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Rischio di impresa e criteri di imputazione della responsabilità civile: verso un doppio binario?

Evoluzione tecnologica e rischio di impresa

2.2. Rischio di impresa e criteri di imputazione della responsabilità civile: verso un doppio binario?

Il particolare approccio dei teorici del rischio di impresa è venuto segnalandosi per il rigore concettuale e metodologico che accompagna la lettura del sistema della responsabilità civile in termini di distribuzione del rischio e per l’impiego di stru- menti di analisi di tipo economico.

Nel solco di questa riflessione dottrinale si colloca il tentativo di elaborare un modello bipolare della responsabilità civile, che vedrebbe contrapporsi la “responsa- bilità civile per atto illecito” alla “responsabilità oggettiva per rischio lecito”.62 La distinzione in parola si pone come corollario di un’impostazione critica che tende a risolvere il problema dell’area del danno risarcibile con riferimento alla funzione che la responsabilità è chiamata a svolgere. I due modelli, che coesisterebbero nel medesimo sistema, si fonderebbero su presupposti diversi e avrebbero ciascuno fina- lità precipue.

La dottrina ha chiarito che entrambi i regimi di responsabilità tendono alla rein- tegra del patrimonio del danneggiato, ma mentre la responsabilità per atto illecito svolge una funzione di repressione incondizionata dei singoli atti vietati e di tipo sanzionatorio - la cui minaccia contribuirebbe in via preventiva a scoraggiare il compimento di illeciti - la responsabilità oggettiva imputa al responsabile il costo di un rischio consentito e pertinente, più che a singoli atti, ad un’attività, di regola im- prenditoriale, che quello svolge.

Nel sistema così delineato due sono essenzialmente le funzioni che la responsa- bilità oggettiva svolgerebbe. Da un lato, come anche la responsabilità per illecito ex 2043 c.c., tenderebbe a reintegrare il patrimonio del danneggiato, dall’altro lato, sa- rebbe funzionalmente diretta a premere economicamente sul centro di organizzazio- ne del rischio. Per quanto riguarda la reintegra del patrimonio, essa incontra un limi- te invalicabile nell’arricchimento del soggetto leso, da intendersi sia nel senso che il danno risarcito non deve superare quello effettivamente patito, sia nel senso che il risarcimento non è dovuto se comunque il danneggiato sarebbe stato esposto a quel rischio.63 Sotto il secondo il profilo, altri limiti valgono a delimitare l’ambito appli-

cativo della responsabilità oggettiva. Infatti, risultano assoggettati a tale regime e- sclusivamente gli atti e le attività che comportano un rischio apprezzabile, in quanto solo in tali casi la responsabilità oggettiva può svolgere una funzione economico so- ciale utile, esercitando una “pressione economica” su chi organizza l’attività perico- 62 Cfr. P.TRIMARCHI, Causalità e danno, Milano, Giuffrè, 1967, p. 133 ss. Per una visione del sistema della responsabilità civile nel senso che esso non sia fondato sul criterio unitario della colpa si vedano, in passato, anche G.B.FERRI, In tema di tutela del consumatore, in N. Lipari (a cura di), Tecniche giu- ridiche e sviluppo della persona, Bari, Laterza, 1974, p. 283, il quale afferma che da un’attenta analisi della normativa codicistica emerge “l’esistenza di una pluralità di criteri di responsabilità (quello ad e- sempio della qualità del soggetto o della natura dell’attività ecc.) al posto della creduta univocità del criterio della colpa”. Fra le prime letture del sistema della colpa in chiave binaria si veda anche J.ESSER, Die Zweispurigkeit unseres Haftpflichtrechts, in Juristennzeit, 1953, p. 129.

63 Sui limiti della responsabilità oggettiva si veda sempre P. TRIMARCHI, op. ult. cit., p. 133 ss., il quale illustra le situazioni in presenza delle quali detti limiti operano.

losa, così da indurre ad una generale “razionalizzazione” della produzione e, quindi, dell’economia nel suo complesso (ad esempio mediante l’adozione di particolari mi- sure di sicurezza, la modifica del metodo di produzione, financo l’abolizione di un ramo di impresa o la cessazione dell’attività).

Secondo questa impostazione, la previsione di un regime di responsabilità og- gettiva avrebbe una sua utilità solo ove si manifesti un rischio costante e calcolabile afferente ad un’attività svolta in maniera continuativa e programmata, sulla quale effettivamente può essere esercitata una pressione economica e che, di regola, si i- dentifica con l’attività di impresa. Deve, al contrario, escludersi la sua operatività quando i danni sono pertinenti ad un rischio che non abbia un’entità apprezzabile, tale cioè da non tradursi in un effettivo costo per l’imprenditore e, quindi, rimasto incalcolato e, di conseguenza, non coperto da assicurazione o da autoassicurazione. Infatti, l’assicurazione presuppone che il rischio sia già stato previsto, poiché deve potersi valutare preventivamente, su basi statistiche, la frequenza e l’importo medio del danno causato dai sinistri. Allo stesso modo, alcuna pressione economica può essere esercitata rispetto a singoli eventi imprevedibili e atipici che non sono mani- festazione di un rischio costante, ma che determinano un danno occasionale non per- tinente ad un’attività programmata.

Questa impostazione rifugge, tuttavia, da una generalizza applicazione della re- sponsabilità oggettiva, fondata sul mero nesso di causalità, come alcuni giuristi an- che d’epoca più remota hanno caldeggiato.64 Infatti, la responsabilità oggettiva - si è

sottolineato - non è in grado di svolgere alcuna funzione di prevenzione se imputa i danni anche a colui che non può prevederli nella loro tipicità e quindi non potrebbe assicurarsi contro di essi. Solo chi ha la consapevolezza della probabilità che a fron- te dello svolgimento di una determinata attività o di una condotta seguirà un danno che sarà a lui imputabile, sarà condizionato e indotto a prevenire tale eventualità.65

Del resto, il bisogno di maggiore sicurezza per i singoli non può tradursi in un ina- sprimento generalizzato e indistinto della responsabilità del soggetto agente, la quale è giustificabile solo a fronte di un rischio esteso riconducile ad un’attività organizza- ta.

64 Cfr. sul principio di “responsabilità per causalità” G.VENEZIAN, op. cit., p. 46. ContraP.TRIMARCHI,

Rischio e responsabilità oggettiva, cit., p. 17, il quale sottolinea come un sistema di responsabilità fon- dato, in termini generalizzati, sul mero nesso di causalità sarebbe dannoso anche sotto il profilo dell’assicurabilità del rischio, poiché sostituirebbe all’assicurazione per danni l’assicurazione contro la responsabilità civile, così esponendo l’assicurato, che non è in grado di valutare il rischio a cui esposto e di conseguenza di adeguare ad esso l’ammontare della assicurazione, al pericolo di assicurarsi in eccesso o in difetto; inoltre l’assicuratore, dovendo risarcire ad un terzo e non al cliente, sarebbe meno sollecito e concederebbe un risarcimento in misura meno adeguata.

65 Al pensiero di Trimarchi si è ispirato anche Monateri (cfr.P.G.MONATERI, La responsabilità civile, Torino, Utet, 2006, in particolare p. 161) il quale condivide la ricostruzione del problema della causalità giuridica in materia di responsabilità civile in termini di scopo della norma violata. Partendo da questa impostazione, l’autore deduce che la responsabilità debba estendersi solo a quelle conseguenze che si intendono evitare imponendo quel particolare dovere extracontrattuale, così che il soggetto al quale il dovere è imposto possa prevenirle ex ante, mediante adeguata diligenza e investendo in sicurezza, con la precisazione che è appunto attraverso la repressione della colpa (intesa come mancata predisposizione di adeguate misure di sicurezza) che si attua la prevenzione generica degli incidenti (che costituisce appun- to lo scopo della responsabilità civile).

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In sintesi, la responsabilità oggettiva deve essere limitata al rischio tipico di im- presa, che l’imprenditore ha espressamente messo in conto e rispetto al quale si è premunito accantonando delle riserve o assicurandosi.66 Pertanto, un’attività che

presenta un rischio apprezzabile, ancorché lecito e sempre che non sia di entità tale da considerarsi tollerabile, sarà sottoposta ad un regime di responsabilità di tipo og- gettivo. Da tale assunto consegue che, di regola, la responsabilità oggettiva coprirà l’intero rischio pertinente ad una data attività. Ed è proprio sotto questo profilo che la responsabilità oggettiva per rischio lecito si distinguerebbe dall’altro modello di responsabilità per atto illecito. Ciò sarebbe particolarmente evidente nell’ipotesi in cui l’atto illecito consista nell’aver creato un rischio in misura superiore a quella consentita, ma risulti che l’evento dannoso si sarebbe verificato ugualmente in con- seguenza del rischio ammesso. Ebbene, in tale caso la responsabilità per atto illecito dovrebbe escludersi in quanto l’evento non consiste nella realizzazione del maggior rischio illecitamente creato; la responsabilità oggettiva, che comprende anche il ri- schio lecito, potrebbe, invece, operare.

Senza voler approfondire ulteriormente il discorso, può dirsi che nella teoria in parola si rinvengono argomentazioni che ancora oggi sono attuali, sebbene il ricorso ad “automatismi” paia semplificare una realtà ben più complessa (ma la cui com- plessità - se ne deve dare atto - è più evidente per il giurista di oggi). Ad ogni modo, deve riconoscersi come l’impostazione del sistema della responsabilità in chiave bi- naria, oltre a rappresentare un suggestivo tentativo e un apprezzabile sforzo di rico- struzione sistematica della responsabilità di impresa, abbia dato un contributo signi- ficativo al superamento di una ricostruzione unitaria della responsabilità civile anco- rata alla colpa e si segnali per la accresciuta attenzione per il fatto dannoso in sé considerato.67

66 Cfr. P. TRIMARCHI,op. ult. cit., p. 46 ss., p. 198 ss.

67 Un ruolo altrettanto fondamentale in questa direzione deve essere riconosciuto a Stefano Rodotà, il quale ritiene pregevole il tentativo di Trimarchi di dare un riconoscimento alla responsabilità oggettiva e quindi di chiarire la diversità dei presupposti che stanno a fondamento del criterio della colpa e del crite- rio del rischio, ma che, tuttavia, nell’affermare e ribadire l’esistenza di molteplici criteri di imputazione, da parte sua, sottolinea anche come la funzione giuridica che essi svolgono sia sostanzialmente unitaria. La medesima funzione che i diversi criteri di imputazione esplicano consisterebbe, infatti, nell’imputazione di “un evento determinato (fatto dannoso) non già ad una azione soggettiva (come ac- cadrebbe se il giudizio di responsabilità si esaurisse nel determinare il ciclo di causazione del fatto), ma ad un soggetto, sì che l’accertamento in fatto della colpa determina la nascita dell’obbligazione di risar- cimento allo stesso modo in cui la determina, ad esempio, l’accertamento della qualità di proprietario nell’ipotesi prevista dall’art. 2053 c.c.” (cfr.S.RODOTÀ, op. cit., p. 151). Secondo l’autore l’errore dal quale, in verità, occorre guardarsi è quello di ancorare il concetto di colpa ad uno stato di volontà, quan- do invece la situazione psicologica del soggetto rileva legislativamente solo in sede di imputabilità e per giudicare come colposo un fatto non si deve avere riguardo alla volontà, ma al comportamento del sog- getto, che - secondo la visione di Rodotà - può qualificarsi colposo se integra la violazione del limite della solidarietà, che opera come misura dell’agire umano. L’idea che nel nostro ordinamento sussista una pluralità di criteri di imputazione della responsabilità, di pari dignità rispetto a quello della “colpa”, è condivisa anche da C.SALVI, Responsabilità extracontrattuale (dir. vig.), cit., p. 1221 ss. e da L. BIGLIAZZI GERI-U.BRECCIA-F.D.BUSNELLI-U.NATOLI,Diritto civile, vol. III Obbligazioni e contratti, Torino, Giappichelli, 1989, p. 688 ss.; contra, P.FORCHIELLI, Responsabilità civile, cit., p. 78 ss., che ribadisce l’eccezionalità delle regole che prevedono una responsabilità senza colpa.

Ciò detto, non a torto, parte della dottrina, sul presupposto che i modelli teorici, soprattutto in materia di responsabilità, non si possano assumere come immutabili, ché anzi essi reclamano flessibilità e adattabilità, non sposa l’idea di un modello bi- nario fondato sui criteri d’imputazione della responsabilità per colpa e per rischio di impresa, ma concepisce la responsabilità, piuttosto, come “un aggregato di isole in cui ciascuna figura di illecito obbedisce a regole proprie”, senza che ciò valga a met- tere in discussione l’atipicità dell’illecito, consacrata nella clausola generale di in- giustizia del danno.68

2.3. Le funzioni di cui è investita la responsabilità civile con particolare riferi-

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