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L’importanza della gestione del rischio ambientale nell’attività di impresa Nella prospettiva di curare la gestione dell'impresa per prevenire i danni per la

Responsabilità di impresa e gestione del rischio

3.4. L’importanza della gestione del rischio ambientale nell’attività di impresa Nella prospettiva di curare la gestione dell'impresa per prevenire i danni per la

collettività e per incentivare comportamenti responsabili, si inserisce la tendenza le- gislativa, anche e soprattutto comunitaria, a considerare gli effetti che la gestione dell'impresa ha sull'ambiente e sulle risorse ambientali. Ed, infatti, costituisce parte integrante delle politiche comunitarie e internazionali la responsabilità sociale dell’impresa rispetto all’ambiente.134

Come si è visto, l’indagine relativa ai controlli interni operati dall’impresa non si arresta al controllo dei normali rischi finanziari e contabili, ma si spinge fino all’analisi di quei rischi che sono connessi alla tutela di interessi, non patrimoniali, dice etico, pone a carico degli amministratori di tenere in debito conto anche gli interessi degli stakehol- der si possa porre in contrasto con l’interesse sociale che, in base all’opinione dominante, coincide pur sempre con la massimizzazione del valore per l’azionista e che vincola gli amministratori a perseguire l’interesse di coloro che, quanto meno nella maggior parte degli ordinamenti, li hanno nominati, vale a dire dei soci (p. 27).

132 Per verificare quanto si va ora dicendo, si vedano le Linee Guida predisposte da Confindustria per la costruzione di modelli di organizzazione, gestione e controllo e i codici etici predisposti dai maggiori gruppi societari, facilmente consultabili sul web.

133 Oltre alle disposizioni in materia di pratiche commerciali sleali, si considerino: l’art. 124-ter, d. lgs. n. 58/1998, che prevede che la Consob stabilisce “le forme di pubblicità cui sono sottoposti i codici di comportamento in materia di governo societario promossi da società di gestione del mercato o da asso- ciazioni di categoria”; gli artt. 2387 c.c. e 2409-septiesdecies c.c., che prevedono che lo statuto societa- rio possa rinviare ai requisiti dettati per gli amministratori da codici di comportamento redatti da asso- ciazioni di categoria o da società di gestione di mercati regolamentati. Sul punto si vedaS.LUCHENA, Codice etico e modelli organizzativo-sanzionatori nel d.lgs. n. 231/01: legittimità ed efficacia, in Giur. comm., 2001, II, p. 247 (specie nt. 7).

134 Chiaro in questo senso è il Sesto programma comunitario d’azione in materia di ambiente deliberato nel 2002 (Decisione 1600/2002/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, 22 luglio 2002, in “Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee”, L 242/1, 10 settembre 2002).

estranei ad una logica prettamente economica, fra i quali la salute, la sicurezza e, appunto, l’ambiente.

La gestione del rischio nell’ottica di apprestare una tutela di lungo termine all’ambiente costituisce una tematica che richiede una serie di valutazioni a livello giuridico, economico e politico, anche e soprattutto per la trasversalità delle istanze riconducibili al tema dell’ambiente. In particolare, sotto il profilo economico, è dato rilevare uno sviluppo consistente di comparti produttivi afferenti al settore ambienta- le (quale, ad esempio, l’impiantistica per la depurazione delle acque) e, anche con riferimento a settori non direttamente legati all’ambiente (come ad esempio il tra- sporto), l’introduzione di metodi produttivi più rispettosi della variabile ecologica.

L’esigenza di predisporre adeguate misure di tutela ecologica si avverte con par- ticolare evidenza nei paesi sottosviluppati, dove la necessità di innescare o accelera- re il processo di sviluppo economico porta a mettere in secondo piano il problema ambientale, incentivando la localizzazione di filiali di grandi imprese, con sede nei paesi più industrializzati, le quali “beneficiano” della carenza di controlli e normati- ve per la protezione dell’ambiente, potendo esportare attività che nei paesi di origine sarebbero vietate. Ed, infatti, è soprattutto con riferimento alle imprese che operano in ambito transnazionale e che svolgono la propria attività in outsourcing che si col- locano le iniziative di organismi o istituzioni pubbliche e private volte ad incentivare l’adozione di codici di condotta ispirati a principi etici o comunque di condotta “so- cialmente responsabile”, non solo da parte dell’impresa stessa, ma anche dei produt- tori-fornitori con cui essa si relaziona.135 Ne sono un esempio il Libro Verde

dell’Unione Europea sulla responsabilità sociale delle imprese del 2001, il Global

Compact dell’ONU del 1999 e le Linee Guida per le imprese multinazionali

dell’OCSE del 1976.

La questione ambientale pone importanti interrogativi di politica economica; gli obiettivi ai quali tendere sono sia la promozione di attività produttive che portino avanti specifiche politiche ambientali, come la produzione delle cosiddette energie alternative o l’agricoltura biologica, sia, più in generale e a prescindere dal tipo di attività svolta, la previsione di incentivi per l’adozione da parte dell’impresa di con- dotte compatibili con la tutela ambientale.136

Senza voler indugiare ulteriormente sulle attività speciali del primo tipo, è pale- se che, almeno fino a quando le energie alternative non si candideranno ad essere effettivamente per l’uomo il sistema di “approvvigionamento” di energia prevalente, la prospettiva alla quale tendere, per lo meno nel breve periodo, è senz’altro la se- conda.

Sotto questo profilo, nell’economia aziendale vanno affermandosi modelli di “e-

co-management” che indirizzano le imprese nelle scelte di gestione ambientale (nel-

la scelta delle materie prime, delle modalità di gestione dei rifiuti o delle procedure 135 Cfr. S.ROSSI,Luci e ombre dei codici etici d’impresa, cit., p. 24. Sul tema degli “impegni sociali” dell’impresa verso l’ambiente, cfr. S.GRASSI-S.TADDEI, Responsabilità sociale dell'impresa e tutela dell'ambiente, in G. Conte (a cura di), La responsabilità sociale dell'impresa, cit., p. 122 ss.

136 Cfr. sul punto M. LIBERTINI, La responsabilità di impresa e l’ambiente, inAA.VV., La responsabilità

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di produzione dei prodotti o di loro imballaggio), così da innalzare gli standard per il miglioramento della qualità dei servizi offerti con minimizzazione dei rischi.

Alcuni modelli di gestione ambientale sono stati già tradotti in strumenti norma- tivi; ne sono un esempio: la norma internazionale ad adesione volontaria ISO 14001:2004; la registrazione EMAS (Eco Management and Audit Scheme), strumen- to creato dalla Comunità Europea al fine di promuovere migliori “prestazioni am- bientali” delle varie organizzazioni; il marchio europeo di qualità ecologica “Ecola- bel”, il quale attesta che un prodotto o un servizio ha complessivamente un ridotto impatto ambientale.137 Sono previsti per le imprese anche processi di verifica dello

stato di efficacia e di attuazione del proprio SGA (sistema di gestione ambientale), il c.d. Audit ambientale, che consente di valutare la conformità delle “prestazioni” ambientali ad uno standard (ISO 14001 e EMAS) o alle leggi cogenti, nonché di in- dividuare i potenziali problemi che possono interessare l’attività di impresa e il suo SGA.

Ulteriore testimonianza di una generale tendenza a una gestione virtuosa in ma- teria ambientale è data dalla diffusione di codici di condotta, accordi ambientali, marchi di qualità e documenti informativi destinati a chiarire al pubblico interessato gli “impegni” profusi dall’impresa verso l’ambiente, come i bilanci ambientali.138 Si

tratta di strumenti che postulano un corretto impiego dei canali di comunicazione e lo scambio di informazioni tra le parti in conflitto, in modo che ne sia agevolato il confronto.139 L’adesione a queste iniziative continua, tuttavia, ad essere spontanea,

sebbene le imprese siano incoraggiate in tal senso dalla prospettiva di un guadagno sicuro in termini di immagine e di benefici in termini di competitività, in un mercato in cui l’internazionalizzazione inasprisce le dinamiche concorrenziali.

In dottrina non sono mancate proposte dirette a incrementare gli incentivi pub- blici all’adozione di misure di tutela ambientale, come un punteggio aggiuntivo ne- gli appalti pubblici per le imprese a sistemi di gestione ambientale positiva o il bi-

137 La registrazione EMAS e il marchio Ecolabel sono disciplinati dalla regolamentazione europea, ri- spettivamente dal Reg. CE 1836/1993 del 29 giugno 1993 e dal Reg. CE 1980/2000 del 17 luglio 2000. Istituto che in Italia svolge supporto tecnico per la registrazione Emas e per l’assegnazione del marchio Ecolabel è l’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e per la Ricerca Ambientale), agenzia collegata al Ministero dell’Ambiente, la cui attività è documentata sul sito www.isprambiente.gov.it.

138 Sebbene non esista una vera disciplina giuridica relativa al bilancio sociale, al contenuto che esso deve avere e alle procedure per la sua approvazione e per la sua pubblicizzazione, si va affermando la tendenza ad adottare un bilancio c.d. triple bottom line, comprensivo cioè non solo del bilancio di eser- cizio, che registra la situazione economico patrimoniale e finanziaria dell’impresa, ma anche di un bi- lancio ambientale, riguardante l’impatto che l’attività esercitata ha avuto sull’ambiente, e di un bilancio sociale, attinente ai rapporti fra l’impresa e i suoi dipendenti, i consumatori, i fornitori. Sui diversi stru- menti della responsabilità sociale di impresa in campo ambientale cfr.S.GRASSI-S.TADDEI, Responsa- bilità sociale dell'impresa e tutela dell'ambiente, cit., p. 128 ss.

139 Cfr., sul punto e per un più approfondito panorama sulla gestione ecoefficiente dei processi di produ- zione, R.CARIANI-M.CAVALLO,Produzione ecologica e consumo responsabile, Milano, FrancoAngeli, 2009, p. 11 ss. Sul tema cfr. anche G.FORESTIERI-A.GILARDONI (a cura di), Le imprese e la gestione del rischio ambientale. Profili aziendali, giuridici e assicurativi, Milano, EGEA, 1999.

lancio ambientale obbligatorio, con crediti o debiti ambientali, spendibile a fini fi- scali.140

Invero, l’attuale panorama degli strumenti di tutela ambientale già contempla misure di carattere tecnico-amministrativo dirette ad incidere sui livelli di preven- zione dei danni. Ci si riferisce innanzitutto alle due procedure complementari di VAS (Valutazione Ambientale Strategica) e VIA (Valutazione di Impatto Ambienta- le), preposte alla preventiva verifica degli impatti ambientali di attività di trasforma- zione del territorio, previste in atti di programmazione o progettazione.141

A livello internazionale, invece, è stato realizzato una sorta di mercato delle e- missioni (emissions trading), uno strumento amministrativo impiegato per controlla- re le emissioni di inquinanti e gas serra, mediante il commercio delle quote di emis- sione tra Stati diversi e la loro quotazione monetaria.142

Il quadro tratteggiato ci consente di raggiungere un primo punto d’arrivo. Nel settore ambientale, dove si corre il rischio di danni catastrofici, con ripercussioni i- nevitabili sulle condizioni di vita delle specie animali, sull’equilibrio naturale, non- ché sulla qualità della vita dell’uomo, se non addirittura sull’aspettativa della specie umana alla sopravvivenza, occorre incrementare e valorizzare le attività di tipo pre- ventivo. La tutela ambientale procede, dunque, su un doppio binario: iniziative, spontanee o indotte, che sollecitano l’adozione di comportamenti virtuosi e sistemi di “repressione” degli illeciti. Si tratta di un fenomeno che non sembra lasciare spa- zio ad inversioni di tendenza e che è destinato ad acquisire sempre maggiore consi- stenza.

140 Sul punto vediM.LIBERTINI,La responsabilità di impresa e l’ambiente, cit., p. 228, il quale eviden- zia come sarebbero auspicabili incentivi “reali” e non “finanziari” da parte dei pubblici poteri, non es- sendo praticabile una politica di sovvenzioni, da una parte, per le “condizioni della finanza pubblica”, dall’altra, perché si “ostacolerebbe l’affermarsi di sinergie virtuose fra atteggiamenti imprenditoriali o- rientati al mercato e sensibilità ambientale”.

141 È noto che la legislazione relativa alla valutazione di impatto ambientale è nata, intorno agli anni set- tanta del secolo scorso, negli Stati Uniti con il National Environmental Policy Act (NEPA). Solo nel decennio successivo il modello ha trovato diffusione anche nella comunità europea. Nell’ordinamento italiano, le procedure sono state da ultimo disciplinate dal d. lgs. n. 128/2010 che è intervenuto a modifi- care il codice dell’ambiente. In estrema sintesi la differenza fra VIA e VAS è che la prima opera al fine di valutare preventivamente gli impatti ambientali che possono derivare da progetti o opere, mentre l’altra procedura di valutazione rappresenta un passaggio nei procedimenti decisionali della pubblica amministrazione, attenendo agli effetti ambientali di piani o programmi (il Consiglio di Stato, con la sentenza 12 gennaio 2011, n. 133, ha definito la VAS come “un parere che riflette la verifica di sosteni- bilità della pianificazione”).

142 Il sistema europeo di emission trading è stato istituito dalla direttiva 2003/87/CE del 13 ottobre 2003 (recepita nel nostro ordinamento con il d. lgs. 4 aprile 2006, n. 216), che è intervenuta a dare attuazione al Protocollo di Kyoto (ratificato in Italia con legge 1 giugno 2002, n. 120). La disciplina introdotta, che è stata da ultimo innovata dalla direttiva 2009/29/CE del 23 aprile 2009, in sostanza prevede un tetto massimo di emissione per gli operatori interessati, i quali sono autorizzati ad inquinare nei limiti di detto tetto. Chi riesce ad operare al di sotto dei limiti, acquista corrispondenti crediti di emissione; viceversa, chi supera il tetto, diviene debitore di titoli di emissione ed è pertanto obbligato ad acquistare ulteriori titoli dai soggetti creditori. Sul tema ci si limita qui a rinviare a B.POZZO (a cura di), Il nuovo sistema di emission trading comunitario. Dalla direttiva 2003/87 alle novità previste dalla direttiva 2009/29/CE, Milano, Giuffre, 2010.

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