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Responsabilità di impresa e tutela dell’ambiente

4.5. Rischio, precauzione e azione preventiva

Da quanto sinora esposto sembrano chiariti i presupposti in presenza dei quali opera il principio di precauzione: la possibilità che condotte umane possano deter- minare dei danni in situazioni di pericolo e la mancanza di evidenza scientifica in relazione ai rischi connessi ad una certa attività e quindi relativamente alla verifica- zione dello stesso danno temuto. Quindi, combinando i presupposti nei quali si arti- cola, il principio di precauzione può complessivamente intendersi come quell’insieme di regole che mirano ad evitare, o quanto meno a ridurre, un possibile danno futuro legato a rischi che non sono integralmente accertabili.

168 Come si era anticipato nel precedente paragrafo il contenuto dell’art. 301 cod. amb. italiano si ispira chiaramente a questi principi.

169 Si è già dato conto di come, nell’ordinamento italiano, in situazioni di incertezza tecnico-scientifica o di c.d. “rischio da sviluppo”, il legislatore sia spesso intervenuto a sancire l’inversione dell’onere proba- torio a carico del produttore, dell’imprenditore, del datore di lavoro.

Per intendere meglio quanto stiamo ora dicendo, può rendersi utile introdurre la distinzione fra “rischio ipotetico” e “rischio certo”, che facilita la comprensione di due concetti, “prevenzione” e “precauzione”, frequentemente richiamati nella nor- mativa internazionale e comunitaria (si veda, innanzitutto, l’art. 174, secondo com- ma, Trattato CE, ora art. 191 TFUE, che li pone a fondamento dell’azione ambienta- le), come in quella nazionale (si veda il citato art. 3-ter cod. amb.).170

Per quanto i due concetti possano sembrare, prima facie, assimilabili e quindi interscambiabili, il discrimine, almeno da un punto di vista teorico-concettuale, è netto.171 Mentre la prevenzione opera in confronto di pericoli oggettivi, identificati e

dimostrati, la precauzione presuppone e agisce in confronto di possibili danni futuri legati a rischi la cui entità non è accertabile scientificamente.172

Entrambi i principi sottendono una comune ratio, ossia esprimono la necessità di non posporre la tutela ambientale al verificarsi di eventi dannosi, esclusivamente nell’ottica della gestione del costo del reintegro. Tuttavia, mentre la politica di pre- venzione prevede l’utilizzo di mezzi finalizzati alla rimozione di un rischio scientifi- camente dimostrato e accertato, la politica che si fonda sul principio di precauzione supera questa logica e si prefigge di fornire elementi per un intervento di base quan- do la scienza non è in grado di dare risposte certe sui rischi inaccettabili per la col- lettività. La sua finalità è, cioè, quella di gestire nel modo più adeguato i rischi, an- cora “ipotetici” o “potenziali”, per ridurre la possibilità che i danni si possano verifi- care. In altri termini ancora, la certezza scientifica in ordine ai pericoli connessi ad una data attività costituisce il presupposto della prevenzione, l’incertezza scientifica il fondamento della precauzione. L’approccio che quest’ultimo principio sottende è quello di adottare, in caso di giudizi scientifici contrastanti, “un comportamento ispi- rato alla prudenza, schierato «dalla parte dell’opinione scientifica più cauta, privile- giando la sicurezza rispetto al rischio»”.173 Tuttavia, come hanno messo in luce i

giudici comunitari, una decisione precauzionale presuppone pur sempre un “ri- schio”, vale a dire una probabilità che si producano effetti negativi, non essendo suf- ficiente il solo “pericolo”, da intendersi come mera “possibilità” che tali effetti si realizzino.174

Quanto ora chiarito suscita alcune considerazioni.

170 In realtà, il concetto di rischio, per definizione, implica sempre l’incertezza del danno. Sarebbe, quin- di, più appropriato parlare di maggiore o minor rischio (a seconda della probabilità di verificazione dell’evento, e quindi in base al grado di incertezza del danno, o in ragione dell’entità delle conseguenze dell’evento dannoso) o fra pericolo dagli effetti conosciuti e rischio potenziale, distinzione quest’ultima presente in ordinamenti come quello tedesco (ove è pacifica la differenza, rispettivamente, fra Gefhar e Risiko).

171 Parte della dottrina, tuttavia, ritiene che il principio di precauzione non aggiunga niente al principio di prevenzione: cfr., in questo senso, L.KRAMER, Manuale di diritto comunitario per l’ambiente, Mila- no, Giuffrè, 2002, p. 83 e P.DELL’ANNO, Principi del diritto ambientale europeo e nazionale, Milano,

Giuffrè, 2004, p. 90.

172 N.DE SADELEER, op. cit., in particolare pp. 74-75, 89-90, 117 ss. e 156 ss.

173 F.SANTONASTASO,Principio di «precauzione» e responsabilità d’impresa, cit., p. 97.

174 Sulla distinzione fra “rischio-probabilità” e “pericolo-possibilità” si vedano: Trib. CE, 11 settembre 2002, T-13/99, Pfizer Animal Health SA/Consiglio in Racc., 2002, II-3305 e Trib. CE, 11 settembre 2002, T-70/99, Alpharma/Consiglio.

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Sebbene sia un’idea ovvia e generalmente condivisibile quella che è sottesa al concetto di ”better safe than sorry”, le implicazioni che ne discendono non sono al- trettanto scontate, nella misura in cui si pone la necessità di valutare una determinata situazione in via preventiva, sulla base di parametri incerti e con la possibilità che altri fattori possano incidere in maniera determinante sul processo decisionale pro- pedeutico alla scelta se compiere o meno una data attività e, eventualmente, con quali modalità. Ed, infatti, da una parte, in situazioni di rischio, sulle scelte compor- tamentali umane possono influire sia la convinzione di ciascuno che il pericolo non si verificherà o comunque che, se anche si verificasse, potrebbe essere dominato, sia la carenza di informazioni adeguate in ordine ai pericoli che una data attività potreb- be comportare (in particolare in ordine alla loro entità e alle probabilità che si verifi- chino dei danni). Dall’altra parte, è plausibile che, di fronte alla prospettiva di van- taggi sperati (economici, di autonomia sul piano energetico, etc.), a livello individu- ale o anche collettivo, si preferisca comunque intraprendere un’attività, pur con tutti i rischi ad essa connessi. Per arginare questi rischi sono imprescindibili una corretta politica di incentivi e la promozione di procedure di informazione.175 Ne consegue

che “l’amministrazione di rischio è anche necessariamente amministrazione della comunicazione”.176

La diffusione di canali di ricerca e di strumenti di informazione e di comunica- zione consente di accorciare la distanza fra rischio “percepito” e rischio “misurabi- le”. Il primo dipende da una serie di variabili che coinvolgono i singoli o, più facil- mente, la comunità in cui il rischio è destinato ad essere percepito.177 Ad esempio,

un determinato rischio può essere maggiormente percepito da una comunità che, nel recente passato, sia stata colpita dal fenomeno temuto (così, per esempio, in caso di rischio sismico) e la reazione può essere condizionata dall’effetto devastante, gene- ralizzato o selettivo, che si associa all’evento. Ciò pare confermato dalla circostanza che, nel tempo, in correlazione allo sviluppo tecnologico e all’inizio di nuove attività di impresa, sono emersi “nuovi rischi”, neppure presi in considerazione prima della 175 Sugli effetti che la valorizzazione di canali di informazione può esplicare sul comportamento delle imprese e sull’importanza degli “information remedies” come “regulatory mechanisms“ cfr. S.KONAR-

M.A.COHEN,Information as regulation: The effect of Community Right to Know Laws on Toxic Emis- sions, in Journal of Environmental Economics and Management, 32, 1997, p. 109 ss., i quali sostengono che “If consumers, community groups, or investors care about a firm’s emissions, providing more firm- specific environmental information may cause consumers to adjust their purchase decisions, community groups to pressure firms to reduce pollution beyond that required by federal laws, or investors to change their portfolios”. Gli autori ritengono che “Thus, mandatory disclosure requirements might be viewed as a form of "market-based incentive" for firms to change their behaviour”, con la precisazione che “This will only work, however, if the "public" cares enough about the information being released to "punish" firms that are bad actors”.

176 Di questo avviso è, fra gli altri, F.DE LEONARDIS, Il principio di precauzione nell’amministrazione

del rischio, cit., p. 201, il quale sostiene che “i normali meccanismi democratici si potrebbe dire che esi- gano, in materie caratterizzate da incertezza, un intervento del potere pubblico al fine di diffondere il sapere in modo tale che la condivisione del rischio sia il più possibile ampia”.

177 Come ha sottolineato l’analisi sociologica, la “percezione” del rischio, alla quale è profondamente legata la propensione di una certa comunità ad accettare i costi delle attività di prevenzione, rappresenta un costrutto culturale di una società; cfr. D.LUPTON, Il rischio: percezione, simboli, culture, Bologna, Il Mulino, 2003.

loro verificazione (si pensi ai rischi elettronici prima degli anni '50 del secolo scorso o anche ai rischi nucleari, che si sono manifestati in tutta la loro gravità a partire da noti e devastanti incidenti, primo fra tutti quello che interessò la centrale nucleare di Cernobyl il 26 aprile 1986).

Il rischio “percepito”, che - come si è detto - si pone in stretta relazione, oltre che con variabili dipendenti dalle reazioni soggettive dei singoli (come le attitudini individuali al rispetto dell’ambiente), al contesto socio-culturale di riferimento, non coincide necessariamente con il rischio “misurabile”.178 Quest’ultimo è quello che

viene valutato sulla base di considerazioni oggettive, mediante strumenti di indagine scientifica. La sua determinazione è propedeutica alla programmazione di più effi- caci ed efficienti (anche dal punto di vista dei costi sociali ed economici) politiche di prevenzione.

L’entità del rischio dovrà chiaramente valutarsi non solo sotto il profilo quanti- tativo, ossia delle probabilità che il danno si verifichi in concreto, bensì anche dal punto di vista qualitativo, a seconda cioè dell’impatto che il fenomeno pregiudizie- vole può avere (che sarà tanto maggiore quanto minore è la possibilità di ripristino e di riparazione della situazione lesa o quanto più elevati sono i costi economici per contenere i danni) e in ragione delle particolari situazioni giuridiche soggettive e collettive che la situazione di pericolo è in grado di pregiudicare (che sono conside- rate come costi sociali).

L’eliminazione completa dei rischi è, a dir poco, utopistica; ciò che si deve ave- re di mira è la riduzione dei molteplici pericoli, individuali e collettivi. Tale scopo impone la necessità di un’attenta analisi sia dei costi e dei benefici di una data attivi- tà o di un dato comportamento, sia del rischio agli stessi connesso, così da consenti- re l’applicazione di misure di cautela che siano ad esso proporzionate.

La distinzione fra rischio “certo” e rischio “ipotetico” (nei termini chiariti pre- cedentemente) e il riconoscimento, per mezzo del principio di precauzione, della ri- levanza anche del secondo nella politica di tutela degli interessi collettivi è, astrat- tamente, suscettibile di ampliare i confini della responsabilità civile, con tutte le dif- ficoltà, però, che ne discendono in punto di determinazione del rischio che sotto questo profilo diviene rilevante.

Trarre delle conclusioni da quanto sinora detto non è semplice, atteso che tutt’oggi il principio di precauzione non gode di una definizione univoca, da una parte, in quanto la riflessione scientifica che ne vede il coinvolgimento è ancora in corso, trattandosi di materia in costante evoluzione, dall’altra, perché la portata del principio è “adattata” al settore in cui esso trova applicazione.

178 Sui problemi connessi alla “percezione” del rischio e alla sua “misurazione”, con riferimento al ri- schio sismico, si veda D.ALBARELLO, Pericolosità e rischio sismico nell’Italia post-unitaria: proposte per una storia sociale della normativa sismica, in G. Silei (a cura di), Ambiente, rischio sismico e pre- venzione nella Storia D’Italia, Manduria-Bari-Roma, Piero Lacaita Editore, 2011, p. 133 ss.

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4.6. La rilevanza del principio di precauzione nella prospettiva privatistica

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