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Organizzazione strutturale delle attività mentali elaborate in sonno REM

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Academic year: 2021

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(1)UNIVERSITÀ DI PISA. Dottorato di Ricerca in:. Esplorazione molecolare, metabolica e funzionale del sistema nervoso e degli organi di senso Presidente del corso: Chiar.mo Prof. Giovanni Ronca. Organizzazione strutturale delle attività mentali elaborate in sonno REM. Tesi di Dottorato. Tutor Chiar.mo Prof. MARIO GUAZZELLI. Co-tutor. Candidato. Chiar.mo Prof. CARLO CIPOLLI. Dott. CLAUDIA BELLUCCI. Dicembre 2009.

(2) INDICE I.. Introduzione……………………………………………………………………………… 5. II.. DREAM RECALL – Teorie e dati empirici…………….…….……………………..… 11 2.1 Modelli teorici di dream recall…………………………………………………………. 12 2.1.1 L’IPOTESI DELLA RIMOZIONE………………………………………………………… 2.1.2 2.1.3 2.1.4 2.1.5 2.1.6. 13 L’IPOTESI DELLA SALIENZA………………………………………………………….. 15 L’IPOTESI DELL’INTERFERENZA…………….………………………………………….18 IL MODELLO DI AROUSAL-RETRIEVAL ………………………………………………...…21 IL MODELLO DELLA TRANSIZIONE FUNZIONALE DI STATO……………………………….…23 MODELLI DI DREAM RECALL FREQUENCY………………………………………………25. 2.2 Altri fattori che influenzano il dream recall…………………….……………………… 27 2.2.1 ETÀ……………………………………………………………………………….. 27 2.2.2 GENERE…………………………………………………………………………… 28 2.2.3 CAPACITÀ COGNITIVE……………………………………………………………….. 29 2.2.4 PERSONALITÀ……………………………………………………………………… 30 2.3 Metodi di misurazione del dream recall……….……..…………………………………. 33. III. ASPETTI QUANTITATIVI E STRUTTURALI delle ATTIVITÀ MENTALI del SONNO…………….…………………………………………………… 37 3.1 Il Modello Cognitivo-Psicologico di Foulkes………………………………………..…. 39 3.1.1 EVIDENZE EMPIRICHE IN ACCORDO CON IL MODELLO DI FOULKES………………….……… 41. 3.2 Fattori sperimentali…………………………..……………………………………….. 45 3.2.1 TECNICHE DI INTERVISTA NELLA RACCOLTA DEI DREAM REPORTS……………………..… 45 3.2.2 CRITERI DI SCORING DEI DREAM REPORTS…………………….……………………… 46. 3.3 Fattori fisiologici e cronobiologici…….………………………………………………... 59 3.3.1 L’INFLUENZA DEI RITMI ULTRADIANI ……………………………………………….. 60 3.3.2 L’INFLUENZA DEI RITMI CIRCADIANI ……….……………..……………………………65 3.3.3 INFLUENZE ULTRADIANE E CIRCADIANE: IL RUOLO DELL’ATTIVAZIONE CORTICALE…………..71. IV. ATTIVITÀ MENTALI DEL SONNO e SLEEP DISORDERS: il caso della. 1.

(3) NARCO-CATAPLESSIA………………………………………………….…………… 75 4.1 La narcolessia con cataplessia………………………….………………………..…….. 4.1.4 PROBLEMI PSICO-SOCIALI E COGNITIVI ……………………………………………..…. 76 76 84 86 88. 4.2 Attività Mentali del Sonno e narcolessia……………………………………………….. 90. 4.1.1 ASPETTI CLINICI……………….…………………………………………………… 4.1.2 RITMI CIRCADIANI……………..…………………………………………………… 4.1.3 PATOFISIOLOGIA……………………………………………..……………………... 4.2.1 ANALISI DEL CONTENUTO E DELLA TONALITÀ EMOTIVA………….…………………….. 91 4.2.2 LUNGHEZZA E STRUTTURA DEI DREAM REPORTS…………………………………..…….. 94 5. ESPERIMENTO 1………………………………………………………………………… 97 5.1 Razionale dei due esperimenti…………………………………………………………..97 5.2 Obiettivi dell’Esperimento 1………………………………………..…………………. 100 5.3 Metodi……..………………………………………………………………………….. 101 5.3.1 SOGGETTI……………………………………………………………….…………. 101 5.3.2 APPARATO………………………………………………………………………… 103 5.3.3 PROCEDURA…………..…………………………………………………………… 105 5.3.4 ANALISI DELL’ORGANIZZAZIONE NARRATIVA DELLE ESPERIENZE MENTALI. 106 5.3.5 ANALISI DEI DATI…………………..………………………………………………. 110 ELABORATE DURANTE IL SONNO. REM………….……………………………………. 5.4 Risultati………………………………………………………………………………. 111 5.4.1 INDICI PSICOMETRICI………….…………………………………………………….. 111 5.4.2 INDICI DI SONNO…………………………………………………………………… 113 5.4.3 INDICI DELL’ATTIVITÀ MENTALE DEL SONNO……………………………………………115 5.5 Discussione dei risultati dell’Esperimento 1……….………………………………….. 119. 6. ESPERIMENTO 2………………………………………………………………………… 127 6.1 Obiettivi dell’Esperimento 2…………….…………………………………………..... 127 6.2 Metodi……………….……………………………………………………………….. 129 6.2.1 SOGGETTI…………………………………………………………………….….... 129 6.2.2 APPARATO…………………………………………………………….………….. 129 6.2.3 PROCEDURA…………………………………………………………………….… 130 6.2.4 ANALISI DELL’ORGANIZZAZIONE NARRATIVA DELLE ESPERIENZE MENTALI RIFERITE NEGLI SPONTANEOUS E NEI PROMPTED REPORTS……………………………….……….. 6.2.5 ANALISI DEI. 131 DATI………………………………………………………….……… 132. 2.

(4) 6.3 Risultati………………………………………………………………………………… 133 6.3.1 INDICI PSICOMETRICI………………………………………………………………….. 133 6.3.2 INDICI DI SONNO………………………..……………………………………………. 135 6.3.3 INDICI DELL’ATTIVITÀ MENTALE DEL SONNO…………………………………………… 135 6.4 Discussione dei risultati dell’Esperimento 2……………………………………………..143. 7. CONCLUSIONI…………………………………………………………………………… 149 7.1 Inferenze generali…………………………………………………………………….. 149 7.2 Limiti metodologici dei due esperimenti.……………………………………………… 152 7.3 Prospettive future di ricerca………………………………………………………….. 153. APPENDICE A…………………………………………………………………………………… 157 APPENDICE B…………………………………………………………………………………… 158. Bibliografia…………………………………………………………………………………….. 161. 3.

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(6) Capitolo I. Introduzione. I INTRODUZIONE. Lo studio delle caratteristiche di contenuto e di organizzazione strutturale delle Attività Mentali durante il Sonno (AMS) e delle loro variazioni in rapporto allo stadio e al ciclo di sonno riveste un ruolo essenziale per la comprensione dei meccanismi di elaborazione delle informazioni durante il sonno. Il funzionamento di questi meccanismi è parso di grande importanza dopo la dimostrazione sperimentale della funzione positiva esercitata dal sonno per la consolidazione delle informazioni c.d. dichiarative e non-dichiarative (secondo la distinzione di Squire, 1987) e, tra queste ultime, soprattutto di quelle procedurali (percettive, motorie e spaziali: Karni et al., 1994). Con questa dimostrazione l’interazione tra i processi cognitivi e fisiologici alla base dell’AMS è divenuta una problematica rilevante per la comprensione non solo della formazione delle AMS (dream generation), ma anche del ruolo del sonno nei processi cognitivi il cui funzionamento riguarda l’acquisizione, la consolidazione e il richiamo (o accesso) di informazioni dichiarative e non dichiarative. Data la presenza di AMS in quasi ogni momento di un periodo di sonno prolungato e data la presenza tra i contenuti delle AMS di informazioni sia recenti che remote, soprattutto di tipo dichiarativo, appare plausibile che il funzionamento dei processi cognitivi, soprattutto di memoria, coinvolti nella produzione di AMS influenzi anche (o sia parte anche di) quelli di consolidazione delle informazioni acquisite di recente in condizioni di veglia e in via di definitiva consolidazione in memoria. All’individuazione del nucleo concettuale di questa problematica si è pervenuti gradualmente. Anzitutto, l’individuazione delle caratteristiche salienti del sonno REM e della ciclicità ultradiana (circa 90 minuti) della successione delle fasi NREM-REM durante il periodo di sonno (Aserinsky & Kleitman, 1953; Dement & Kleitman, 1957) ha dato notevole impulso agli studi di psicofisiologia del sonno e del sogno (o, in termini più generali, dell’AMS), soprattutto per l’ipotizzata associazione tra la presenza della fase di sonno REM e la produzione di AMS, a seguito dell’osservazione che svegliando i soggetti in concomitanza di movimenti oculari rapidi e di una specifica attività EEG si otteneva quasi sempre il resoconto di una qualche esperienza mentale (Aserinsky & Kleitman, 1955; Dement & Kleitman, 1957; Goodenough et al., 1959). Negli anni immediatamente successivi i risultati delle ricerche di Foulkes (1962; 1965; 1967) hanno portato al superamento dell’equazione “sonno REM = AMS”, in quanto hanno dimostrato che anche a seguito di risvegli in stadi NREM è molto frequente il ricordo di un’AMS, anche se con caratteristiche di contenuto non sempre simili a quelle delle AMS elaborate in sonno REM. Nei decenni successivi le 5.

(7) Capitolo I. Introduzione. ricerche hanno confermato la presenza pressoché costante dell’elaborazione di AMS, pur con qualche variazione di frequenza, contenuto e organizzazione strutturale, in tutti gli stadi e cicli di sonno (per una rassegna, cfr. Nielsen, 1999, 2000). Le ricerche sperimentali in questo campo, tuttavia, hanno dovuto affrontare fin dall’inizio un fondamentale problema metodologico: definire l’attendibilità e il grado di esaustività delle informazioni relative alle AMS, data la loro inaccessibilità ad ogni forma di osservazione esterna. È possibile infatti studiare le AMS solo indirettamente, ovvero attraverso i resoconti verbali che i soggetti forniscono dopo il risveglio (dream reports). Questi resoconti sono inevitabilmente differiti rispetto al momento dell’elaborazione dell’AMS ed i loro contenuti sono filtrati e, quindi, influenzati dai processi di memoria attivati dal soggetto durante la veglia. Pertanto, per poter avanzare ipotesi plausibili circa le possibili relazioni tra una o più caratteristiche delle AMS e una o più specifiche variabili fisiologiche concomitanti alla loro elaborazione durante il sonno, è necessario individuare e, per quanto possibile, rimuovere l’influenza di specifici fattori inibitori dell’accesso, in veglia, ai contenuti delle AMS. Lo studio dei fattori che influenzano il dream recall è, pertanto, co-essenziale allo studio delle caratteristiche di contenuto e di organizzazione strutturale delle AMS, così come quest’ultimo lo è per lo studio dei processi di riattivazione, consolidazione ed elaborazione di informazioni, recenti e remote, presenti in memoria (Stickgold et al., 2001a; Cipolli, 1995, 2005). I due esperimenti che abbiamo condotto e che sono riportati nella tesi si inseriscono in questa prospettiva teorica. Le indicazioni che derivano dai loro risultati sono utili per individuare come avviene l’elaborazione delle AMS durante il sonno REM e per arrivare a formulare ipotesi passibili di verifica sperimentale, ovviamente in future ricerche di laboratorio, circa il ruolo di specifici fattori fisiologici in tale elaborazione. Per mettere a fuoco i possibili fattori che influenzano il richiamo delle AMS dalla memoria (dream recall) è stata inizialmente eseguita una rassegna sistematica (Capitolo II) dei numerosi studi sperimentali eseguiti per corroborare o indebolire le principali ipotesi teoriche (interferenza, salienza, rimozione: cfr. Cohen, 1979) a suo tempo proposte per spiegare il successo o l’insuccesso del richiamo delle AMS dopo il risveglio. Indipendentemente dai sostenitori dei tre suddetti modelli classici del dream recall, che si sono focalizzati principalmente sulla possibilità/impossibilità di recall dopo risvegli da diversi stadi di sonno o in diversi contesti (laboratorio/domicilio), alcuni ricercatori hanno affrontato il problema metodologico dell’attendibilità del dream report come descrizione dell’AMS e, quindi, hanno preso in esame i fattori che ne potrebbero influenzare o addirittura determinare gli aspetti qualitativi e quantitativi. È stato dimostrato, ad esempio, che alcuni fattori legati alle condizioni sperimentali, 6.

(8) Capitolo I. Introduzione. come la modalità di raccolta dei dream reports, (ad es., a casa o in laboratorio, attraverso resoconti orali o scritti), il momento in cui vengono raccolti (immediate vs delayed recall) e le consegne trasmesse ai soggetti dagli sperimentatori (che possono richiedere al soggetto il solo ricordo spontaneo delle esperienze mentali avute, o fornirgli stimoli e/o suggerimenti) hanno effetti rilevanti sulla quantità e il tipo di contenuti ricordati. Parimenti, l’analisi dei resoconti verbali può essere condotta, a seconda degli obiettivi di ricerca, con strumenti formali più o meno accurati (dal semplice computo delle content-words a scomposizioni dei resoconti in base a regole formalizzate di text grammar, per es. di story grammar), i quali determinano la quantità e il grado di informazione dei dati raccolti. In particolare, alcune caratteristiche strutturali dei dream reports possono fornire indicatori attendibili del funzionamento di specifici processi cognitivi attivi durante il sonno, mentre altre offrono informazioni attendibili circa il grado di efficienza dei processi di memoria attivi dopo il risveglio. Pertanto, nel Capitolo III è stata presa in considerazione soprattutto la variabilità degli aspetti quantitativi e strutturali nei diversi stadi di sonno e le relazioni che questi aspetti potrebbero avere. Alla fine del capitolo sono stati richiamati, in particolare, i dati sperimentali relativi alle variazioni degli aspetti quantitativi e strutturali delle AMS in relazione (a) allo stadio di sonno in cui avviene il risveglio per la raccolta dei resoconti (stage effect), (b) alla durata del’intervallo tra l’inizio della fase di sonno e il risveglio provocato, e (c) al ciclo di sonno, ovvero al momento in cui avviene la raccolta dei resoconti nell’arco della notte (time of night effect). Accanto a questi studi su campioni di soggetti normali, un interessante campo di ricerca, ancora poco esplorato, riguarda l’influenza di alterazioni dell’organizzazione del sonno tipiche di alcuni disturbi del sonno sulle caratteristiche quantitative e strutturali delle AMS. I seppur pochi dati raccolti su pazienti con specifici disturbi del sonno hanno fornito utili indicazioni riguardo alle interazioni tra i processi fisiologici e psicologici coinvolti nella produzione delle AMS. In particolare, i pazienti che soffrono di narco-cataplessia (NC), che presentano alterazioni caratteristiche del sonno REM rispetto ai normodormitori (maggiore densità di movimenti oculari e omogeneità di durata nei vari cicli, e frequente comparsa di un episodio di sonno REM pochi minuti dopo l’addormentamento), riferiscono spesso, nei contesti clinici, un’abbondante produzione di esperienze mentali durante il sonno, in molti casi percepite come assai vivide e con contenuti bizzarri ed emozionalmente molto intensi (Capitolo IV). Sembrano, pertanto, costituire una popolazione appropriata per testare ipotesi specifiche riguardanti sia i meccanismi di dream recall che le caratteristiche strutturali delle AMS elaborate durante il sonno REM. Acquisire queste informazioni appare di indubbia utilità per successivi studi mirati ad indagare la funzione di specifiche variabili fisiologiche coinvolte nell’elaborazione delle AMS. Nei due esperimenti che abbiamo condotto (i cui Metodi e Risultati sono illustrati e discussi nei Capitoli V e VI), sono state sottoposte a verifica sperimentale due ipotesi generali, riguardanti 7.

(9) Capitolo I. Introduzione. rispettivamente l’influenza delle diverse caratteristiche fisiologiche del sonno REM tipiche dei pazienti NC sull’elaborazione delle AMS, e l’influenza di diverse istruzioni di retrieval sul dream recall. Pur se sarebbe stato auspicabile sottoporre ad indagine sperimentale anche altri fattori che in ricerche precedenti su soggetti normali (ovvero, normodormitori) hanno dimostrato di influenzare il ricordo delle AMS, le ovvie difficoltà di reclutare pazienti con narco-cataplessia non ancora trattati farmacologicamente e di eseguire osservazioni sperimentali all’interno di un contesto clinico, quindi poco flessibile per programmare più notti di osservazione sperimentale con registrazione polisonnografica, hanno imposto di circoscrivere l’indagine ad un numero limitato di condizioni sperimentali. L’obiettivo principale del I esperimento è stato di stabilire se le diverse caratteristiche fisiologiche del sonno REM nei pazienti NC rispetto ai soggetti di controllo (normodormitori) influenzino da sole o in interazione con il fattore “momento della notte” (time of night) la produzione di AMS e la quantità e complessità dei loro contenuti. A questo scopo, sono stati raccolti gli spontaneous reports delle AMS elaborate da un campione di pazienti NC e di un gruppo di controllo di normodormitori. I reports sono stati raccolti dopo due risvegli per notte, provocati durante le fasi REM del I e del III ciclo di sonno, vale a dire all’inizio della prima e della seconda metà della notte. I dream reports sono stati analizzati secondo i criteri della story grammar elaborata da Mandler e Johnson (1977), che permette l’identificazione di unità più ampie dei singoli contenuti e la descrizione della loro organizzazione narrativa. Dai risultati è emersa una maggiore (e anticipata) efficienza dei processi cognitivi coinvolti nell’elaborazione delle AMS nei pazienti NC rispetto ai soggetti di controllo, i quali hanno evidenziato il ben noto incremento time-of-night dependent dei valori degli indici di efficienza di detti processi (lunghezza e complessità di organizzazione strutturale) nei reports. Per convalidare l’ipotesi che la maggiore lunghezza e complessità delle AMS nella I REM dei pazienti NC derivi dall’anticipata efficienza ottimale dei processi cognitivi coinvolti nell’elaborazione delle AMS anziché da una differenza nell’accuratezza del ricordo dopo il risveglio dei pazienti NC rispetto ai normodormitori è stato realizzato il secondo esperimento, nel quale sono stati stimolati (prompting) e, ove forniti, raccolti e analizzati anche i prompted reports dopo la conclusione degli spontaneous reports. Il metodo del prompting ha infatti lo scopo di sollecitare i soggetti a ricordare ulteriori contenuti della stessa esperienza mentale (nella fattispecie, AMS) in relazione ai contenuti già riferiti nel resoconto spontaneo, ed è quindi un mezzo efficace per verificare la presenza in memoria di eventuali unità di contenuto relative all’AMS, che non sono risultate immediatamente accessibili al ricordo, ma che sono state ugualmente immagazzinate nella memoria a lungo termine, dalla quale sono ancora recuperabili. I risultati del secondo esperimento hanno sia corroborato l’ipotesi che la maggiore lunghezza e complessità degli spontaneous reports dei pazienti NC dopo risveglio nella prima REM dipenda da una maggior efficienza dei processi cognitivi coinvolti nell’elaborazione delle AMS, sia confermato 8.

(10) Capitolo I. Introduzione. che lo spontaneous report non è esaustivo di tutti i contenuti di AMS immagazzinati in memoria durante il sonno. Infatti, i soggetti di controllo (normodormitori), non sono stati in grado di riferire ulteriori story-like events al prompted recall dopo il risveglio nella I fase REM, mentre lo sono stati dopo il risveglio nella III fase REM. Infine, nelle Conclusioni (Capitolo VII) sono state sviluppate alcune implicazioni dei risultati dei due esperimenti realizzati, segnalando come essi indichino una strategia di ricerca praticabile per “misurare” la quantità e le caratteristiche strutturali degli story-like events non ricordati con la tecnica del free recall e recuperabili con quella del prompted recall, che può essere utile per stabilire se durante una determinata fase di sonno venga elaborata una sola o più AMS e quali siano gli eventuali meccanismi responsabili della conclusione o dell’interruzione di una AMS cronologicamente antecedente rispetto a quella interrotta dal risveglio provocato dal ricercatore nella situazione di laboratorio.. 9.

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(12) Capitolo II. Dream Recall. II DREAM RECALL Teorie e dati empirici Da un punto di vista metodologico, nel momento in cui una persona è in grado, dopo il risveglio, di ricordare e raccontare l’esperienza mentale avuta durante il sonno precedente si assume che il processo di dream recall abbia avuto successo. Esiste però anche il caso in cui la persona ha l’impressione o la convinzione di aver sognato, ma non riesce a recuperare alcun contenuto mentale di tale esperienza. Questo fenomeno, chiamato white dream (De Gennaro e Violani, 1990) o contentless report (Cohen, 1972), è stato considerato, a seconda dei criteri di scoring applicati nei diversi studi, come un successo (se si pone esclusivamente la domanda relativa al ricordo dell’esperienza mentale) o come un insuccesso (se si richiede anche un resoconto del contenuto di tale esperienza) del compito di dream recall. Questa differenza metodologica deve essere sempre tenuta in considerazione quando si confrontano i risultati relativi alla DRF ottenuti in studi diversi, perché potrebbe costituire la fonte reale di osservazioni all’apparenza contraddittorie (per una discussione vedi § 3.2). Nella valutazione qualitativa o quantitativa del dream recall è bene prendere in considerazione qualsiasi tipo di contenuto mentale venga ricordato, anche quando non si tratta di imagery in senso stretto. Il termine “sogno”, infatti, assume nel linguaggio comune il significato di un’esperienza allucinatoria di natura soprattutto visiva, caratterizzata da una particolare vividezza, elementi di bizzarria, un forte coinvolgimento emotivo e una struttura story-like (ovvero con un intreccio narrativo paragonabile a quello di una storia), mentre dagli studi condotti negli ultimi 60 anni secondo il paradigma di ricerca psicofisiologico emerge come spesso i resoconti riportati dai volontari a seguito di risvegli provocati in laboratorio possano somigliare anche più semplicemente a pensieri, immagini, sensazioni fisiche e impressioni più vaghe e frammentarie rispetto al sogno come viene comunemente inteso (Fagioli, 2002). Per questo motivo si è preferito utilizzare definizioni meno restrittive: •. nel contesto metodologico delle procedure di raccolta dei dream reports: in accordo con l’intervista messa a punto da Foulkes (1962), al risveglio è buona norma chiedere al soggetto non cosa stava “sognando”, ma cosa stava passando per la sua mente subito prima del risveglio; è stato infatti dimostrato che non tutti i fenomeni cognitivi o percettivi che avvengono durante il sonno vengono definiti dai soggetti “sogni”, ma sono ugualmente di interesse per i ricercatori in quanto “esperienze mentali”; 11.

(13) Capitolo II. •. Dream Recall. nella letteratura scientifica: il termine “sogno” usato nel linguaggio comune è stato sostituito con termini di significato più generale, tutti utilizzati in modo equivalente per definire i prodotti dell’elaborazione mentale che avviene durante il sonno: - sleep mentation (qualsiasi contenuto mentale prodotto durante il sonno); - attività mentale durante il sonno (AMS; in inglese MSA, mental sleep activity), con la quale si sottolinea come la mente sia attiva anche durante il sonno, nonostante siano notevolmente ridotte la capacità di percepire gli stimoli esterni, le interazioni con l’ambiente e le attività comportamentali; - esperienza mentale durante il sonno (EMS; in inglese MSE, mental sleep experience), con la quale si mette in evidenza il fatto che ciò che il soggetto ricorda dopo il risveglio è percepito come una vera e propria esperienza vissuta privatamente.. Nel prossimo paragrafo sono esposti e discussi alla luce delle evidenze empiriche finora emerse i principali modelli teorici che hanno tentato di spiegare il processo di recupero mnestico delle esperienze mentali prodotte durante il sonno e la variabilità intra- e inter-individuale di DRF.. 2.1. Modelli teorici di dream recall. Fin dall’inizio degli studi clinici e sperimentali sui meccanismi alla base del dream recall, i ricercatori si sono resi conto della grande variabilità nella frequenza con cui le persone dichiarano di ricordare i propri sogni: se per alcuni è un’esperienza pressoché quotidiana, che capita loro almeno 3-4 giorni alla settimana al risveglio mattutino (per tale ragione sono stati definiti high o frequent recallers, o semplicemente recallers), per altri è abbastanza rara, meno frequente di una volta al mese o addirittura riconducibile al ricordo di pochi sogni, generalmente caratterizzati da una forte carica emotiva, nel corso di tutta la loro vita (sono i cosiddetti low o infrequent recallers, in alcuni casi chiamati anche non-recallers). Queste due categorie costituiscono gli estremi di un continuum della frequenza con cui avviene il dream recall (DRF). Le ipotesi teoriche finora avanzate sui fattori che determinano queste differenze hanno ricevuto col tempo conferme o smentite dagli studi empirici (per un confronto vedi Cohen, 1974c, p. 149; per una rassegna più recente vedi Schredl, 2007a). Di seguito sono presentate quelle più note e discusse.. 12.

(14) Capitolo II. 2.1.1. Dream Recall. L’IPOTESI DELLA RIMOZIONE. Questa teoria si basa sul modello psicoanalitico della produzione delle AMS (Freud, 1900), secondo il quale determinati meccanismi di difesa a livello inconscio interagiscono con i contenuti delle esperienze mentali del sonno, influenzandone di conseguenza il processo di recupero mnestico e il successivo resoconto verbale. In accordo con il modello freudiano, il sogno rappresenta la soddisfazione allucinatoria di un desiderio rimosso nell’infanzia, e sarebbe pertanto costituito da materiale pulsionale primario, inaccettabile per l’Io cosciente. Tale contenuto, però, rimarrebbe a livello latente grazie all’intervento di questi meccanismi di censura. Essi potrebbero operare attraverso due modalità temporalmente distinte: (a) durante la produzione del sogno potrebbe intervenire quella che Freud chiama la “censura del sogno”, il cui scopo è quello di trasformare il materiale primitivo in un’esperienza emotivamente neutra e innocua costituente il contenuto manifesto del sogno, cioè quello che poi viene ricordato e ricostruito verbalmente; (b) durante il processo in veglia di dream recall, contenuti particolarmente ansiogeni o moralmente inaccettabili attiverebbero meccanismi di rimozione o semplicemente di soppressione (ovvero, la non volontà di raccontare l’esperienza). La prima variante della teoria risulta in pratica impossibile da testare empiricamente, perché non esiste modo di recuperare i sogni rimossi per confrontarli con quelli ricordati. Hall (1966b) indica numerosi esempi in cui gli individui sognano apertamente e in modo diretto eventi piuttosto spiacevoli, anche se in altri casi gli stessi individui possono sognare i medesimi eventi sotto una veste più simbolica. Si potrebbe trattare evidentemente di un periodico fallimento dei meccanismi di rimozione. Queste argomentazioni restano all’interno della teoria psicodinamica e concorrono alla pratica clinica, ma sono state anche oggetto di studi scientifici, come nel caso delle AMS in pazienti con disturbo da stress post-traumatico (PTSD). La seconda variante di questo modello suggerisce due tipi di previsioni: 1) gli individui che presentano una tipologia di personalità tendente alla rimozione (repressors) avranno più difficoltà a ricordare le esperienze mentali che sviluppano durante il sonno rispetto agli individui di opposta tendenza (nonrepressors o sensitizers); 2) le condizioni che verosimilmente sono in grado di aumentare la presenza nell’AMS di contenuti sgradevoli o ansiogeni, ridurranno la probabilità di dream recall, in particolare negli individui repressor-type. Queste ipotesi hanno stimolato una grande quantità di esperimenti. Un primo insieme di studi ha testato questo modello correlando varie misure di tendenza alla rimozione con la DRF. Queste misure si basano principalmente su tratti di personalità valutati mediante appositi questionari, i quali sono stati accostati intuitivamente alla tendenza alla rimozione, ma che probabilmente non sono del tutto sovrapponibili ad essa, o quantomeno al concetto psicoanalitico di rimozione. Ne consegue che anche gli studi che hanno ottenuto correlazioni significative con la DRF possono supportare questa ipotesi solo debolmente.. 13.

(15) Capitolo II. Dream Recall. Una dimensione di personalità molto utilizzata in questi studi è stata quella di repressionsensitization, che riguarda i meccanismi di difesa coinvolti rispettivamente nelle risposte di evitamento/negazione o approccio/controllo degli stimoli negativi. Anche se Williamson et al. (1970) hanno riscontrato una DRF significativamente più alta nei sensitizers rispetto ai repressors, e Tart (1962) una correlazione significativa negativa tra la DRF e un punteggio più alto alla scala di rimozione del Minnesota Multiphasic Personality Inventory (MMPI), questa relazione non è stata confermata in diversi altri studi (Bone et al., 1970; Cohen e Cox, 1975; Gerber, 1978; Handal e Rychlak, 1971; Robbins e Tanck, 1978). La debolezza e la discutibilità delle correlazioni sono tratti comuni anche per altri costrutti di personalità presi come stima della tendenza alla rimozione. Schonbar (1959) rilevò una forte relazione tra DRF e due costrutti originariamente formulati da Cattell, ovvero livello di ansia (repressor-type) ed ego strength (nonrepressor-type), ma i risultati furono criticati come possibile effetto di artefatti metodologici (Domhoff e Gerson, 1967) e non furono più replicati. Un altro tratto di personalità che venne studiato è la dipendenza dal campo (field dependence), uno stile cognitivo che ha a che fare con l’individuazione di stimoli nascosti in un contesto percettivamente distraente. I risultati furono estremamente contraddittori (Schonbar [1965] e Witkin et al. [1962] trovarono relazioni positive, che però non vennero confermate ad esempio da Baekeland [1969], Bone et al. [1972], Cohen e Wolfe [1973] e Montgomery e Bone [1970], anche con risultati del tutto opposti a seconda delle interpretazioni del costrutto), probabilmente perché questa caratteristica di personalità potrebbe essere neutra da un punto di vista psicodinamico e quindi affatto correlata alla rimozione. Accostati teoricamente alla tendenza alla rimozione furono anche costrutti come neuroticismo, estroversione, introspezione e locus of control esterno, con risultati tutt’altro che omogenei (per un confronto vedi Schredl e Montasser, 1996/1997). Più interessanti sono i tentativi di manipolare sperimentalmente le condizioni o l’umore dei partecipanti nel lasso di tempo precedente la notte di sonno, per sottoporre a verifica la previsione che se le esperienze mentali prodotte avessero riflettuto questi contenuti negativi vi sarebbe stato un insuccesso del dream recall la mattina successiva. In alcuni studi, ad esempio, sono stati mostrati film dai contenuti stressanti o emotivamente coinvolgenti, ottenendo in alcuni casi una diminuzione nel dream recall della mattina successiva (Cartwright et al., 1969; Foulkes et al., 1967) non confermata da altri studi (Foulkes e Rechtschaffen, 1964; Karacan et al., 1966). Anche, tuttavia, per i pochi risultati che deporrebbero a favore di un intervento della rimozione, la spiegazione potrebbe essere più semplice: l’ansia indotta dagli stimoli pre-sleep sposterebbe l’attenzione dell’individuo impedendogli di concentrarsi sulla propria AMS. Un differente paradigma di ricerca si è basato sull’induzione di stress o di un umore negativo prima del sonno: Cohen (1974a, 1974b) ha riscontrato un aumento della DRF e una diminuzione dei contentless reports (che possono essere attribuiti o ad un processo di rimozione o più plausibilmente ad un’inibizione temporanea del recall), risultati, questi, che non solo non. 14.

(16) Capitolo II. Dream Recall. supportano le previsioni della teoria della rimozione, ma che si spiegano in modo molto più economico secondo un’altra ipotesi, che è quella della salienza di certi contenuti dell’AMS. In conclusione, i dati a disposizione suggeriscono che la rimozione probabilmente contribuisce solo in minima parte alla variabilità del dream recall nella maggior parte degli individui. In aggiunta, molti degli effetti ottenuti negli studi che hanno indagato questo modello di dream recall possono benissimo essere spiegati da ipotesi alternative, che chiamano in causa fattori “classici” della memoria, come la salienza e l’interferenza.. 2.1.2. L’IPOTESI DELLA SALIENZA. Secondo questa ipotesi il ricordo delle esperienze mentali del sonno è facilitato dalla presenza di contenuti salienti nelle esperienze stesse, che ne promuoverebbero la codifica e quindi il consolidazione in memoria. La salienza dei contenuti, ovvero l’impatto che hanno sul sognatore, è chiaramente soggettiva, ma in generale si può riferire a caratteristiche come la vividezza, l’intensità emotiva, l’interesse intrinseco che possono avere per il sognatore in base alle sue motivazioni e aspirazioni, oppure alla rappresentazione di paure, eventi tragici o traumatici, fenomeni considerati bizzarri perché implausibili o impossibili nella realtà. Questa ipotesi va esattamente nella direzione opposta rispetto alla rimozione, anche se dal punto di vista dell’indagine empirica ha incontrato difficoltà analoghe, dovute all’impossibilità di testare direttamente le caratteristiche salienti delle esperienze mentali originarie. Vi sono comunque delle evidenze empiriche della tendenza della DRF a correlare con le qualità salienti delle AMS. Cohen e MacNeilage (1974) hanno dimostrato che le esperienze mentali riferite a seguito di risvegli in laboratorio dai frequent recallers, soprattutto in sonno NREM, sono più ricche di contenuti salienti rispetto a quelle degli infrequent recallers. Gli autori considerano 4 dimensioni di salienza delle esperienze mentali del sonno: vividezza (salienza sensoriale), emozionalità (emozioni sia positive che negative), bizzarria (stranezza) e attività (ritmo degli eventi). Nel confronto fra i due gruppi la variabile che più rende conto delle differenze è quella dell’emozionalità. Per le dimensioni della bizzarria e dell’attività le differenze non sono significative. È bene notare, tuttavia, che in questo studio non è stato considerato il momento della notte in cui sono stati raccolti i dream reports, e inoltre la valutazione delle AMS in base alle quattro dimensioni proposte è stata richiesta agli stessi partecipanti (introducendo un bias dovuto alla soggettività dei criteri di giudizio applicati di volta in volta). In un altro studio (Cipolli et al., 1993) l’effetto dei contenuti bizzarri sul dream recall è stato stimato da due giudici indipendenti confrontando i dream reports raccolti a seguito di risvegli notturni in sonno REM (escludendo la prima fase, perché notoriamente più breve e seguita da resoconti con contenuti meno organizzati) con i resoconti forniti il mattino seguente: la proporzione di contenuti bizzarri comune ai due tipi di resoconti è risultata quasi il doppio rispetto ai contenuti non bizzarri, confermando che gli elementi. 15.

(17) Capitolo II. Dream Recall. di bizzarria facilitano il ricordo delle esperienze mentali, almeno per quelle prodotte durante la fase REM. L’ipotesi della salienza sarebbe supportata anche dalla maggiore DRF riscontrata negli individui che hanno più frequentemente incubi: questo tipo di esperienze mentali potrebbe venir ricordato più facilmente per via della carica emotiva negativa che le caratterizza, a causa della quale è stato dimostrato che chi ne soffre ha anche livelli di ansia diurna più elevata (Köthe e Pietrowsky, 2001), e accanto a questo mostra una maggior attenzione ai propri vissuti interiori e in particolare alle proprie esperienze mentali durante il sonno (Levin, 1994). Altri autori hanno testato questo modello basandosi sull’assunto che l’attività diurna si riflette in parte sui contenuti delle AMS, con la conseguente previsione che una situazione ansiogena o negativa durante la veglia potrebbe aumentare la probabilità di ricordare le esperienze mentali durante il periodo successivo di sonno, perché caratterizzate da contenuti con tonalità emotive negative. Gli studi prima citati sul pre-sleep mood (Cohen, 1974a, 1974b; Cohen e Cox, 1975) e gli studi che hanno riscontrato un aumento della DRF dopo la visione di filmati a forte impatto emotivo (vedi Arkin e Antrobus, 1991, pp. 286-293) confermerebbero questo effetto. Lo stress sembra dunque incrementare le probabilità di dream recall, anche se ciò potrebbe essere attribuito non solo all’aumento di contenuti salienti nell’AMS, ma anche all’aumento della frequenza dei risvegli notturni, un fattore che è stato più volte correlato a una più alta probabilità di dream recall (Cory et al., 1975, Halliday, 1988; Schredl et al., 1998). Un’altra possibilità è che lo stress produca un aumento di qualche parametro neuro-metabolico o fisiologico (come ad esempio la frequenza cardiaca e la frequenza respiratoria) durante il sonno, che a sua volta potrebbe essere legata a un arousal emozionale riflesso nei contenuti delle esperienze mentali del sonno, come si osserva durante la veglia, in cui emozioni più intense sono correlate ad un’attivazione autonomica maggiore (Giora, 1973). Tuttavia, i dati empirici riguardanti il rapporto tra l’intensità emotiva delle esperienze mentali ricordate e i parametri fisiologici dello stato di sonno precedente il risveglio non sono affatto omogenei (vedi Cohen, 1974c). Inoltre, lo stesso effetto che avrebbe lo stress sulla probabilità di dream recall è tutt’altro che chiaro. Sono ad esempio state trovate correlazioni negative tra un forte stress, come ad esempio la perdita di un coniuge, e la DRF (Arkin et al., 1976), mentre si è visto che le comuni seccature quotidiane (daily hassels) producono un aumento della DRF (Pagel et al., 1995). Infine, in uno studio che ha utilizzato il metodo del dream diary (Armitage, 1992) è emersa chiaramente una differenza di genere: le donne tendevano a ricordare i propri sogni più spesso nei periodi di stress, mentre negli uomini si è visto il fenomeno opposto. Un altro insieme di studi supporterebbe l’ipotesi della salienza, se è corretto assumere che la capacità di imagery (vividezza e uso dell’immaginazione) durante la veglia correli con la salienza dei contenuti delle esperienze mentali durante il sonno. Hiscock e Cohen (1973) hanno confrontato le abilità di imagery mediante questionari e compiti di apprendimento in frequent e infrequent recallers, riscontrando in tutte le prove una significativa superiorità dei primi. D’altra parte, una correlazione positiva tra DRF e immaginazione visiva, fantasia e tendenza a “sognare ad occhi 16.

(18) Capitolo II. Dream Recall. aperti” (daydreaming) è emersa in diversi altri studi che hanno valutato la DRF con questionari retrospettivi (Moffitt et al., 1990; Okada et al., 2000; Tonay, 1993) o con misure prospettiche (ad esempio Watson [2003] utilizza un diario di 14 settimane chiedendo l’annotazione quotidiana della presenza/assenza del ricordo di un sogno, ovvero una valutazione dicotomica), entrambe però poco affidabili e precise (vedi § 2.3). Questa relazione non sempre è stata confermata, ad esempio Levin et al. (2003), sempre con una misura dicotomica, trovano solo una debole correlazione con la propensione a fantasticare (fantasy proneness), tra le dimensioni di personalità considerate. Questi dati contraddittori possono essere spiegati con le differenze sia nelle misure di personalità, sia nelle misure del dream recall: dal momento che i metodi prospettici sono più affidabili, occorrerebbe valutare se i contenuti dei dream reports dei soggetti con maggiori punteggi alle scale di personalità siano effettivamente più vividi, bizzarri o emotivamente intensi, solo in questo modo si avrebbe la conferma di una relazione; inoltre una misura dicotomica di dream recall non tiene affatto conto del bias dovuto alla presenza di contentless reports. Un ulteriore problema in questo tipo di ricerche sorge nel momento in cui le caratteristiche delle proprie esperienze mentali del sonno vengono valutate dai soggetti stessi: è stato infatti dimostrato che gli individui con un punteggio elevato nella dimensione dell’absorption, ovvero la propensione ad essere catturati emotivamente e mentalmente da certe esperienze, hanno la tendenza a percepire le proprie esperienze mentali, incluse quelle elaborate durante il sonno, come più marcate e significative (Belicki, 1986). Questo rende difficile valutare la salienza delle AMS come un tratto che ne facilita la codifica in memoria, perché potrebbe essere invece una caratteristica del processo di dream recall che distingue i frequent dagli infrequent recallers. Anche se è possibile che la salienza dei contenuti delle AMS abbia un ruolo nel processo di dream retrieval, in letteratura spesso non si è tenuto conto della “selettività del ricordo differito”, ovvero quello ottenuto al risveglio spontaneo della mattina seguente e riferito alle esperienze mentali avute nel corso della notte. Con questo metodo, tipico dei dream diaries compilati a casa, naturalmente vengono privilegiate le esperienze mentali che precedono il risveglio mattutino, quelle cioè prodotte alla fine del periodo di sonno. Questo effetto di recenza porta a considerare come “tipiche” dell’AMS le caratteristiche dei contenuti delle esperienze mentali elaborate nel corso della seconda metà della notte. È stato però dimostrato che queste esperienze sono più lunghe, con un’organizzazione strutturale più complessa e con elementi di bizzarria più frequenti rispetto alle esperienze mentali della prima parte della notte (Cipolli et al., 1992b; Snyder, 1970). La percentuale di elementi salienti nelle AMS raccolte a casa propria è dunque probabilmente sovrastimata ed è bene considerare attendibili solo i risultati ottenuti in laboratorio. E sono proprio gli studi in laboratorio a suggerire che siano altri i fattori determinanti per l’insuccesso del dream recall.. 17.

(19) Capitolo II. 2.1.3. Dream Recall. L’IPOTESI DELL’INTERFERENZA. Secondo questo modello, derivato dalla teoria classica della memoria, il ricordo di un’esperienza risulta difficoltoso o impossibile se vi sono interferenze tra il verificarsi dell’esperienza e il momento del recupero di quell’esperienza in memoria. Applicato al processo di dream recall, significa che meno interferenze ci sono tra il momento in cui l’esperienza mentale viene generata durante il sonno e il momento in cui viene recuperata dalla memoria durante la veglia successiva, maggiore è la probabilità che possa venir ricordata e di conseguenza raccontata. Cohen (1979) sintetizza con un efficace schema quelli che sono stati ipotizzati essere i fattori più importanti di interferenza nel processo di dream reporting, includendo fattori fisiologici, psicologici (sia disposizionali che situazionali) e ambientali (Fig 2.1).. Figura 2.1 Ipotetiche fonti di interferenza con le informazioni elaborate durante il sonno e durante il risveglio nella produzione del dream report (fonte: Cohen, 1979, p. 177).. L’autore mette in evidenza 5 possibili momenti di interferenza tra il processo di produzione di AMS e quello del dream report: 1) nel processo di conversione delle informazioni reclutate dalla memoria a lungo termine (struttura “profonda” dell’esperienza mentale) nelle caratteristiche immaginative e verbali dell’esperienza mentale come viene vissuta (struttura “superficiale”), è possibile che intervengano fonti di interferenza a livello fisiologico, come ad esempio lo stadio di sonno, 18.

(20) Capitolo II. Dream Recall. REM vs NREM, in cui le variabili determinanti potrebbero essere la “tensione” neuromuscolare o i movimenti corporei dell’attuale fase di sonno, che agirebbero aumentando o riducendo la salienza dell’esperienza mentale prodotta (ad esempio Dement e Wolpert [1958] trovano una correlazione tra la lunghezza dei dream reports e le variazioni di intensità, durata e momento di occorrenza dei movimenti corporei) oppure interferenze di tipo psicologico, come il tipo di informazioni da convertire o le capacità di imagery (in alcuni studi emerge una correlazione tra le abilità di immaginazione in veglia e alcune caratteristiche delle AMS, come la vividezza e la ricchezza di percezioni sensoriali), due variabili correlate alla salienza dei contenuti stessi (vedi anche § 2.1.2). 2) durante lo svolgimento dell’esperienza mentale: in linea di principio, il livello di attenzione prestata all’AMS in corso, legata a sua volta al livello di consapevolezza verso i suoi contenuti, determina il grado di salienza che l’individuo vi attribuisce e di conseguenza la maggiore o minore facilità di dream recall al successivo risveglio. Anche in questo caso sono stati chiamati in causa i movimenti oculari (Antrobus et al. [1964a] ad esempio ipotizzano a partire da dati comportamentali durante la veglia che la densità di movimenti oculari durante la fase REM possa essere indice del tentativo di evitare di prestare attenzione agli eventi mentali in corso, e a supporto di questa ipotesi in uno studio successivo [Antrobus et al., 1964b] hanno riscontrato una frequenza maggiore di REMs nel gruppo dei nonrecallers rispetto ai recallers, peraltro al contrario delle previsioni fatte in base a studi precedenti che trovarono una correlazione positiva fra REMs density e attività o ricerca visiva nelle esperienze mentali riferite) o la tensione muscolare come correlati dell’attenzione durante l’AMS, ma sia questa ipotesi di interferenza sia quella precedente possono contare solo su prove empiriche che portano a riflessioni largamente speculative (anche l’ultimo studio citato, infatti, mostra risultati largamente suscettibili di critiche per la suddivisione tra i due gruppi fatta mediante questionari soggettivi di DRF, successivamente non confermata dalla DRF riscontrata in laboratorio). Appare comunque chiaro che possibili interferenze nel corso della costruzione e dello svolgimento dell’esperienza mentale del sonno siano strettamente legate a un incremento o ad una riduzione della salienza dei contenuti e che quindi non si possano individuare fattori distinti da quelli elencati a proposito della teoria della salienza. 3) durante il risveglio è possibile che intervengano variabili legate alla transizione di stato che potrebbero influenzare il successivo recupero delle esperienze mentali avute durante il sonno. In particolare, Cohen cita: a) la dipendenza di stato, ovvero la distanza in termini fisiologici e psicologici tra il sonno e la veglia (discussa più estesamente nello state-shift functional model); b) la soglia di risveglio: sembra esservi una correlazione tra dream recall e la soglia di risveglio indotto a seguito di uno stimolo acustico (Zimmerman, 1970), presumibilmente in funzione del livello di arousal corticale durante il sonno; c) il metodo di risveglio: il dream recall è facilitato da un risveglio brusco rispetto a un risveglio graduale, almeno per quanto riguarda le AMS elaborate in sonno REM (Goodenough et al., 1965; Shapiro et al., 1963), 19.

(21) Capitolo II. Dream Recall. presumibilmente perché un risveglio immediato e rapido limita la probabilità che intervengano delle distrazioni tra il momento del risveglio e quello del ricordo; questo spiegherebbe perché la DRF negli esperimenti condotti in laboratorio è molto più alta rispetto a quella riscontrata negli studi con diari domiciliari o questionari retrospettivi, soprattutto per i low recallers. 4) dopo il risveglio potrebbero agire fattori di distrazione sia interni che esterni. Tra i più importanti vi sono senza dubbio le interferenze determinate dalle attività tipiche dei primi minuti dopo il risveglio (ad es., pensare a ciò che si dovrà fare subito dopo o durante la giornata, parlare con un’altra persona, telefonare, cercare informazioni in memoria, impegnarsi nella preparazione della colazione, etc.), tutte attività che, distogliendo l’attenzione dell’individuo dai contenuti dell’ultima esperienza mentale avuta e, ancor di più da quelle precedenti, diminuiscono la probabilità di ricordarle. Cohen e Wolfe (1973, esperimento IV) hanno dimostrato il forte effetto inibitorio sul dream recall che può avere un semplice compito subito dopo il risveglio. Il compito interferente consisteva nel dover telefonare al servizio di previsioni meteorologiche e annotare i dati relativi alla temperatura prevista per quel giorno, e solo successivamente scrivere i contenuti delle esperienze mentali del sonno di cui si conservava un ricordo. Il risultato mostra un chiaro effetto di riduzione dei contentful reports e di aumento dei contentless reports (nessuna differenza invece per quanto riguarda i dreamless reports) nel gruppo sperimentale rispetto al gruppo di controllo, supportando l’ipotesi dell’interferenza dopo il risveglio. Un fattore in grado di limitare gli effetti interferenti di attività o pensieri distraenti dopo il risveglio è il livello di motivazione ed interesse che l’individuo mostra nei confronti delle proprie AMS. Ad esempio, sempre Cohen e Wolfe (1973, esperimento V) riscontrano un aumento del dream recall manipolando l’atteggiamento dei partecipanti nei confronti del significato e della portata delle esperienze mentali del sonno che avrebbero raccontato durante l’esperimento (prima del sonno era stato detto loro che i dream reports sarebbero stati utilizzati per inferire aspetti psicopatologici della personalità: l’effetto non fu di una maggiore rimozione o soppressione del ricordo, ma al contrario una maggior attenzione ai contenuti, soprattutto per gli infrequent recallers abituali). In altri studi è stato dimostrato che la sola partecipazione ad uno studio sulle AMS e l’incoraggiamento a ricordarli da parte degli sperimentatori (vedi anche Cohen e Cox [1975], in cui la manipolazione della situazione presleep al fine di favorire il coinvolgimento dei partecipanti nelle procedure sperimentali aumenta la probabilità di dream recall) sono fattori in grado di stimolare nei soggetti la motivazione verso il compito di dream recall con conseguenti effetti positivi sulla DRF (vedi § 2.3 sulle differenze tra home e laboratory dreams). Il ruolo delle “distrazioni” interne (come la tensione muscolare, prima citata) è controverso e presenta i limiti prima discussi a proposito del focus attenzionale durante lo svolgimento delle AMS. Cohen, infine, cita le capacità di recall come possibile fonte di interferenza a questo stadio, riferendosi da una parte alle capacità mnestiche individuali (per una discussione vedi § 20.

(22) Capitolo II. Dream Recall. 2.2.3), dall’altra al funzionamento preferenziale degli emisferi cerebrali. Assumendo infatti che la qualità dell’immaginazione (per la produzione delle esperienze mentali durante il sonno) sia più dipendente dall’emisfero destro e gli aspetti verbali (indispensabili per il racconto delle esperienza stesse) dipendano maggiormente dall’emisfero sinistro, un’inibizione del trasferimento delle informazioni da uno all’altro potrebbe dunque ridurre la probabilità di fornire un dream report. Resta però una riflessione speculativa, solo in parte supportata da studi neuropsicologici su pazienti con lesioni o commissurotomizzati. 5) durante il dream report potrebbero influenzare la qualità e la quantità dei contenuti ricordati sia alcune caratteristiche di personalità (su questo argomento la letteratura appare abbastanza controversa e sarà discussa nel § 2.2.4), sia un fattore situazionale come la presenza di altre persone, come nel caso degli sperimentatori nelle interviste in laboratorio (Fox et al., 1968). Quest’ultima variabile spiegherebbe la ridotta presenza di dream reports ad alto contenuto emotivo negli esperimenti di laboratorio rispetto a quelli a casa, dove l’ascolto o la lettura dei resoconti sono differiti rispetto al momento in cui vengono forniti, ma anche su questo punto i risultati degli studi empirici non sono del tutto sovrapponibili, a causa dei diversi sistemi di scoring dei contenuti dei resoconti (Hall e Van de Castle, 1966; Weisz e Foulkes, 1970). Questa esaustiva discussione porta Cohen a ritenere che la teoria dell’interferenza, in combinazione con l’ipotesi della salienza, sia il modello generale più robusto per spiegare le differenze intra- e inter-individuali nel dream recall e nella DRF.. 2.1.4. IL MODELLO DI AROUSAL-RETRIEVAL. Secondo il modello di arousal-retrieval (attivazione-recupero) proposto da Koulack e Goodenough (1976) il processo di ricordo di un’esperienza mentale del sonno si articola in due fasi distinte. Il modello si basa sulla teoria classica della memoria a più stadi (e in particolare al cosiddetto concetto di consolidazione “rapida”), secondo la quale l’elaborazione cognitiva delle informazioni nella memoria a breve termine (MBT), mediante processi di riorganizzazione, raggruppamento e ricodifica, promuoverebbe la consolidazione del materiale nella memoria a lungo termine (MLT) consentendone il successivo recupero. Senza questo tipo di elaborazione il materiale può ugualmente venir conservato nel magazzino a lungo termine, ma il successivo recupero risulta molto più difficoltoso. Gli autori assumono che l’efficacia di tale elaborazione dipenda almeno da due fattori: il livello di attivazione nel momento del passaggio da un magazzino all’altro e la presenza di distrattori nel momento del recupero delle informazioni. Il primo stadio per giungere al dream recall prevede che il livello di arousal fisiologico, e in particolare corticale, sia al di sopra di una soglia minima. Questa attivazione potrebbe risultare notevolmente ridotta durante il sonno, ostacolando l’elaborazione del materiale relativo all’AMS da parte dei processi della memoria a breve termine; ne consegue che i dettagli dell’esperienza mentale. 21.

(23) Capitolo II. Dream Recall. del sonno possono ugualmente essere immagazzinati nella MLT ma in una forma a cui non è facile accedere in un secondo momento. In questa prospettiva, è previsto un insuccesso del processo di dream recall se l’individuo non si sveglia nel momento in cui l’esperienza mentale viene prodotta. Se infatti vi è un sufficiente livello di arousal in concomitanza con la vita della traccia a breve termine, il contenuto dell’esperienza mentale può essere recuperato direttamente dalla MBT. A sua volta questo ricordo fungerebbe da cue per l’accesso al magazzino a lungo termine, consentendo al soggetto di richiamare alla memoria anche parte dei contenuti precedenti della medesima esperienza mentale. Al contrario, se il risveglio avviene oltre il periodo di persistenza della traccia a breve termine, il recupero mnestico della precedente AMS potrebbe risultare molto più difficile e dar luogo a un insuccesso del dream recall. Nella seconda fase prevista dalla teoria, ovvero il processo di recupero del materiale perché possa essere raccontato, assume importanza, oltre che il momento del risveglio, la presenza di distrazioni. Per spiegare questo punto, gli autori integrano nel loro modello le scoperte a sostegno dell’ipotesi dell’interferenza, della salienza e in parte anche della rimozione. In sintesi, ritengono che le caratteristiche relative al livello di attivazione e ai possibili fattori distraenti (che possono causare un’interferenza col processo di recupero, una diminuzione della salienza dei contenuti o la tendenza a rimuovere informazioni emozionalmente inaccettabili) siano in grado di spiegare il corpus di dati disponibile in letteratura sulla variabilità interindividuale nel morning dream recall. Il modello di arousal-retrieval sembra essere supportato anche dai risultati degli studi sull’apprendimento durante il sonno, se si assume che i processi ipnici che hanno effetti inibitori sull’apprendimento di materiale somministrato mentre i soggetti stanno dormendo potrebbero essere i responsabili anche delle difficoltà di dream recall. Ad esempio, in una serie di esperimenti in laboratorio condotti da Koukkou e Lehmann (vedi Lehmann e Koukkou, 1973) i volontari sono stati in grado di apprendere frasi che venivano lette loro durante il sonno. Tuttavia, è emerso che la quantità di stimoli verbali ricordata era funzione della durata dell’arousal (misurato in base alla presenza di onde alfa) indotto dagli stimoli. Gli autori suggeriscono che “…la durata del pattern EEG di veglia successivo alla presentazione delle frasi riflette il tempo disponibile per l’immagazzinamento nella MLT del materiale da ricordare in una forma recuperabile” (Koukkou e Lehmann, 1968, p. 461). In altri studi (Jus e Jus, 1972; Jus et al., 1969) sono state presentate parole e suoni durante il sonno, il cui successivo ricordo si è dimostrato correlato, anche in questo caso, con la durata dell’arousal prodotto dagli stimoli. Infine, in un altro studio di Evans e Orchard (1969) i partecipanti sono stati in grado di ricordare il materiale associativo presentato loro durante il sonno solo se compariva nel tracciato EEG una scarica di onde alfa, indice di arousal, entro 30 secondi dalla presentazione dello stimolo. In base ai risultati di questi esperimenti appare chiaro che le informazioni vengono immagazzinate solo se il cervello mostra un certo grado di attivazione (e se il materiale somministrato non è particolarmente complesso, vedi Aarons, 1976), anche se nella relazione funzionale tra questo tipo di recupero mnestico e il dream recall proposta da Koulack e Goodenough (1976) non si tiene conto in realtà delle possibili differenze nel processo di 22.

(24) Capitolo II. Dream Recall. consolidazione in memoria a seconda che l’origine del materiale sia interna (per le AMS) od esterna (per gli stimoli usati in questi esperimenti). Gli autori concludono affermando che è necessario che l’esperienza mentale sia seguita da un periodo di veglia privo di fattori distraenti perché la traccia ancora presente nella MBT possa venir ricordata e quella immagazzinata precedentemente possa essere recuperata. Questo spiegherebbe da una parte perché le esperienze mentali elaborate nella prima parte della notte vengono ricordate molto raramente, mentre quelle più prossime al risveglio mattutino risultano molto più accessibili alla memoria (Schonbar, 1961), e dall’altra perché la frequenza di risvegli notturni correla positivamente con la probabilità di dream recall e in generale con la DRF (Schredl, 1995). Si possono infine ricordare alcuni studi (Meier et al., 1968; Trinder e Kramer, 1971) in cui si dimostra l’influenza di alcuni fattori classici della teoria della memoria (salienza dello stimolo, interferenza, priorità-recenza) sul ricordo mattutino di dream reports forniti nella prima parte della notte, studi che non sono immediatamente rilevanti per la questione del dream recall, ma suggeriscono che la comprensione dei meccanismi che portano al successo o all’insuccesso di questo processo non possa prescindere dalle capacità mnestiche individuali (vedi § 2.2.3) e in generale dai vincoli a cui è sottoposto il funzionamento della memoria.. 2.1.5. IL MODELLO DELLA TRANSIZIONE FUNZIONALE DI STATO (FUNCTIONAL STATE-SHIFT MODEL). Il functional state-shift model proposto da Koukkou e Lehmann (Koukkou e Lehmann, 1981; Lehmann e Koukkou, 1983) postula due differenti stati funzionali di attivazione cognitiva, il sonno e la veglia, associati a differenti strategie di elaborazione e immagazzinamento in memoria delle informazioni e a differenti pattern EEG. Secondo questa ipotesi, l’informazione può circolare abbastanza facilmente da uno stato funzionale di alta attivazione (la veglia) a uno stato funzionale di attivazione più bassa (il sonno), mentre risulta molto più difficoltoso il passaggio inverso. Questo spiegherebbe da una parte la frequente intrusione o incorporazione di elementi ed esperienze apprese durante la veglia nell’attività mentale durante il successivo periodo di sonno, dall’altra le difficoltà di dream recall a causa dei limiti che la coscienza in veglia ha sull’accesso alle informazioni elaborate durante il sonno. In particolare, gli autori ipotizzano che il processo di dream recall risulti tanto più difficile quanto più lo stato di sonno in cui l’AMS è stata elaborata sia distante, in termini di attivazione cerebrale complessiva, da quello della veglia. L’oblio delle esperienze mentali sviluppate durante il sonno dipenderebbe quindi dall’ampiezza della differenza di attivazione tra lo stato fisiologico nel momento della consolidazione in memoria e lo stato fisiologico nel momento del recupero del materiale. Questa ipotesi può essere vista come l’applicazione al processo di dream recall della nozione di “dipendenza di stato” (statedependency), indagata prevalentemente in esperimenti di apprendimento in veglia. Un buon esempio di questo fenomeno è stato descritto in uno studio sul modello animale di Chute e Wright 23.

(25) Capitolo II. Dream Recall. (1973), in cui è stato somministrato a metà di un campione di ratti un farmaco sedativo, il fenobarbital (condizione drug) e all’altra metà una soluzione salina (condizione nondrug) subito dopo la prima prova di acquisizione di un compito di evitamento passivo. Dopo 24h, è stato testato il ricordo della risposta appresa ricreando le condizioni drug vs nondrug in modo tale che la metà di ogni gruppo ha eseguito il compito nella stessa condizione in cui lo aveva appreso e l’altra metà nell’altra condizione. In accordo con le previsioni, le migliori performances sono state registrate per i due gruppi di ratti nei quali la consolidazione delle informazioni apprese e il test dopo 24h si sono svolti nella stessa condizione (drug-drug oppure nondrug-nondrug). Estendendo questi risultati al problema del dream recall, Cohen (1979, p. 173) ipotizza che il recupero dei contenuti dell’AMS possa essere influenzato dal grado con cui l’individuo sveglio si trova “in sintonia” (“in tune with”) con l’esperienza mentale elaborata durante il sonno precedente. Inoltre suggerisce (p. 175) che, se i fenomeni di dipendenza di stato sono determinati dalla “differenza” o “distanza” psicobiologica tra gli stati, allora gli individui con state boundaries più marcati dovrebbero esibire maggiori difficoltà a ricordare le proprie esperienze mentali del sonno (in particolare le AMS elaborate in sonno NREM, in quanto dal punto di vista psicobiologico gli stadi NREM sono apparentemente più distanti dalla veglia rispetto alla fase REM). Vi sono alcune evidenze empiriche a supporto di questa ipotesi. Ad esempio, tende ad esserci una correlazione tra il dream recall e la soglia di risveglio indotto a seguito di uno stimolo acustico (Zimmerman, 1970), ciò significa che quanto più la transizione dal sonno alla veglia risulta difficoltosa, tanto meno è probabile che l’esperienza mentale elaborata durante il sonno venga ricordata. Tuttavia, un insuccesso del dream recall subito dopo il risveglio può essere seguito da un ricordo differito nel corso della giornata, probabilmente in funzione del basic rest activity cycle (per il quale si avrebbero fasi di veglia che simulano o approssimano lo stato del sonno REM in cui l’AMS si era prodotta) congiuntamente a cue esterni che permettono il recupero dalla MLT del materiale dell’AMS a cui si collegano (Cohen, 1979, p. 176). A differenza del modello di arousal-retrieval, in questo caso si assume che il sonno non sia uno stato omogeneo di scarsa attivazione cerebrale e che quindi sia necessario per il processo di dream recall un periodo di veglia che permetta l’elaborazione e la consolidazione delle informazioni, ma che possano esserci fluttuazioni nell’attività funzionale del cervello in concomitanza, ad esempio, con stadi diversi di sonno. Si considera in generale che dal punto di vista psicobiologico gli stadi NREM siano più distanti dalla veglia rispetto alla fase REM, pertanto ne consegue una più alta probabilità di ricordare un’esperienza mentale dopo un risveglio in sonno REM, come si riscontra effettivamente nella maggior parte degli studi condotti in laboratorio con risvegli programmati. L’attivazione cognitiva di cui parlano gli autori ha come correlato l’attivazione riscontrata in alcuni parametri fisiologici rilevati negli studi polisonnografici condotti nei laboratori del sonno, come la frequenza respiratoria, i movimenti oculari e soprattutto l’attività elettroencefalografica. Tuttavia, gli studi che hanno cercato di valutare questa ipotesi basandosi sul monitoraggio dei 24.

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