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III. ASPETTI QUANTITATIVI E STRUTTURALI delle ATTIVITÀ

4.1 La narcolessia con cataplessia

4.1.3 P ATOFISIOLOGIA

Anche se la patogenesi della narcolessia è ancora oggi sconosciuta, sono stati fatti notevoli passi avanti per quanto riguarda l’individuazione delle alterazioni neurochimiche e neuroanatomiche che sembrano essere associate ad un rischio maggiore di sviluppare la patologia. Gli studi patofisiologici, naturalmente, si sono concentrati sulle possibili anomalie a carico dei centri per la regolazione del ritmo sonno-veglia, in particolare sui meccanismi di controllo del sonno REM, da cui sembra dipendere la maggior parte dei sintomi fondamentali (sonnolenza, cataplessia, paralisi del sonno).

Il principale marker fisiologico associato alla narcolessia sembra essere un deficit dell’ipocretina-1 (orexina-A), che in più del 90% dei pazienti NC risulta molto bassa o addirittura non rilevabile nel liquido cerebrospinale (Dauvilliers et al., 2003; Mignot et al., 2002; Nishino et al., 2000; Ripley et al., 2001). Per arrivare a questa scoperta sono stati determinanti gli studi sui modelli animali, in particolare quello canino e quello murino, che hanno anche permesso di far luce sui meccanismi monoaminergici e colinergici coinvolti nello sviluppo della cataplessia e dell’EDS (vedi le rassegne di Mignot, 2000, e Plazzi, Serra e Ferri, 2008). In seguito, indagini autoptiche post-mortem su cervelli di pazienti NC hanno dimostrato un’effettiva riduzione del numero di neuroni ipotalamici ipocretinergici (Thannickal et al., 2000)

Le ipocretine sono peptidi ipotalamici, che svolgono un ruolo cruciale nell’alternanza del sonno e della veglia, stabilizzando l’equilibrio verso l’uno o l’altro dei due stati. Sono inoltre coinvolte nell’alternanza delle fasi REM e NREM. L’ipocretina-1, in particolare, sembra essere coinvolta in numerose funzioni, con il ruolo principale di integrare fra loro le informazioni metaboliche con quelle circadiane e con il debito di sonno, per consentire all’individuo di restare addormentato, oppure di essere sveglio e attivo. L’ipocretina-1, inoltre, non solo stimola in modo importante la veglia, ma fa anche aumentare la temperatura corporea, promuove la locomozione e il tono muscolare e induce un forte aumento della spesa energetica. L’inibizione dell’ipocretina attraverso le stimolazioni GABAergiche dell’area preottica e dei nuclei della base sembra essere cruciale per innescare il sonno; infatti, durante il sonno profondo NREM, si osserva una minore attività delle cellule secernenti ipocretina rispetto alla veglia. Durante le fasi REM, invece, non è chiaro se l’attività ipocretinergica diminuisca (Torterolo et al., 2001) o aumenti (Alam et al., 2002). Saper et al. (2001) hanno proposto un meccanismo di alternanza discreta fra gli stati di sonno e di veglia, attraverso il quale, in sovrapposizione all’andamento lento e continuo delle variazioni circadiane e omeostatiche, si producono cambiamenti di stato rapidi e discreti. Le ipocretine

fungerebbero da stabilizzatrici, prevenendo passaggi inappropriati fra il sonno e la veglia. Questo meccanismo, detto di “flip-flop” (termine mutuato dall’ingegneria elettrica), è stato recentemente riproposto (Lu et al., 2006) per spiegare anche i passaggi di stato fra sonno REM e NREM: le due fasi sarebbero controllate da due aree cerebrali distinte, che si inibiscono reciprocamente, consentendo un passaggio discreto fra le due fasi. Questo meccanismo è stabilizzato dall’ipocretina, la cui mancanza determina un indebolimento sia dello stato di veglia, rispetto all’equilibrio sonno- veglia, sia della fase NREM, rispetto all’equilibrio REM/NREM.

Dal modello canino e dagli esperimenti di manipolazione farmacologica in particolare, sono emerse importanti evidenze per determinare le anomalie colinergiche e monoaminergiche in conseguenza del deficit di ipocretina-1 nella narcolessia. Nishino e Mignot (1997) hanno suggerito che alla base delle alterazioni del sonno REM possa esservi un’ipersensibilità colinergica anatomicamente diffusa nella formazione reticolare pontina e nel prosencefalo basale. Altri esperimenti presi in rassegna dagli autori hanno indagato il ruolo del sistema dopaminergico mesocorticolimbico nella cataplessia e nell’EDS. In particolare, una ipoattivazione dopaminergica potrebbe essere coinvolta nella modulazione della sonnolenza (attraverso proiezioni corticali) e nel trigger emozionale degli attacchi cataplettici (attraverso proiezioni limbiche). Gli attuali modelli neuroanatomici della narcolessia suggeriscono dunque uno squilibrio colinergico/monoaminergico (Figura 4.3).

Figura 4.3. Modello di controllo neurofarmacologico e neurochimico della cataplessia e dell’eccessiva sonnolenza diurna. Si ritiene che i farmaci antidepressivi prescritti per la cataplessia agiscano primariamente aumentando il tono

adrenergico (inibizione dell’uptake dell’adrenalina). Il sistema serotoninergico è meno attivo durante il sonno REM, ma l’aumento del tono serotoninergico mediante inibitori selettivi del re-uptake della serotonina riduce il sonno REM ma non la cataplessia nei cani narcolettici. Gli stimolanti più comunemente prescritti promuovono la veglia incrementando la trasmissione dopaminergica presinaptica (inibizione dell’uptake o aumento del rilascio della dopamina). (fonte: Mignot, 2000, p. 668)

La narcolessia nei modelli animali è principalmente dovuta ad alterazioni genetiche a carico del sistema ipocretinergico, ma negli esseri umani le mutazioni di questi geni sono rare. Si ritiene, pertanto, che le disfunzioni ipotalamiche della narcolessia umana possano essere dovute ad una combinazione di fattori genetici ed ambientali. A livello genetico, in particolare, sono emerse correlazioni positive tra la frequenza di alcuni alleli del sistema HLA e il rischio di sviluppare la patologia. Risale agli anni ’80 la scoperta che molti pazienti NC risultano positivi al HLA DR2 (Honda et al., 1983). La tipizzazione ad alta risoluzione ha poi rivelato una più stretta associazione tra narcolessia e HLA DQB1*0602, che è positivo nel 95% dei pazienti narcolettici con cataplessia, nel 41% dei pazienti senza cataplessia e solo nel 18-35% della popolazione generale (Mignot et al., 1994, 1997). Anche se non è ancora chiaro il significato di questa associazione tra la narco- cataplessia e gli antigeni del sistema immunitario, essa tuttavia suggerisce che la narcolessia possa essere una patologia autoimmune (per una discussione vedi Scammell et al., 2006), come è noto in altre patologie che coinvolgono il sistema HLA.

Per indagare i correlati morfologici e funzionali a livello cerebrale, sono state impiegate diverse tecniche di neuroimaging (morfometria, PET, SPECT), che in alcuni studi hanno dimostrato alterazioni microstrutturali nei pazienti NC, in particolare nell’ipotalamo, nel talamo, nell’amigdala e in altre regioni sottocorticali e corticali (Buskova et al., 2006; Draganski et al., 2002; Kim et al., 2009; Lodi et al., 2004; Poryazova et al., 2009; Tonon et al., 2009), non confermate, tuttavia, in altri lavori (Brenneis et al., 2005; Kaufmann et al., 2002; Overeem et al., 2003b). Durante un attacco cataplettico, invece, è emersa una iperperfusione, rispetto alla baseline misurata durante la veglia e il sonno REM, nel talamo e in altre strutture cerebrali del circuito amigdala – corteccia – gangli della base – tronco encefalico (Hong et al., 2006), risultati non replicati, tuttavia, in un altro studio (Chabas et al., 2007). L’esistenza di risultati contraddittori in questi studi di imaging è probabilmente dovuta a differenze nelle metodologie utilizzate e alla variabilità dei gruppi clinici (campioni poco numerosi, tipizzazione HLA, presenza o meno di cataplessia e comorbidità con altri disturbi, durata della malattia, o anamnesi farmacologica).