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La rilevanza del principio di precauzione nella prospettiva privatistica Una volta puntualizzati i profili evolutivi del principio di precauzione e i suo

Responsabilità di impresa e tutela dell’ambiente

4.6. La rilevanza del principio di precauzione nella prospettiva privatistica Una volta puntualizzati i profili evolutivi del principio di precauzione e i suo

fondamenti normativi, oltre che teorici, l’interrogativo che occorre sciogliere è se, nell’ottica privatistica, l’approccio precauzionale si traduca - sulla base dei dati normativi vigenti - o si possa tradurre - in ragione delle premesse concettuali su cui si fonda - in soluzioni giuridiche innovative.

Si è chiarito come, sul piano del diritto pubblico e delle politiche di gestione dei rischi, sia fatto carico agli Stati e alle autorità pubbliche di adottare condotte impron- tate alla cautela e siano sanciti obblighi di intervento al fine di prevenire i danni, an- che in situazioni scientifiche incerte. Tuttavia, dalla cornice normativa, rappresentata dalle disposizioni del codice dell’ambiente alle quali si è fatto riferimento nei para- grafi precedenti, si ricava come il principio di precauzione si concretizzi, sotto il profilo pratico, anche in specifici obblighi gravanti su soggetti privati, gli “operatori economici”, ai quali è imposto, segnatamente, di informare le autorità pubbliche de- gli eventuali “pericoli, anche solo potenziali, per la salute umana e per l’ambiente”, che siano stati accertati sulla base di “una preliminare valutazione scientifica obiet-

tiva” (art. 301 cod. amb.), e di predisporre “le necessarie misure di prevenzione e di messa in sicurezza”, in caso di minaccia imminente di un danno ambientale (art. 304

cod. amb.).

Se ci si limita a queste indicazioni di diritto positivo, si potrebbe concludere nel senso di ridimensionare la portata innovativa del principio di precauzione, laddove si ritenesse che tale parametro in realtà stia a designare un concetto analogo a quello di “prudenza”, la cui assenza - è noto - integra gli estremi di una condotta colposa.179

Invero, occorre innanzitutto comprendere se la portata del principio si esaurisca nelle regole che lo contemplano o se, al contrario e come pare preferibile, anche do- ve non ne sia fatta espressa menzione, residui uno spazio in cui esso trova comunque applicazione. Dare al quesito una risposta piuttosto che un’altra influisce sulla pos- sibilità di configurare o meno una responsabilità dell’operatore solo quando viola specifiche prescrizioni normative di tipo “precauzionale” oppure anche quando non 179 Per queste considerazioni si veda C.CASTRONOVO,La natura del danno all’ambiente e i criteri di

imputazione della responsabilità, cit., pp. 127-129, il quale esclude che “nella responsabilità civile il principio di precauzione sia capace di risultati nuovi rispetto a quelli conseguibili mediante i criteri tra- dizionali di imputazione, e in particolare la colpa”. Sostiene l’autore che senz’altro la condotta omissiva dell’operatore economico, che non abbia adottato le misure di prevenzione e di messa in sicurezza, può essere posta a fondamento della sua responsabilità, “ma precisamente nei termini per cui, ai sensi dell’art. 2050 c.c., colui che esercita un’attività pericolosa risponde del danno per non aver «adottato tutte le misure idonee ad evitarlo»”(p. 129). Sul “carattere non del tutto innovativo” del principio di pre- cauzione, sotto il profilo della responsabilità civile, si vedano anche le considerazioni di F.TRIMARCHI, Principio di precauzione e «qualità» dell’azione amministrativa, in Riv. it. dir. pubbl. com, 2005, p. 1698 ss., il quale rileva come appaia “difficile conciliare la responsabilità che, come tale e per natura, deve corrispondere a situazioni di certezza, con l’indeterminatezza, l’imprecisione o non definitività di dati che è propria del principio di precauzione”, pur sottolineando come, già “in settori noti e significati- vi del nostro ordinamento”, sia possibile riscontrare la tendenza a collegare la responsabilità a fatti futuri o a deficienze previsionali dei rischi (il riferimento è, in particolare, alle norme di cui agli artt. 2087 c.c., 2050 c.c., 2051 c.c. e alle interpretazioni evolutive che hanno subito ad opera soprattutto della giurispru- denza).

sia prevista l’osservanza di una disciplina specifica o, se anche prevista, il suo ri- spetto non sia sufficiente ad escludere una colpa dell’operatore, che non si sia attiva- to ad adottare le ulteriori misure, più rigorose di quelle prescritte, che l’attività svol- ta richiedeva.

Parte della dottrina è dell’idea che dall’applicazione del principio di precauzione discenda la responsabilità dell’operatore per mancata predisposizione di misure di sicurezza di “contenimento” dei rischi, anche quando non sia prevista una normativa specifica che imponga l’adozione di particolari comportamenti in caso di esercizio di attività “pericolose”. Ne consegue - secondo alcuni - che il nuovo canone si por- rebbe a fondamento di “un règime de responsabilità sans faute”.180

Altro orientamento sottolinea come, in realtà, al principio di precauzione possa riconoscersi una sua autonoma valenza solo con riferimento alla fase precedente al verificarsi del danno; l’ambito applicativo specifico del principio in parola sarebbe, cioè, esclusivamente quello della tutela preventiva e inibitoria, che dà rilievo alla mancata adozione di misure idonee a prevenire i danni, anche se un danno non si è manifestato.181

Invero, se si riconosce alla precauzione cittadinanza fra i principi che regolano la materia della responsabilità civile, si potrebbero astrattamente ipotizzare ulteriori effetti del principio in questione, connessi alla dinamica eziologica del fatto illecito. Infatti, lo stato di incertezza che il principio postula in ordine all’eventualità che si verifichi il danno temuto può influire sul procedimento di riconduzione causale del danno (una volta riscontrato) a una determinata condotta o attività.182

Portando alle estreme conseguenze questo ragionamento, si potrebbe arrivare ad ipotizzare una responsabilità dell’operatore economico sulla base del solo rischio creato.183 Ciò consentirebbe di parametrare la responsabilità di coloro che concorro-

no nella causazione di un evento, ove non sia facile procedere all’accertamento dei concreti contributi di ciascuno, alla percentuale di rischio “immesso” ad ognuno a- scrivibile. Risulterebbe così facilitata l’individuazione di un responsabile (comunque sia), ogni qualvolta un medesimo fenomeno di inquinamento sia riconducibile a più fatti o condotte inquinanti e non esistano, nella pratica, prove sufficienti o indizi gravi e concordanti che la responsabilità sia imputabile solo a determinati soggetti.

180 Cfr. G.SCHAMPS,La mise en danger: un concept fondateur d’un principe gènèral de responsabilitè.

Analyse de droit comparè, Bruxelles-Paris, Bruylant-L.G.D.J, 1998, p. 958 e ivi ulteriori riferimenti bi- bliografici.

181 Di questo avviso E.DEL PRATO, op. cit., pp. 641-643 ss., il quale ritiene che il principio di precau- zione concorra a delineare “un’area dove si costruisce un illecito di pericolo pur in assenza di responsa- bilità” e che la sua operatività si risolva nell’inibire lo svolgimento di un’attività in assenza delle precau- zioni espressamente prescritte o di cui è comunque richiesta l’adozione, di talché “il divieto, quantunque radicale e definitivo, si commisura all’assenza di precauzione, ed è destinato ad operare in ragione di questa”.

182 F.MILLET, La notion de risque et ses fonctions en droit privè, Paris, 2001, p. 314, sottolinea come “la précaution va audelà de la probabilité: il s’agit de redoubler les mesures de protection à l’encontre de risques qui ne sont même pas probabilisables”.

183 Una soluzione di questo tipo è stata, peraltro, proposta da una parte della dottrina statunitense (cfr., oltre, nota 244).

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Ne deriverebbe un più ampio margine di realizzazione di una responsabilità collega- ta con le dimensioni del rischio, sebbene il presupposto di operatività sarebbe pur sempre la possibilità di calcolare i rischi, soluzione non praticabile a fronte di situa- zione di pura incertezza.184 L’introduzione del principio di precauzione potrebbe in-

durre a ritenere “pericolosa” un’attività ogni qualvolta la si possa considerare “po- tenzialmente dannosa”, senza che lo stato di pericolosità venga accertato sulla base statistica dei danni cagionati. Corollario di una tale impostazione potrebbe, quindi, essere una lettura diversa anche dell’art. 2050 c.c. e delle regole che informano la responsabilità di impresa per mancata adozione delle “misure idonee ad evitare il danno”.185

Invero, come è stato sottolineato in dottrina, non pare ragionevole ritenere che la precauzione possa implicare una deroga al principio causale. Una diversa conclusio- ne sarebbe in realtà frutto di un equivoco, poiché non verrebbe a difettare tanto il rapporto eziologico di causa ad effetto, ma la sua dimostrazione scientifica, nel sen- so che è l’onere della prova che si atteggerebbe diversamente.186

La certezza scientifica raramente può predicarsi, poiché è difficile asserire in modo incontrovertibile che un fenomeno si ripeterà e che sussiste un nesso causale inoppugnabile fra quel dato evento e un certo fatto o atto. Ci si deve muovere nell’ambito della probabilità e della verosimiglianza di un enunciato scientifico, alla stregua delle migliori conoscenze tecniche disponibili in un dato momento storico (situazione in qualche modo analoga a quella che, in ambito processuale, giustifica, una volta riscontrato il c.d. fumus boni iuris, l’adozione di provvedimenti di natura cautelare). Se così non fosse, si arriverebbe al paradossale risultato di arrestare il giudizio ogni qualvolta la questione abbia natura scientifica e in questo campo non siano ancora stati raggiunti dati inconfutabili.

La valutazione dell’interprete non può, quindi, prescindere dall’accertamento, nella fattispecie concreta, della sussistenza del nesso causale, anche se il suo giudi- zio si fonderà sull’analisi di ciò che, sulla base di determinate premesse, è ragione- volmente probabile si verifichi. La necessità di trovare un riscontro della causalità giuridica alla luce del concetto della precauzione pone al centro dell’indagine l’idea “del rischio prevenibile”.187 Tale concetto consentirebbe di ricostruire i doveri di

prevenzione nel senso di ricondurli alla capacità che uno dei soggetti presenti nella 184 Ciò a meno che non si ritenga che il richiamo al principio di precauzione si possa tradurre in vera e propria “regola di imputazione degli effetti di un rischio che l’attuale stato della conoscenza scientifica non è in grado di escludere” (cfr.F. SANTONASTASO, Principio di «precauzione» e responsabilità d’impresa, cit., p. 103). Al di là della drasticità e dell’iniquità delle conseguenze alle quali siffatta con- clusione potrebbe – almeno in alcuni casi - condurre (soprattutto per le incertezze interpretative alle qua- li darebbe adito), si consideri anche che, così facendo, verrebbero smentite le premesse su cui poggia quell’impostazione teorica, che trova il proprio esponente in Trimarchi, che ravvede l’utilità di sistemi di responsabilità non riconducibili al paradigma della colpa solo con riferimento a rischi calcolabili, in pre- senza dei quali soltanto sarebbe possibile esercitare, mediante le regole di responsabilità civile, una pres- sione economica sull’impresa.

185 Cfr.F.SANTONASTASO,Principio di «precauzione» e responsabilità d’impresa, cit., pp. 93-94. 186 Cfr. in questo senso M.ANTONIOLI, op. cit., pp. 55-56.

187 Sul punto si vedano le ampie riflessioni di U.IZZO, La precauzione nella responsabilità civile, cit., 2004, p. 238 ss.

storia potesse rappresentarsi il rischio e dovesse agire per contrastarlo. Ed, quindi, sotto questo profilo che vengono in considerazione le regole di condotta che gravano sugli operatori, come i doveri di informazione e di trasparenza e, in generale, gli ob- blighi connessi all’adeguatezza organizzativa.

Sul piano delle conseguenze giuridiche, sembra più opportuno ritenere che dall’applicazione del principio di precauzione possa discendere un’inversione dell’onere della prova, nel senso che sarà il produttore dell’ipotetico danno a dover dimostrare che i prodotti immessi sul mercato o le attività svolte non sono nocive per la salute o per l’ambiente.188

Milita a favore di questa impostazione anche il tenore della Comunicazione del- la Commissione Europea del 2 febbraio 2000, che ammette che dall’applicazione del principio precauzionale possa discendere un’inversione dell’onere probatorio. Il do- cumento, infatti, prevede che, in caso di assenza di una procedura di autorizzazione preventiva, “può spettare all’utilizzatore, persona privata, associazione di consuma-

tori o di cittadini o al potere pubblico di dimostrare la natura di un pericolo e il li- vello di rischio di un prodotto o di un procedimento” e che quindi “un’azione adot- tata in base al principio di precauzione può comportare in alcuni casi una clausola che preveda l’inversione dell’onere della prova sul produttore, il fabbricante o l’importatore”. Tuttavia - precisa anche la Commissione - “un tale obbligo non può essere sistematicamente previsto in quanto principio generale. Questa possibilità dovrebbe essere esaminata caso per caso”, così da concedere “ai soggetti che hanno un interesse economico nella produzione e/o nella commercializzazione del prodotto o del procedimento in questione, la possibilità di finanziare le ricerche scientifiche necessarie su base volontaria”.189

4.7. Il principio “chi inquina paga” e le funzioni delle regole di responsabilità

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