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Segue: gli oneri imposti all’imprenditore in situazioni di incertezza scienti fica e tecnica

Evoluzione tecnologica e rischio di impresa

2.7. Segue: gli oneri imposti all’imprenditore in situazioni di incertezza scienti fica e tecnica

Il dato empirico dal quale muovono le discipline ora evocate è la possibilità che, in una data fase storica, le scienze positive non siano in grado di fornire risposte a- deguate ad alcuni quesiti. Ne discende il problema di regolare le ipotesi in cui un certo enunciato non si pone come certo o inconfutabile, ma rimane in condizione di essere smentito.

Il comune denominatore delle norme richiamate nel precedente paragrafo è la previsione di un regime di responsabilità che si discosta dalla disciplina di diritto comune. Un’attenta analisi delle singole discipline non facilita, tuttavia, una loro ri- conduzione a forme di responsabilità oggettiva. Infatti, la previsione di specifiche regole di comportamento per l’imprenditore, in ultima analisi, consentono a quest’ultimo di liberarsi dalla responsabilità per i danni subiti da terzi, sol che soddi- sfi l’onere di provare di aver tenuto la condotta che le specifiche regole, giuridiche e tecniche, gli impongono, nonché - deve ritenersi - di avere rispettato comunque le norme di “normale diligenza”. Ciò che verrebbe, quindi, in considerazione sarebbe la colpa “oggettiva” dell’esercente l’attività, intesa come “scarto della condotta da un modello ideale di riferimento”.101 Una volta raggiunta la prova della conformità

100 In materia infortunistica, tra l’altro, norma di chiusura deve considerarsi l’art. 2087 c.c., il quale, co- me ha messo in rilievo la giurisprudenza in più occasioni, “impone al datore di lavoro, anche dove fac- cia difetto una specifica misura preventiva, di adottare comunque le misure generiche di prudenza e diligenza, nonché tutte le cautele necessarie, secondo le norme tecniche e di esperienza, a tutelare l’integrità fisica del lavoratore” (in questi termini si esprime Cass., sez. lav., 8 ottobre 2007, n. 21014, in Danno resp., 2008, 7, pp. 779-781 con nota di F.MALZANI, La natura e la prova del danno da perdi- ta di chance; dello stesso tenore Cass., 23 maggio 2003, in Giust. civ. Mass., 2003, p. 5). A detta di parte della dottrina la norma sarebbe “sufficientemente elastica da valorizzare in chiave contrattuale le disci- pline giuridiche di natura pubblicistica, senza però per questo essere priva di una propria autonoma effi- cacia precettiva” (così si esprime M.FRANCO, Diritto alla salute e responsabilità civile del datore di lavoro, Milano, FrancoAngeli, 1995, p. 88, il quale sottolinea come occorra un costante adeguamento delle misure che il datore deve prendere con le condizioni dettate dalla migliore scienza ed esperienza; sul punto cfr. anche Cass., 30 luglio 2003, n. 11704, in Mass. Giur. lav., 2004, p. 74 ss.). Sul superamen- to delle teorie relative alla rilevanza pubblicistica dell’obbligo di sicurezza si veda la ricostruzione ope- rata da G.NATULLO, Principi generali della prevenzione e “confini” dell’obbligo di sicurezza, in M. Rusciano-G. Natullo (a cura di), Ambiente e sicurezza del lavoro, Torino, Utet, 2007, p. 79 ss.

101 Da questa accezione di colpa si distingue quella “soggettiva”, che viene riportata alla dimensione psicologica dell’agente e che fa riferimento alla consapevolezza della portata dannosa e del carattere

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della propria condotta al modello prescritto, l’imprenditore non potrà considerarsi responsabile per tutti i danni comunque arrecati a terzi.

Ciò chiarito, è facile cadere nell’equivoco che sia agevole per l’imprenditore “discolparsi”. In realtà, l’onere gravante sul soggetto è particolarmente complesso: è, infatti, tenuto ad acquisire il massimo delle conoscenze di natura tecnico- scientifica connesse al settore in cui opera e, quindi, ad adottare le misure astratta- mente idonee a prevenire il danno. Le norme che impongono all’imprenditore parti- colari responsabilità quando non orienti le sue scelte sulla base del migliore stato della tecnologia e della scienza non vanno solo nella direzione di responsabilizzare l’impresa, che può creare un rischio rilevante, rispetto alle conseguenze del proprio agire, ma sono orientate ad accrescere il livello di prevenzione dei danni, ancor più quando gli interessi in giuoco, potenzialmente in grado di essere compromessi, sono pubblici o costituzionalmente rilevanti, come la salute, la sicurezza, l’ambiente. Allorchè rimanga comunque dibattuta l’idoneità di un’attività a produrre effetti no- civi per la collettività e per l’ecosistema, deve ritenersi che non sia sufficiente la sussistenza di un qualsiasi dubbio perché una particolare scelta di impresa rimanga vietata, “essendo a tal fine necessario un certo grado di effettiva incertezza in ordine alla questione scientifica o tecnologica controversa”.102

La soluzione che il legislatore pare indicare, in siffatte ipotesi, è nel senso che: a) l’impresa può esercitare l’attività rischiosa anche se non esistono misure

idonee a ridurre il rischio a livello zero e, quindi, anche quando un certo rischio risulti ineliminabile;

b) l’esercente l’attività, anche quando rimane dubbia l’idoneità dell’attività a produrre effetti nocivi, è tenuto ad adeguare il proprio assetto organiz- zativo e a predisporre le misure più adeguate a prevenire il rischio in base alle conoscenze della migliore scienza e tecnica del momento storico di riferimento, pena la sua responsabilità;

c) se esistono misure idonee a prevenire i maggiori rischi che un’attività comporta, ma la loro adozione richiede spese sproporzionate o gravi ral- lentamenti nel processo produttivo, l’esercizio dell’attività che comporta il rischio o la mancata adozione di quelle misure tendenzialmente non co- stituisce un illecito sanzionabile.103

Se tali principi possono essere ragionevolmente enucleati dalle norme illustrate in precedenza, e se ne può prudentemente ipotizzare una più generalizzata applica- zione, rimangono pur sempre ampi margini di indeterminatezza, già evidenti nelle fattispecie regolamentate. La disciplina legislativa, ove presente, è formulata in ter- antigiuridico dei propri atti. Cfr. P.G.MONATERI,La responsabilità civile, cit., p. 30, il quale evidenzia

come “lo schema tradizionale della colpa soggettiva fa evidentemente riferimento ad un modello della responsabilità civile come rimprovero verso la condotta dell’agente: un rimprovero che giustifica una sanzione”, mentre “Lo schema della colpa oggettiva in riferimento all’uomo medio evoca (…) il modello della responsabilità civile come strumento generale per la prevenzione degli incidenti” (pp. 38-39). 102 In questi termini si esprime R.COSTI, op. cit., pp. 54-55.

103 Già P. TRIMARCHI, Causalità e responsabilità oggettiva, cit., p. 135, arrivava a conclusioni analoghe, sottolineando come tale soluzione sia la più idonea ad assicurare l’utilità sociale, sempre che le attività in questione abbiano una loro utilità e ammesso che la probabilità di verificazione del danno sia suffi- cientemente scarsa. Si veda, però, la precisazione di cui alla nt. 98.

mini generici e trova applicazione in settori dominati ancora da incertezza scientifi- ca; ciò non facilita le scelte che l’impresa è tenuta a operare nella gestione dei rischi e lascia ampio margine alle “valutazioni costruttive” del giudice. All’organo giudi- cante, infatti, è implicitamente richiesto di acquisire la comprensione dei vari aspetti scientifici della materia su cui deve decidere, nonché di scegliere la scienza alla qua- le dare credito (con tutte le conseguenze che ne possono discendere in punto di valu- tazione della sussistenza del nesso causale).104 Inoltre, le decisioni adottate sulla ba-

se dello stato delle conoscenze scientifiche, nel preciso momento in cui la decisione viene presa, sono naturalmente destinate a modificarsi, poiché richiedono un costan- te aggiornamento e adeguamento in ragione del progressivo avanzamento della scienza.

Questa breve analisi ci sospinge verso considerazioni di più ampio respiro. L’incertezza degli assiomi scientifici di riferimento s’irradia oltre il circoscritto am- bito delle normative legislative prese in considerazione fino a investire i comuni e basilari concetti giuridici dell’illecito civile.

Al riguardo sia sufficiente prendere in considerazione la nozione di “caso fortui- to”, quell’accadimento imprevedibile e inevitabile, di per sé sufficiente a produrre l’evento, che esclude la responsabilità del soggetto agente, anche in quelle ipotesi tradizionalmente annoverate fra le fattispecie di responsabilità oggettiva. Ebbene, è evidente che, in situazioni di c.d. “ignoto tecnologico”, il concetto è largamente in- determinato sotto il triplice profilo dell’identificazione di ciò che debba ritenersi im- prevedibile, cosa improbabile, ma soprattutto in base a quali conoscenze. Il proble- ma si pone in termini analoghi in sede di accertamento della “colpa” del soggetto agente, che presuppone la verifica della “prevedibilità” e “evitabilità” dell’evento.

Il tema sinora affrontato induce inoltre ad interrogarsi su come (e se) possa esse- re elaborata una “responsabilità per rischio”, ovverosia se questa possa operare solo quando il rischio creato è vietato oppure anche quando il rischio è permesso, allor- ché comunque dall’attività consentita discendono dei danni, con tutte le implicazioni che la scelta per l’una o per l’altra opzione può avere sui modelli di responsabilità da adottare. Infatti, nell’ipotesi in cui sussistano precise regole di condotta, l’imprenditore è considerato responsabile quando omette il comportamento dovuto o compie l’azione vietata. Ne deriva che la condotta non conforme al canone stabilito genera una responsabilità più facilmente qualificabile in termini di “colpa”.105

104 Cfr. Cass., 21 gennaio 1998, n. 530, in Mass. Giust. Civ., 1998, p. 119, che, con riferimento ad una vicenda medica, ha ribadito l’importanza dell’utilizzo processuale di “nozioni correnti della scienza”, la cui “fonte va indicata”. Significativa, al riguardo, è la celebre sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti, in cui sono stati fissati alcuni canoni che devono presiedere alla decisione del giudice, quando sia chiamato a scegliere il sapere scientifico a cui dare credito (Daubert v. Merrell Dow Pharmaceuticals Inc., 509 U.S., 1993, p. 579 ss., trad. it. in Riv. dir. proc. civ., 1996, p. 277 ss., con nota di A.DONDI, Paradigmi processuali ed «expert witness testimony» nel diritto statunitense, ibidem, p. 261 ss.). La Corte americana individua i seguenti parametri-guida: la controllabilità e la falsificabilità delle teorie scientifiche (testability); la loro pubblicazione su riviste scientifiche (publication); la loro sottoposizione al vaglio della comunità scientifica (peer review) e la loro diffusa accettazione (general acceptance); la percentuale di errore conosciuta o comunque potenziale connessa ad esse (rate of error).

105 Si potrebbe, tuttavia, obiettare che occorre distinguere fra mancata adozione di certe misure, che co- stituisce un fatto pur sempre oggettivo, e imputabilità soggettiva della negligenza, requisito ulteriore che

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Di regola, si realizzerà un’inversione dell’onere della prova, a danno dell’imprenditore, il quale sarà tenuto a dimostrare di avere acquisito il massimo di conoscenza in relazione alle questioni scientifiche e tecnologiche che riguardano la propria attività e di avere conseguentemente adeguato l’organizzazione dell’impresa. Viceversa, prevedere una responsabilità per tutti i danni comunque collegati ad un rischio permesso vorrebbe dire imputare tali danni all’agente per il solo fatto che ha creato il rischio o comunque in base alla sola circostanza che essi sono eziologica- mente connessi all’attività svolta; si verserebbe cioè nel campo della distribuzione del rischio incolpevole o del rischio di impresa “puro”.

Dal quadro tratteggiato si può trarre una conclusione: in situazioni di ignoto tec- nologico si impongono precise scelte, di natura primariamente “politica”, riguardo al margine di rischio accettabile, cioè al rischio che, sulla base dello stato della tecno- logia e della scienza - le migliori e le più aggiornate del momento storico di riferi- mento - risulta tollerabile dalla collettività.

Come si vedrà più ampiamente nel prosieguo, è proprio in un tale contesto che si inserisce il principio di precauzione, chiamato a orientare le scelte di politica am- bientale (e non solo) allorché non sia dimostrabile con certezza il legame fra deter- minate emissioni o attività e i loro effetti nocivi.

la colpa richiederebbe. In questo senso cfr. P. TRIMARCHI, Responsabilità civile cit., p. 278, il quale o- pera questo distinguo con riferimento all’art. 2050 c.c. Trimarchi, come sappiamo, risolve il problema ora delineato nel senso di prevedere un regime di responsabilità oggettiva per l’impresa che cagiona danni a prescindere dal fatto che il rischio che discende dall’attività esercitata sia illecito, poiché ciò rientrerebbe nel rischio di impresa che è connaturato alle attività economiche organizzate.

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