possano adottare “tutte le misure necessarie per eseguire la decisione di rimpatrio”69.

L’articolo 9 riguarda l’ipotesi in cui il rimpatrio non possa essere fatto immediatamente e prevede la possibilità di rinviarlo, se c’è violazione del principio di non-refoulement, oppure di rinviarlo, tenendo conto del caso individuale e “delle condizioni fisiche o mentali del cittadino

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di un Paese terzo e delle ragioni tecniche, come l’assenza di mezzi di trasporto o il mancato allontanamento a causa dell’assenza di identificazione”70 .

L’articolo 10 riguarda il rimpatrio e l'allontanamento di minori non accompagnati. In particolare, pone l’accento sull’assistenza, fornita obbligatoriamente al minore, e fa riferimento alle autorità che eseguono il rimpatrio, le quali devono tenere in debito conto l’interesse superiore del bambino.

L’articolo 11 prevede il divieto di ingresso a seguito di una procedura di rimpatrio e allontanamento. Al di là di alcuni casi, agli Stati è lasciata la possibilità di corredare le decisioni di rimpatrio con tale divieto. Quanto alla durata del divieto, la direttiva non impone il rispetto di un termine vincolante, ma predispone che essa non superi i cinque anni.

Gli articoli 12, 13 e 14 disciplinano alcune garanzie procedurali per lo straniero irregolare. L’articolo 12 prevede che le decisioni di rimpatrio, divieto di ingresso e allontanamento debbano essere adottate in forma scritta, accompagnate da motivazione e informazioni sui mezzi di ricorso disponibili. L’articolo 13 contiene previsioni in merito alla predisposizione da parte dello Stato membro di “mezzi di ricorso effettivo”. L’articolo 14 contiene alcune garanzie che gli Stati devono

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assicurare ai migranti irregolari, sia nel periodo della partenza volontaria, sia nel periodo in cui il rimpatrio sia stato rinviato.

Il capitolo successivo disciplina il trattenimento dei migranti irregolari. L’articolo 15 detta le condizioni procedurali, stabilendo un periodo di detenzione proporzionale: il trattenimento, infatti, deve avere “durata più breve possibile e deve essere mantenuto solo per il tempo necessario all’espletamento diligente delle modalità di rimpatrio”71. Inoltre, perché il trattenimento sia conforme alla legge,

devono essere rispettate tre condizioni: può avere luogo “soltanto per preparare il rimpatrio e/o effettuare l’allontanamento72, non sono

previste misure meno coercitive da potersi applicare, e vi deve essere una ragionevole prospettiva di rimpatrio73.

L’articolo 16 prevede le condizioni per il trattenimento dei migranti irregolari. In particolare, sancisce che il trattenimento avvenga in centri di permanenza temporanea e, nel caso in cui un Paese non abbia possibilità presso i centri, dovrà provvedervi all’interno di un istituto penitenziario, separato, però, dai detenuti ordinari. Si prevede poi, su richiesta, la possibilità che il cittadino straniero entri in contatto con i propri rappresentanti legali, la famiglia e le autorità consolari

71 DIRETTIVA 2008/115/CE, Art 15 par. 1. 72 DIRETTIVA 2008/115/CE, Art 15 par. 1. 73 DIRETTIVA 2008/115/CE, Art 15 par. 1.

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competenti74. L’articolo 17 è dedicato, infine, alla situazione di alcune

categorie vulnerabili: le famiglie con i minori e i minori non accompagnati.

Il capo sulle misure di sicurezza si chiude con l’articolo 18, che fa riferimento a misure eccezionali adottabili in situazioni di emergenza, e cioè “nei casi in cui un elevato numero di cittadini terzi da rimpatriare comporti un notevole onere imprevisto per la capacità dei centri di permanenza di uno Stato membro o per il suo personale amministrativo o giudiziario”.