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Responsabilità di impresa e gestione del rischio

3.3. L’autodisciplina e la promozione di codici etic

Nella gestione interna dell’impresa un ruolo fondamentale occupano anche i si- stemi di autodisciplina, i cosiddetti “codici di condotta” o “codici etici”, che, da di- versi anni, hanno trovato cittadinanza nell’organizzazione imprenditoriale.121

La loro diffusione si lega alla consapevolezza, maturata nella società contempo- ranea, del ruolo e dell’influenza dell’impresa nel contesto sociale in cui opera. Tale influenza si manifesta non solo in termini di maggiore utilità e benessere per la so- cietà nel suo complesso, in quanto l’iniziativa imprenditoriale si pone come motore del progresso, ma anche con risvolti opposti, poiché l’attività esercitata è in grado di mettere a repentaglio beni fondamentali dell’uomo e dell’ambiente, o comunque può svolgersi in una situazione di sfruttamento “utilitaristico” dei soggetti, terzi o con- troparti, con i quali l’impresa venga in relazione.122

La percezione di questa situazione ha aperto la strada, sin dalla seconda metà del secolo scorso, all’affermazione di una dimensione etica nell’attività di impresa, pro- prio lì dove il “valore” del profitto sembrava fare da padrone.123

averse actor); assumersi pienamente il rischio (c.d. risk preferring actor); rimanere neutrali rispetto al rischio (risk neutral actor).

121 Piuttosto che di “organizzazione” sembra più appropriato parlare di “autoregolazione” da parte delle imprese del proprio agire.

122 Si legge nel Libro Verde, che la Commissione Europea ha emanato il 18 luglio 2001 (Libro verde.

Promuovere un quadro europeo per la responsabilità sociale delle imprese, COM(2001) 366), che il fenomeno della responsabilità sociale dell’impresa può essere descritto come “l’integrazione volontaria delle preoccupazioni sociali ed ecologiche delle imprese nelle loro operazioni commerciali e nei loro rapporti con le parti interessate” e che “essere socialmente responsabili significa non solo soddisfare pienamente gli obblighi giuridici applicabili, ma anche andare al di là investendo ‘di più’ nel capitale umano, nell’ambiente e nei rapporti con le altre parti interessate” in modo da “conciliare lo sviluppo sociale” con “una maggiore competitività” delle imprese (vd. par. 2.21).

123 C.ANGELICI, Responsabilità sociale dell’impresa, codici etici e autodisciplina, in Giur. comm., 2011, II, p. 159, rimarca la differenza, che non sarebbe meramente lessicale, fra “codici di autodiscipli- na” e “codici etici”: i primi, infatti, ineriscono più propriamente al problema dell’organizzazione dell’impresa, fungendo da criteri guida che consentono e mirano pur sempre a soddisfare interessi di natura economica; i codici etici hanno, invece, la pretesa di orientare il comportamento dell’imprenditore verso fini non economici, ma appunto più “etici”.

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Le regole di condotta vengono adottate spontaneamente al fine di dare conside- razione a quegli interessi e a quelle esigenze che possono entrare in conflitto con le attività economiche e con lo scopo squisitamente lucrativo che le caratterizza.Seb- bene non esistano univoci orientamenti sull’idoneità dei codici di disciplina a fonda- re autonomi profili di responsabilità, la loro diffusione testimonia la crescente sensi- bilità al tema della responsabilità sociale dell’impresa e all’etica.124 Spesso dietro

alla predisposizione “volontaria” e alla promozione di codici etici aziendali si celano interessi tutt’altro che “socialmente” orientati: le imprese sono consapevoli dell’importanza della propria “reputazione sociale”, in considerazione anche (e so- prattutto) delle maggiori prospettive di reddito che da essa possono discendere.125

Di converso, la mancata adozione di regole ethically correct è idonea ad attivare ini- ziative tese a boicottare i prodotti e i servizi che le imprese collocano e offrono sul mercato.126 Ne deriva una vera e propria “competizione” fra imprese, le quali si sot- topongono alle valutazioni di consorzi e di aziende che rilasciano certificati e marchi di qualità che attestano l’affidabilità e la sicurezza dei propri servizi e dei propri prodotti (come SA 8000, ISO 9001, ISO 14001).127 Fra i sistemi di autoregolamen-

tazione che si sono affermati nell’ultimo decennio si possono annoverare, ad esem- pio, le regole emanate dal Consorzio Patti Chiari, istituito nel 2003, che, nel settore 124 Alcuni autori sono propensi ad escludere che, in nome di regole volontarie “etiche”, sia prefigurabile una responsabilità degli amministratori, che abbiano compiuto scelte gestionali orientate al soddisfaci- mento degli interessi dei soci, nel rispetto delle “norme di legge” di tutela degli interessi esterni dell’impresa. Diversamente argomentando si dovrebbe ritenere che la causa del contratto di società non risieda esclusivamente nello scopo di lucro (sul punto cfr. F.DENOZZA, L’interesse della società e la responsabilità sociale dell’impresa, in Bancaria, 2005, 12, p. 22 ss. e S.ROSSI, Luci e ombre dei codici etici d’impresa, in Riv. dir. soc., 2008, 1, p. 26 ss.).

125 In estrema sintesi, l’affermazione di sistemi di autodisciplina da parte delle imprese è una conseguen- za di quel processo di “deregulation” che ha preso piede a fronte dell’incapacità del diritto statuale di regolare tutti i fenomeni economici e sociali della complessa realtà contemporanea; il ricorso all’etica per colmare le carenze normative, invece, trae la propria ragione nella necessità di predisporre dei codici sulla base di valori condivisi, ispirati a principi di libertà e uguaglianza morale fra individui, in grado di poter contemperare interessi di diversa natura, senza che sia la logica dei rapporti di forza a dominare. 126 Un esempio per tutti ci è offerto dalla vicenda che ha interessato la Nike, contro cui si sono levate le denunce di organizzazioni e associazioni per lo sfruttamento di manodopera minorile nel sud-est asiati- co, che hanno costretto la multinazionale ad adeguare i suoi metodi di produzione, aprendosi ai controlli internazionali sui diritti dei lavoratori dell’International Labour Organization. Ritiene che la “sanzione reputazionale e i meccanismi di mercato” non costituiscano sempre un adeguato deterrente, “sia per l’incerta osservabilità dei comportamenti immorali, sia per il noto rischio di fallimento delle dinamiche di mercato, dovuto alle asimmetrie informative e ai costi di transazione”,S.ROSSI, Luci e ombre dei codici etici d’impresa, cit., p. 33. Scettico si mostra pure D.GALLETTI,Corporate governance e respon- sabilità sociale d’impresa,in Scritti in onore di V. Buonocore, Milano, Giuffrè, 2005, p. 2621 ss. e p. 2633 ss. Si veda infine S.SCIARELLI,Etica e responsabilità sociale nell’impresa, Milano, Giuffrè, 2007,

p. 246 ss., il quale evidenzia come spesso, nella realtà imprenditoriale italiana, i codici etici non preve- dano adeguate procedure di controllo e meccanismi sanzionatori, finendo per costituire “un mero elenco di buoni propositi, la cui applicazione è demandata al buon senso dei destinatari”.

127 Cfr., sul punto e per un’esaustiva analisi sui codici etici, G.CONTE,Codici etici e attività d’impresa

nel nuovo spazio globale di mercato, in Contr. impr., 2006, 1, p. 108 ss. e ID., La disciplina dell'attività di impresa tra diritto, etica ed economia, in G. Conte (a cura di), La responsabilità sociale dell'impresa, Bari-Roma, Laterza, 2008, p. 3 ss. Si consideri che perfino in alcuni mercati finanziari sono andati af- fermandosi rating di tipo etico, come l’FTSE4Good nella Borsa di Londra o il Dow Jones Sustainability World Index nella Borsa di New York.

bancario, intendono favorire una migliore qualità ed efficienza del mercato e miglio- rare le relazioni banca-cliente.

Talvolta l’elaborazione di codici e standard comportamentali sono frutto dell’iniziativa di organizzazioni o associazioni di imprese o di organizzazioni inter- nazionali non governative (si pensi ad Amnesty International). Anche organismi in- ternazionali come l’OCSE, il Fondo Monetario Internazionale o l’ILO (International

Labour Organization) si fanno promotori di comportamenti virtuosi da parte delle

imprese.128

La predisposizione di codici di autodisciplina sembra orientata al soddisfaci- mento di esigenze diverse: nei paesi avanzati dotati di una legislazione, al rafforza- mento dei principi di correttezza e di buona fede; nei paesi sottosviluppati, a supplire alle carenze del sistema di regolamentazione normativa, in alcuni casi del tutto as- sente.129

Senza voler trattare in questa sede tutti gli aspetti e le diverse teorie ed imposta- zioni, germinate in America a partire dagli anni '30 e '60 del Novecento, che caratte- rizzano la riflessione sulla “responsabilità sociale di impresa” - il cui riconoscimento sul piano del “diritto positivo” è avvenuto, nell’ordinamento italiano, con l’emanazione del d. Lgs. 24 marzo 2006, n. 155 - e dell’approccio c.d. multistake-

holder, che quel modello propone, merita accennare alle tecniche di regolazione de-

gli “interessi sociali” o “etici” e cioè al contenuto dei codici di condotta.130 Questi

documenti sono strutturati in più parti: ad una prima parte in cui vengono proclamati principi generali come quelli della correttezza, della trasparenza, della collaborazio- ne e della lealtà nei confronti degli stakeholder e del rispetto della salute, dell’ambiente e dei lavoratori, seguono disposizioni talora più analitiche, che pre- scrivono specifici comportamenti che i destinatari del codice devono tenere, anche al fine di prevenire il compimento di reati.131 A queste norme seguono, di regola, di-

128 Fra i progetti che mirano a promuovere una responsabilità sociale si colloca anche il Global Compact delle Nazioni Unite, annunciato nel 1999 dall’allora Segretario generale Kofi Annan in occasione del World Economic Forum di Davos e divenuto operativo nel 2000.

129 Cfr. S.ROSSI, Luci e ombre dei codici etici d’impresa, cit., pp. 25-26.

130Come è noto, convenzionalmente si ritiene che il concetto di “Corporate Social Responsibility” sia stato per la prima volta delineato, nelle sue fondamenta etiche, nel testo di H. BOWEN, Social Responsi- bilities of the Businessman, New York, Harper and Row, 1953. All’opera di Bowen ha fatto seguito una vasta letteratura sul tema; fra i molti contributi cfr.:nella letteratura straniera, R.E.FREEMAN, Strategic

management: a Stakeholder approach, Boston, Pitman, 1984; K.DAVIS, The case For and Against bu- siness assumption of social responsibilities, in Academy of Management Journal, 1973, 16, p. 312 ss.; nella letteratura italiana, E.D’ORAZIO,Codici etici, cultura e responsabilità d’impresa, in Notizie di politeia, 2003, n. 72, p. 127 ss. e ID., L’etica degli affari in Italia: dalla riflessione teorica agli sviluppi recenti nella istituzionalizzazione dell’etica nelle imprese, in Politeia, LXVI, 2002, p. 112; L.SACCONI,

Etica degli affari. Individui, imprese e mercati nella prospettiva dell’etica razionale, Milano, Il Saggia- tore, 1991. Per una disamina delle ragioni di ordine economico, sociale e culturale che si collocano a fondamento dell’ampia diffusione dei codici etici si rimanda ancora una volta a G.CONTE,Codici etici e

attività d’impresa nel nuovo spazio globale di mercato, cit., p. 108 ss.

131 Parte della dottrina sottolinea come, in riferimento alle regole contenute nei codici etici, si pongano problemi sia di legittimità, nel senso di compatibilità delle regole del codice etico con i principi vigenti nell’ordinamento in cui è adottato, sia di effettività, nel senso di idoneità della regola ad essere effetti- vamente osservata dai suoi destinatari: cfr. S.ROSSI, Luci e ombre dei codici etici d’impresa, cit., p. 26 ss. In particolare, l’autore rileva come l’impegno che un’impresa, mediante la predisposizione di un co-

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sposizioni che indicano le sanzioni interne applicabili in caso di violazione del codi- ce etico, nonché disposizioni che prevedono modalità di aggiornamento e meccani- smi di controllo dell’osservanza del codice etico, di solito affidati ad un organo di vigilanza.132

La tendenza a darsi regole di comportamento ha trovato espresso riconoscimen- to anche a livello normativo. Un particolare impulso all’adozione di codici di com- portamento - come si è visto - è dato dalla disciplina contenuta nel d. Lgs. n. 231 del 2001, che ha riconosciuto un ruolo fondamentale ai codici etici, che siano elaborati dalle associazioni imprenditoriali di categoria, al fine di prevenire il compimento di reati. Ulteriore dato normativo che valorizza la funzione dei codici di condotta nell’ambito dell’attività di impresa è costituito dal d. Lgs. 2 agosto 2007, n. 146 (at- tuativo della Direttiva 29/2005/CE), che, all’art. 21, secondo comma, lett. b), preve- de che il mancato adempimento degli impegni sanciti nel codice di condotta è su- scettibile di integrare gli estremi della pratica commerciale sleale, ove “si tratti di un

impegno fermo e verificabile” e se “il professionista indichi in una pratica commer- ciale che è vincolato dal codice”.133

3.4. L’importanza della gestione del rischio ambientale nell’attività di impresa

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