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L’ INFLUENZA DEI R ITMI U LTRADIANI

III. ASPETTI QUANTITATIVI E STRUTTURALI delle ATTIVITÀ

3.3 Fattori fisiologici e cronobiologici

3.3.1 L’ INFLUENZA DEI R ITMI U LTRADIANI

Le variazioni stato-dipendenti nelle caratteristiche dell’attività mentale che si produce durante il sonno possono emergere sia a livello del singolo stadio, a seconda dell’intervallo di tempo tra l’inizio della fase e il risveglio (cambiamenti intra-fasici), sia nei confronti fra esperienze mentali prodotte in stadi diversi (cambiamenti inter-fasici).

Anche se si può avere la tendenza a considerare le transizioni di fase, in particolare da NREM a REM, come improvvise e repentine, alcuni studi su sistemi fisiologici multipli indicano che la loro natura sia più simile ad un’oscillazione sinusoidale, in cui i cambiamenti di polarità dei neuroni cominciano ben prima dell’inizio della fase successiva definita secondo i criteri di scoring EEG (McCarley, 1994; Nielsen, 2000a). Parallelamente, i lavori in cui sono stati raccolti dream reports in fasi diverse e nella medesima fase a intervalli diversi suggeriscono che anche l’AMS si possa considerare come un fenomeno oscillatorio.

Cambiamenti intra-fasici

La Figura 3.3 illustra le variazioni della lunghezza media dei dream reports in funzione dell’intervallo di tempo trascorso dall’inizio della fase.

Come si può vedere, per i REM reports (istogramma nero) le stime della lunghezza sono inferiori tra 0 e 15 minuti e tra 45 e 60 minuti dall’inizio della fase, raggiungendo i valori massimi tra i 15 e i 45 minuti. Per i NREM reports (istogramma grigio) si osserva un pattern opposto. Questi risultati sono in accordo con uno studio ormai classico di Dement e Kleitman (1957), in cui sono stati raccolti REM reports a 5 e 15 minuti dall’inizio della fase e sono risultati più lunghi quelli nella seconda condizione.

Figura 3.3. Lunghezze (misurate in base al TRC) dei dream reports raccolti in periodi di sonno NREM e REM di differente durata,

calcolate (A) sul valore della media delle lunghezze di 88 REM e 61 NREM reports in funzione del tempo trascorso dall’inizio della fase (Hobson et al., 2000), e (B) ) sul valore della mediana delle lunghezze di 264 REM reports e 247 N REM home reports in funzione del tempo trascorso dall’inizio della fase (Stickgold et al., 2001b) (fonte: Nielsen, 2004, p. 404).

I risultati illustrati in Fig. 3.3 suggeriscono l’esistenza di una funzione sinusoidale, e dunque di un’oscillazione ultradiana, nel determinare la report length sia all’interno della singola fase, sia tra fasi diverse. In aggiunta, sono anche in accordo con altri studi che hanno dimostrato che la report length varia in funzione dell’aumento della distanza di tempo dalla fase REM precedente (Antrobus et al., 1991; Arkin et al., 1978; Goodenough et al., 1965; Wolpert e Trosman, 1958) ed è negativamente correlata alla durata del sonno NREM che precede il risveglio (Nielsen, 2000a). La possibilità che la lunghezza dei resoconti rifletta un processo oscillatorio ultradiano, come suggeriscono i lavori citati, potrebbe anche spiegare il risultato dello studio di Rosenlicht et al. (1994), che, confrontando le lunghezze medie di REM reports raccolti a 5 e 10 minuti dall’inizio della fase, hanno riscontrato solo una modesta differenza, che non raggiunge la significatività (mean TWC = 413 vs 325, p = 0.114): il fatto che i due tipi di resoconti siano stati raccolti ad intervalli molto ravvicinati sulla curva ultradiana in sonno REM potrebbe aver diminuito la probabilità di rilevare cambiamenti graduali.

Cambiamenti inter-fasici

I REM e i NREM dream reports riflettono presumibilmente l’attività di un sistema di produzione di attività mentale agli estremi opposti del suo ritmo ultradiano (Nielsen, 2004).

Uno dei risultati replicati più spesso nella letteratura scientifica sull’AMS è rappresentato dalla maggior frequenza di dream recall e da una maggior lunghezza dei dream reports quando i soggetti vengono intervistati dopo un risveglio da sonno REM rispetto a quando il risveglio avviene in uno stadio NREM (vedi le rassegne sull’argomento a cura di Hobson et al., 2000; e Nielsen, 2000a). Vi sono in ogni caso numerose evidenze empiriche che dimostrano la possibilità che una qualche forma di attività cognitiva (a cui consegue un successo del dream recall) possa svilupparsi in qualsiasi fase al di fuori del sonno REM.

 Fase di addormentamento (Sleep Onset, SO)

L’attività cognitiva riportata all’addormentamento, spesso difficilmente indistinguibile da brevi allucinazioni ipnagogiche, (Rowley et al., 1998; Vogel, 1991), eguaglia o supera addirittura in frequenza quella riportata a seguito di risveglio da sonno REM, con una media dal 90 al 98% di successo del dream recall (Foulkes e Vogel, 1965). A livello qualitativo, molti SO reports presentano contenuti dream-like, ovvero caratterizzati da sequenze di eventi dal carattere allucinatorio, e non semplici scene isolate o flash visivi: a seconda dello stadio EEG di risveglio, dal 31 al 76% dei SO reports possono essere definiti “sogni” in questa accezione (Vogel, 1991). Sulla lunghezza dei reports, invece, i dati non sono costanti: in alcuni studi i resoconti risultano essere lunghi come i REM reports (Foulkes et al., 1966; Vogel, 1991), altri invece hanno trovato valori molto inferiori, al pari dei NREM reports (Stickgold et al., 2001b) o addirittura più bassi (Casagrande et al., 1996b), una variabilità probabilmente dovuta a differenti criteri di risveglio. Una possibile spiegazione è fornita da un lavoro (Rowley et al., 1998), in cui è stato manipolato il momento del risveglio, che poteva avvenire dopo un intervallo di tempo da 5 a 15 minuti dallo SO (definito dalla quiescenza delle palpebre). I ricercatori hanno scoperto che i risvegli provocati dopo intervalli più lunghi di tempo erano associati a: 1) una diminuzione nella dream length; 2) una diminuzione di reports contenenti un normale flusso di pensieri simili alla veglia; 3) un aumento nella frequenza di “pensieri atipici”; e 4) un aumento nella frequenza di resoconti con caratteristiche formali tipiche dei “sogni”, incluse allucinazioni visive, rappresentazioni del sé, imagery motoria, intreccio narrativo e bizzarrie. Secondo gli autori, dunque, gli SO reports possono includere tutte le proprietà tipiche dei REM reports, ma in numero nettamente inferiore. Inoltre, il momento in cui si induce il risveglio ne influenza notevolmente le caratteristiche quantitative (presenza di determinati contenuti e lunghezza dei resoconti) e qualitative (pensieri vs allucinazioni percettive).

 Sonno NREM

Anche se in molti studi gli stadi NREM (2, 3 e 4) sono combinati indiscriminatamente, lo stadio 2 è stato quello più frequentemente esaminato. Nielsen (1999) prende in considerazione 34 studi dal 1953 in cui vengono forniti i dati sulle AMS raccolte da sonno REM e NREM, per calcolare le frequenze globali di dream recall. Esclude i gruppi clinici, calcola la media nei casi in cui i valori di DR sono differenziati per sottogruppi e mantiene separati gli studi precedenti e successivi al lavoro di Foulkes del 1962, considerato uno spartiacque per l’ampliamento dei criteri definitori di AMS che più volte abbiamo menzionato. Il risultato è illustrato nella Tabella 3.1.

No. Studies Mean ±±±± S.D.

(%) Median (%) Mode (%) Range (%) REM (<1962) REM (≥1962) REM total NREM (<1962) NREM (≥1962) NREM total Stages 3 and 4 8 21 29 8 25 33 8 75.5 ± 10.8 84.1 ± 6.7 81.8 ± 8.7 16.4 ± 12.5 50.9 ± 15.5 42.5 ± 21.0 52.5 ± 18.6 77 86 85 18 49 45 54 85 86 86 n/a 46 27 n/a 60-88 71-93 60-93 0-35 23-75 0-75 19-75

Tabella 3.1. Frequenze di recall di attività cognitiva prima del risveglio da sonno REM e NREM in 34 studi

(fonte: Nielsen, 1999, p.107)

Dal confronto tra i dati così ottenuti, la differenza media tra la DRF in sonno REM (81,8 ± 8,7 %) e in NREM (42,5 ± 21,0 %) si avvicina al 40%. Tuttavia, tale differenza risulta molto maggiore negli studi precedenti il 1962 (59,1%) rispetto ai successivi (33.2%) nei dati sintetizzati da Nielsen (1999). Inoltre, è interessante notare che la variabilità nelle frequenze stimate per il dream recall in sonno NREM (da 35,4% a 66,4% prendendo solo gli studi dal 1962 al 1999) è molto maggiore rispetto al REM (da 77,4% a 90,8%).

Allo stesso modo, vi è una differenza nella lunghezza dei reports misurata con il TRC, con una proporzione tra REM e NREM che varia da 2:1 a 5:1 (Stickgold et al., 2001b).

Questa variabilità nella DRF e nella report length dei resoconti raccolti in sonno NREM può dipendere dall’eterogeneità dei protocolli utilizzati per decidere il momento in cui svegliare i soggetti e il numero di risvegli per notte.

È inoltre possibile che, rispetto al sonno REM, l’attività mentale in sonno NREM sia maggiormente influenzata da ritmi oscillatori circadiani, che prevarrebbero su quelli ultradiani, un’ipotesi supportata da due studi recenti che Nielsen include nella sua rassegna del 2004 (Suzuki et al., 2004; Takeuchi et al., 2001). In questi lavori si riafferma la possibilità di ottenere resoconti di AMS dopo risveglio da sonno NREM anche senza che vi sia stata una precedente attività REM; tuttavia, tali resoconti non solo sarebbero qualitativamente diversi dai REM

reports, ma sarebbero molto più frequenti e lunghi nelle prime ore del mattino, vicino al picco circadiano della fase REM (tanto è vero che entrambi gli autori propongono come possibile spiegazione dei risultati ottenuti la presenza di quello che Nielsen [2000a] ha definito“covert” REM sleep: in sintesi, l’attività mentale in sonno NREM potrebbe essere innescata da una sorta di REM nascosto e non da meccanismi neurobiologici propri del sonno NREM). In definitiva, dunque, le differenze qualitative e strutturali tra i due tipi di resoconti si evidenzierebbero maggiormente se i NREM reports vengono raccolti nella prima parte della notte, dal momento che con l’avanzare dei cicli di sonno sembrano aumentare in complessità e vividezza, mostrando maggiormente le caratteristiche percettive allucinatorie che vengono comunemente attribuite alle AMS in sonno REM (Fosse et al., 2004).

 Stadi 3 e 4 NREM (Slow Wave Sleep, SWS)

I risultati di alcuni studi indicano la presenza di un’attività cognitiva specifica in SWS (Cavallero et al, 1992; Goodenough et al., 1965; Herman et al., 1978; Pivik e Foulkes, 1968). In media, la frequenza di dream recall è paragonabile a quella dello stadio 2 NREM. Considerando gli otto studi contenenti dati anche su risvegli in SWS (Tab. 2.2), la DRF media risulta del 52,5 ± 18,6 %. Questi valori sono in accordo con i risultati di un altro studio (Tracy e Tracy, 1973), in cui è stato visto che le differenze di DRF e nei contenuti dei reports tra lo stadio 2 e lo stadio 4 scompaiono quando i risvegli vengono provocati all’interno dello stesso ciclo di sonno o nella stessa parte della notte. Tre studi (Moffit et al., 1982; Pivik, 1971; Pivik e Foulkes, 1968) hanno riscontrato che la DRF è in media maggiore in stadio 3 (M=56%) rispetto allo stadio 4 (M=38%). Alcuni soggetti sembrano incapaci di ricordare alcun tipo di AMS se risvegliati in SWS. In uno studio (Cavallero et al., 1992), ad esempio, 10 dei 60 partecipanti non sono mai riusciti a ricordare contenuti mentali anche dopo molte notti sperimentali in cui si provocava un solo risveglio in stadio 3 o 4, mentre altri 27 partecipanti dei 50 rimasti hanno impiegato da 1 a 5 notti in più del previsto per riuscire a ricordare qualcosa. Questo studio è anche interessante perché i ricercatori, per calcolare la lunghezza e la continuità dei reports, hanno utilizzato la segmentazione in unità temporali, definite secondo i criteri di Foulkes e Schmidt (1983). Un report contenente più di una unità temporale è stato considerato “continuo” ogni volta che mostrava di avere una struttura narrativa. Dai confronti effettuati, la media del numero di unità temporali è risultata significativamente maggiore per i REM reports rispetto agli SWS reports (REM = 5,10 ± 4,14; SWS = 1,88 ± 1,68; p = 0.0001). Tuttavia, questo dato non corrisponde ad una differenza di continuità, ovvero di organizzazione narrativa dei resoconti (reports classificati continui: REM = 65,12%; SWS = 78,95%). Occorre notare, però, che le stime per questa dimensione possono risultare fuorvianti se non si considera che solo il 38% dei SWS reports sono risultati contenere più di una unità, contro l’87% dei REM reports. Ciò significa che è molto meno probabile che i soggetti ricordino AMS con molti dettagli e con una struttura story-like se svegliati in SWS, rispetto ai risvegli in sonno REM, ma nella maggior parte dei

casi (il 79% degli SWS reports con più di una unità temporale, appunto), il ricordo corrisponde ad una sequenza di eventi continui e ben strutturati, in accordo con i risultati di un altro studio (Yussen et al., 1988), secondo cui il grado di organizzazione sequenziale e gerarchica del materiale originario (in questo caso un’esperienza mentale) correla positivamente con la possibilità di ricordarlo e verbalizzarlo correttamente. Il fatto che alcuni SWS reports raccolti nell’esperimento di Cavallero et al. (1992) siano risultati praticamente indistinguibili dai tipici REM reports, depone a favore di un unico sistema di produzione di esperienze mentali durante il sonno, il ricordo delle quali, secondo gli autori, sarebbe più difficoltoso in SWS a causa di una maggior sleep inertia oppure a causa di una ridotta efficienza dei processi di immagazzinamento e recupero dalla memoria del materiale dell’AMS.