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Pacchetto sicurezza legge 15 luglio 2009, n 94 Un'altra importante modifica al Testo Unico è stata apportata

DIRITTO PENALE DELL’IMMIGRAZIONE

2.1 Breve introduzione sui settori giuridici coinvolti dalla normativa sull'immigrazione

2.2.3 Pacchetto sicurezza legge 15 luglio 2009, n 94 Un'altra importante modifica al Testo Unico è stata apportata

con il pacchetto sicurezza del 2009: tra le più importanti novità, l'introduzione del reato di ingresso e soggiorno illegale, di favoreggiamento all’immigrazione clandestina, anche nella forma associata, l'impossibilità di trattenere gli immigrati irregolari nei CIE oltre 180 giorni, l’espulsione degli stranieri

45 GATTA G.L. (2009), Ibidem. Un ulteriore ampliamento del novero delle

aggravanti comuni è stato poi realizzato dall’art. 3, comma 20 della legge 15 luglio 2009, n. 94, che ha previsto, al nuovo numero 11 ter dell’artt. 61 c.p., quale ulteriore aggravante comune “l’aver commesso un delitto contro la persona ai danni di un soggetto minore all’interno o nelle adiacenze di istituti di istruzione e di formazione”.

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che si trattengono sul territorio nazionale contrariamente ad un provvedimento di allontanamento, l'obbligo di esibizione del permesso di soggiorno.

In virtù della legge 24 luglio 2008, n. 125, il presupposto alla base dell'aggravante di clandestinità è il soggiorno illegale. L'anno successivo, con legge 15 luglio 2009, n. 94, è stato introdotto il reato di immigrazione illegale. La norma in esame, che nelle finalità del legislatore viene promulgata come ausilio e completamento dell’intero Testo Unico dell’immigrazione, fa riferimento alla circostanza in cui l’autore si trovi illegalmente sul territorio dello Stato al momento della commissione del reato. La disposizione si applica, dunque, a chiunque sia illegalmente presente nel territorio nazionale, sia agli stranieri entrati illegalmente in Italia, sia agli stranieri che, pur con regolare ingresso, si trovano in condizioni di irregolarità per aver perso il titolo abilitativo alla permanenza. La disposizione si applica, così, sia ai veri e propri clandestini, ossia agli stranieri entrati in Italia sottraendosi ai controlli alla frontiera (art. 13, comma 2, lett. a) t.u.), sia agli stranieri irregolari (cd.

overstayers), ossia ai soggetti che, pur entrati legalmente in

Italia, si sono trattenuti illegalmente nel territorio dello Stato per non aver richiesto il permesso di soggiorno nel termine prescritto, o perché quest’ultimo è stato revocato o annullato o

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è scaduto da più di sessanta giorni senza chiedere il rinnovo (art. 13. comma 2, lett. b).

Una delle caratteristiche essenziali della normativa italiana sull’immigrazione e sulla condizione giuridica dello straniero è stata, per lungo tempo, quella di non attribuire rilevanza penale alla situazione di mera clandestinità o irregolarità del migrante presente nel territorio dello Stato. Per motivazioni ideologiche, legate anche alla cultura della solidarietà sociale, ma altresì pratiche, visto il dispendio economico e organizzativo che deriverebbe da una scelta diversa, la presenza illegale dello straniero, entrato in violazione delle norme di legge sul territorio dello Stato o qui trattenutosi in modo irregolare, dopo un ingresso legale, ha determinato per tempo l’applicazione della sola sanzione amministrativa dell’espulsione 46.

La legge 15 luglio 2009, n. 94, al comma 16, ha aggiunto al corpo del T.U.I. l’articolo 10-bis, prevedendo che “salvo che il

fatto costituisca più grave reato, lo straniero che fa ingresso ovvero si trattiene nel territorio dello Stato, in violazione delle disposizioni del presente testo unico nonché di quelle di cui all'articolo 1 della legge 28 maggio 2007, n. 68, è punito con l'ammenda da 5.000 a 10.000 euro. Al reato di cui al presente

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comma, non si applica l’art. 162 c.p.”. Rispetto alla sua prima

formulazione, il reato in questione muta da delitto a contravvenzione: il disegno di legge n. 733, presentato al Senato il 3 giugno 2008, prevedeva una pena alla reclusione dai sei mesi ad un anno. L’articolo 10-bis si apre con la previsione di una clausola di riserva, derivante dalla formula “salvo che il fatto

costituisca più grave reato”: è, questo, il caso dei reati previsti

dall’articolo 14, commi 5-ter e 5-quater, e dal reato di reingresso di cui all’articolo 13, comma 13. Come per altri reati qui analizzati, volti a disciplinare la materia dell’immigrazione irregolare nell'ambito del diritto penale, il soggetto attivo del reato può essere solo uno straniero extracomunitario, per cui ci troviamo di fronte ad un reato proprio.

Il reato si perfeziona in due differenti condotte che lo straniero può integrare: da un lato si parla di “fare ingresso”, dall’altro di “trattenersi nel territorio dello Stato” in violazione delle regole poste dal T.U.I. Tuttavia, parte della dottrina considera in senso unitario il valore illecito di concretizzazione delle due condotte. Con riferimento alla prima ipotesi, quella dell’ingresso, viene in rilievo l’articolo 4 del Testo Unico, che pone alcune condizioni affinché l’ingresso possa considerarsi legittimo: il possesso del passaporto o di documento equipollente, o di un visto di ingresso, ancora, l’accesso al territorio nazionale tramite i

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valichi di frontiera. Risulta, di conseguenza, irregolare l’ingresso eseguito senza passaporto oppure senza visto o anche, nonostante il possesso della necessaria documentazione, quello non effettuato tramite i valichi di frontiera47. Il reato di ingresso

irregolare è inapplicabile, però, nei casi di respingimento alla frontiera – come disciplinati dall’articolo 10 –, poiché antieconomico avviare un procedimento penale nei confronti dello straniero. Dal momento che la condotta del reato in questione riguarda unicamente l’atto dell’ingresso, questo reato può considerarsi di natura istantanea: si perfeziona, cioè, nel momento dell’attraversamento del confine territoriale. Diversa è la natura della seconda ipotesi, il trattenersi sul territorio italiano, a partire dal momento in cui la propria presenza sia divenuta irregolare. Si tratta, in questo caso, di un reato permanente, la cui consumazione dura per tutto il tempo del soggiorno irregolare. In merito a ciò, si pone la questione del principio di irretroattività: se punire gli stranieri che si sono trattenuti illegalmente già prima dell’introduzione del reato, oppure se applicarlo soltanto a coloro che soggiornano dopo l’introduzione dell’art.10-bis. Una risoluzione interpretativa per non ledere il principio di irretroattività ed il principio di

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colpevolezza, è quella di sanzionare anche gli stranieri già illegalmente trattenuti, purché venga previsto un termine ragionevole per conformarsi all’obbligo penale di lasciare il territorio nazionale48.

Un elemento di criticità comune ad entrambe le condotte analizzate è la mancata previsione della clausola del “senza

giustificato motivo”,49 il cui obiettivo è quello di escludere la

punibilità in situazioni di significativo bisogno, e che rendano – dunque – l’osservanza delle norme concretamente inesigibile. Si è, inoltre, sostenuto che la mancata previsione del giustificato motivo possa rivelarsi in contrasto col principio della personalità della responsabilità penale, di cui all’articolo 27, comma 3, Cost.50.

Del tutto caratteristico è, invece, il trattamento penale del reato. Non si applica l’oblazione, ex art. 162 c.p., cioè una causa di estinzione del reato attraverso il versamento volontario di una somma di denaro (la terza parte del massimo della pena stabilita

48 MASERA L. (2009), Ibidem.

49 Per quanto attiene all’interpretazione in giurisprudenza del requisito del

“giustificato motivo”, la Cassazione ha ritenuto che non fosse sufficiente la considerazione del mero disagio economico, di regola sottostante al fenomeno migratorio, ma occorresse la condizione di assoluta impossibilità oggettiva, come la totale indigenza dello straniero, che non gli consenta nemmeno di recarsi entro il termine assegnato alla frontiera, o ancora il mancato rilascio da parte della competente autorità diplomatica o consolare dei documenti necessari, sollecitamente richiesti allo straniero.

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per la contravvenzione), con la conseguente estinzione del reato da parte del giudice. La peculiarità sta nel fatto che è l’unica contravvenzione ad essere punita con l’ammenda, escludendo la possibilità dell’oblazione. A tal riguardo, la sostituzione della pena pecuniaria con l’espulsione, per un periodo non inferiore di cinque anni, rappresenta un esemplare unico di punizione suppletiva più grave della pena che rimpiazza, ed inoltre consente al giudice di pace di comminare una sanzione afflittiva, che incide fortemente sulla libertà personale.

Per realizzare in maniera efficace l’allontanamento dello straniero, il quarto comma dell’art. 10-bis prevede che il questore possa provvedere all’espulsione senza il bisogno del nulla osta da parte dell’autorità giudiziaria, ma con il dovere di avvertire, ad allontanamento eseguito, l’autorità competente per l’accertamento del reato, in deroga all’art. 13, comma 3. Il comma 5 dello stesso articolo stabilisce che, dopo aver dato esecuzione all’espulsione, il giudice pronuncia sentenza di non luogo a procedere. Se lo straniero entrasse nuovamente in modo illecito, prima della scadenza fissata nel provvedimento espulsivo, non sarebbe preclusa una nuova azione penale per lo stesso fatto. Tuttavia, una nuova apertura del processo sarebbe del tutto irrilevante, poiché il comportamento dello straniero viola il divieto di reingresso. Infine, il comma 6 disciplina una

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causa sospensiva del processo nel caso in cui lo straniero inoltrasse domanda di protezione internazionale. Se la domanda viene accolta, il giudice pronuncia sentenza di non luogo a procedere51.

2. 3 Le sentenze della Corte costituzionale 2.3.1 La sentenza n. 249 del 2010

Con la sentenza n. 249 del 2010, la Corte costituzionale ha dichiarato illegittima la previsione del numero 11-bis dell’art. 61 c.p. per violazione del primo comma dell’art. 3 e del secondo comma dell’art. 25 Cost.

Secondo la Corte, trattandosi di diritti inviolabili garantiti a tutti gli esseri umani in quanto tali, l’aggravante della clandestinità “non rientra nella logica del maggior danno o del maggior pericolo per il bene giuridico tutelato dalle norme penali che prevedono e puniscono i singoli reati”52, né la sua ratio poteva

essere giustificata con l’esigenza di contrastare l’immigrazione clandestina, in quanto tale effetto si sarebbe prodotto in modo solo indiretto e, oltretutto, non avrebbe riguardato i cittadini comunitari, per i quali non veniva applicata tale circostanza. In

51 MASERA L. (2009), Ibidem.

52 CORTE COSTITUZIONALE (2010), sentenza n.249 del 5 Luglio. Disponibile su

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altre parole, la Corte ha dichiarato l'illegittimità della presunzione assoluta di pericolosità sociale, contenuta nell'aggravante della clandestinità, rispetto agli art. 3 e 25, secondo comma, Cost., sulla base del rispetto del principio di uguaglianza, che non ammette discriminazioni tra il cittadino e lo straniero. La Corte ha ritenuto, inoltre, che l'aggravante immetteva nel sistema giudiziario un elemento di eccessiva rigidità, basato non sugli accertamenti del concreto, ma su di una mera qualità in astratto.