• Non ci sono risultati.

I NFLUENZE U LTRADIANE E C IRCADIANE : IL RUOLO DELL ’A TTIVAZIONE C ORTICALE

III. ASPETTI QUANTITATIVI E STRUTTURALI delle ATTIVITÀ

3.3 Fattori fisiologici e cronobiologici

3.3.3 I NFLUENZE U LTRADIANE E C IRCADIANE : IL RUOLO DELL ’A TTIVAZIONE C ORTICALE

C

ORTICALE

Gli effetti sulle AMS dovuti allo stadio di sonno e al time-of-night in cui vengono prodotte sono stati interpretati come conseguenza di variazioni nell’attivazione corticale durante il sonno, definita dal livello desincronizzazione EEG, a sua volta ritenuta responsabile di variazioni nell’attivazione cognitiva (immagazzinamento, recupero e rielaborazione di informazioni) (Antrobus, 1991, Antrobus et al., 1995). Secondo Antrobus (1991), il pattern caratterizzato da una vivida imagery visiva e l’impianto narrativo story-like di una certa lunghezza e con numerose componenti di bizzarria, che differenziano i REM dai NREM reports e i reports raccolti nella seconda parte della notte rispetto a quelli raccolti nella prima parte, sono dovuti all’aumento dell’intensità dell’attivazione corticale e cognitiva, che interessa tanto lo stato fisiologico quanto la modalità di elaborazione delle informazioni in sonno REM e negli ultimi cicli di sonno, rispettivamente. La formalizzazione di questa ipotesi trova compimento nel Modello a Doppio Ritmo (Dual Rhythm Model), recentemente proposto dallo stesso gruppo di ricerca (Wamsley et al., 2007). Entrambe le fonti di attivazione (l’oscillazione ultradiana NREM-REM e quella circadiana con acrofase intorno alle 8 del mattino) sembrano produrre un effetto additivo sull’elaborazione cognitiva necessaria per lo sviluppo dell’AMS. Il modello postula, accanto a queste due fonti di attivazione, anche l’influenza del processo omeostatico (il processo S, secondo il modello ormai

classico di Borbély, 1982) per rendere conto dei cambiamenti che si osservano considerando il time- of-night.

Un ritmo circadiano del livello generale di attivazione corticale emerge dal ciclo endogeno di 24h dello stato di vigilanza e delle prestazioni cognitive (Wamsley e Antrobus, 2007). Le stesse componenti dell’EEG rivelano l’esistenza di una modulazione circadiana dell’attivazione cerebrale. In particolare, il picco dello spettro del fast spindle range ( 14 Hz), il nadir dell’attività alfa in REM e la massima pressione di sonno REM si concentrano nelle ore più avanzate del mattino, in corrispondenza dell’aumento della temperatura basale (Wamsley e Antrobus, 2007).

L’effetto del time-of-night potrebbe essere anche influenzato da fattori omeostatici, dipendenti, cioè, dalla quantità di sonno e di veglia precedenti. L’attività NREM a onde lente a frequenza delta (SWA, slow wave activity) viene generalmente considerata l’indicatore fisiologico della pressione di sonno (il processo S), che aumenta durante la veglia e si riduce solo dormendo. Secondo il Modello a Doppio Ritmo la pressione di SWA può essere considerata come un processo che produce un minor grado di attivazione elettroencafolografica (con un picco nelle prime ore della notte) e che, riducendosi man mano che aumentano le ore di sonno, correla negativamente con l’incremento della vividezza e della complessità delle esperienze mentali del sonno. Wittmann e coll. (2004) hanno studiato nello specifico l’attivazione corticale in sonno NREM in relazione alla produzione di AMS. Per quantificare il grado di attivazione, hanno utilizzato i criteri proposti da Wollman e Antrobus (1987) per definire le soglie di decremento della potenza spettrale EEG inferiore agli 8 Hz e di incremento delle onde superiori ai 12 Hz. Dai risultati del loro esperimento emerge una correlazione positiva tra la lunghezza dei reports e l’aumento di attivazione corticale con l’avanzare dei cicli di sonno (mentre non è stata trovata alcuna relazione con la frequenza di dream recall). In un altro studio che ha utilizzato l’analisi spettrale (Esposito et al., 2004), in cui sono state correlate le variazioni EEG in diverse bande di frequenza e il numero di contentful reports ottenuti dopo i risvegli programmati, è emerso un pattern che conferma l’ipotesi dell’attivazione corticale come espressione fisiologica delle oscillazioni delle AMS: il successo del dream recall è risultato infatti essere significativamente correlato ad una riduzione delle frequenze alfa e delta nei minuti precedenti il risveglio (sul significato del ritmo alfa in associazione a diversi tipi di prestazioni cognitive e mnestiche si veda la rassegna di Klimesch, 1999).

Tra i due processi, omeostatico e circadiano, sembra comunque che prevalga il secondo, in accordo con i risultati di Suzuki et al. (2004), che hanno eliminato il problema del fattore omeostatico, utilizzando un protocollo di desincronizzazione forzata totale. Occorre ribadire, tuttavia, che il successo nel controllo sull’influenza del processo S viene controbilanciato, in quest’ultimo studio, da grossi limiti legati alla modalità di raccolta dei dati (vedi § 3.2.1), che rendono poco attendibili e generalizzabili i risultati di questo lavoro. In mancanza di un controllo sull’intervallo tra lo SO e il risveglio seguito dalla dream interview, la maggior parte degli studi non è in grado di disambiguare la questione sull’influenza dei due processi, omeostatico e circadiano, sull’AMS.

Al livello generale di attivazione corticale, preso in esame negli studi sopra-citati, occorre aggiungere i cambiamenti diffusi a cui vanno incontro i sistemi di trasmissine neurochimica cerebrale. Senza entrare ora in una questione molto complessa e non pertinente ai nostri scopi, si può comunque fare un accenno ad una teoria molto nota che sintetizza i contributi più importanti in questo ambito, ovvero il Modello AIM (Activation, Input Source, Modulation) di Hobson e colleghi (per una rassegna recente vedi: Hobson et al., 2000), che ha l’ambizione di rappresentare un modello delle relazioni tra cervello e mente secondo 3 dimensioni principali: (1) la capacità di elaborazione delle informazioni del sistema (attivazione), che corrisponderebbe al livello generale di arousal corticale; (2) l’origine interna od esterna delle informazioni processate (input); (3) la modalità di elaborazione (neuro-modulazione chimica del sistema nervoso centrale). Ne risulta un modello a spaziale a tre dimensioni in grado di esemplificare diversie dinamiche neurobiologiche, cognitive e psicologiche dell’alternanza degli stati sonno/veglia. In particolare, la forte diminuzione della disponibilità di neurotrasmettitori aminergici in sonno REM rispetto alla veglia viene considerata responsabile della riduzione del livello di attenzione, del pensiero volontario, della consapevolezza di sé, della memoria a breve e a lungo termine e della capacità introspettiva.

Infine, occorre sottolineare come il termine “attivazione” non sia affatto un concetto unitario: esso assume infatti un significato molto diverso se riferito alla veglia oppure al sonno (in cui si può assistere a un analogo pattern di desincronizzazione EEG, che però occorre interpretare diversamente in base allo stato in cui si trova l’individuo) e in base al metodo di indagine implementato. Ad esempio, negli studi di brain imaging la definizione di attivazione corrisponde alla distribuzione nelle diverse parti del cervello di una determinata sostanza che gli strumenti sono in grado di tracciare. Inoltre, sarebbe del tutto errato concludere che una bassa attivazione, anche minima, corrisponde a una totale mancanza di elaborazione cognitiva, non solo perché vi è una percentuale di dream recall in SWS quasi pari allo stadio 2 NREM, ma anche perché vi sono buone ragioni per ritenere che lo SWS sia una condizione ideale per l’elaborazione e l’immagazzinamento nella memoria a lungo termine di informazioni di tipo episodico, quindi dichiarativo, e per la promozione della consolidazione di informazioni di tipo procedurale (per una rassegna vedi Rauchs et al., 2005). È plausibile ritenere che l’elaborazione delle informazioni sia un processo attivo durante tutto l’arco delle 24 ore, ma solo una parte dell’output dell’insieme di processi che la sostengono raggiunge il livello di coscienza, in forma di pensieri o immagini mentali durante la veglia ed esperienze mentali durante il sonno. Questa ipotesi trova compimento formale nella teoria della rielaborazione off-line (Stickgold, 1998; Stickgold et al., 2001a), secondo la quale l’AMS non sarebbe altro che il risultato “fenomenico” dei meccnismi di rehearsal delle informazioni apprese durante la veglia, necessario alla consolidazione dei ricordi; la porzione cosciente di questo processo sarebbe dunque soggetta a variazioni in qualità e quantità, dipendenti dalle oscillazioni circadiane e ultradiane emerse per numerose altre funzioni psicofisiologiche.

Un alto livello di attivazione corticale durante il sonno potrebbe in definitiva fungere da sostrato a quella “organizzazione cosciente” che Foulkes (1985) colloca al livello più avanzato nel suo modello di produzione delle AMS.

IV

ATTIVITÀ MENTALI DEL SONNO e SLEEP

DISORDERS: il caso della NARCO-CATAPLESSIA

Una delle questioni più importanti nella ricerca psicofisiologica sulle AMS riguarda l’interazione tra i processi cognitivi e i processi fisiologici alla base delle esperienze mentali del sonno. Rispetto all’AMS in fase REM, si ritiene che le variazioni nell’architettura che il sonno REM subisce a causa del time of night, delle abitudini di sonno e di eventuali disturbi del sonno (Foulkes, 1981) possano fornire utili indicazioni sulle modalità con le quali questi due processi interagiscono. Lo studio delle attività cognitive durante il sonno in soggetti che presentano anomalie nell’organizzazione del sonno risulta particolarmente interessante perché permette di superare un vincolo strutturale che si presenta nello studio dei soggetti sani: la rigidità della successione degli stadi di sonno (NREM-REM) all’interno dei singoli cicli.

Secondo l’assunto di base che ha dato impulso a questi studi, l’AMS emerge da corrispondenti processi fisiologici, per buona parte ancora sconosciuti, che potrebbero essere in vario modo alterati dalle diverse patologie del sonno, con la conseguente alterazione anche dei processi cognitivi che da essi originano. Appare dunque un campo di ricerca realmente promettente. Fino ad oggi, sono stati studiati diversi disturbi del sonno in relazione all’AMS e sono disponibili esaustive rassegne riguardanti gli incubi, associati o meno al disturbo post-traumatico da stress (PTSD) (Auerbach, 2007; Levin e Nielsen, 2007; Nielsen e Levin, 2007; Spoormaker et al., 2006; Wittmann et al., 2007), i sogni stereotipici associati a epilessia e cefalea (Auerbach, 2007), l’AMS nei pazienti affetti dal disturbo del comportamento in sonno REM (RBD, REM sleep behavior disorder) (Auerbach, 2007; Gugger e Wagner, 2007), dall’insonnia (Schredl, 2009), dalla sindrome delle apnee ostruttive nel sonno (OSAS, Obstructive Sleep Apnea Syndrome) (Schredl, 2009), dalla sindrome delle gambe senza riposo (Restless legs syndrome) (Schredl, 2009) e dalla narcolessia (Schredl, 2009). Mancano invece studi sistematici sulle AMS nell’ipersonnia idiopatica o nelle parasonnie del sonno NREM, come il sonnambulismo e i night terrors.

Tra questi disturbi, la narcolessia con cataplessia si presenta con un pattern di sintomi ricorrenti che coinvolgono alterazioni del ciclo circadiano veglia/sonno e del ciclo ultradiano REM/NREM ben riconoscibili. In particolare, il quadro clinico è caratterizzato da alcune anomalie nella frequenza del sonno REM, durante il quale, come è noto, l’AMS è spesso più ricca, vivida e narrativamente coerente rispetto a quella che si sviluppa in altre fasi di sonno. Il confronto tra pazienti narco-cataplettici (da qui NC) e soggetti sani può dunque costituire un’opportunità unica per studiare le variazioni nell’efficienza dei processi cognitivi durante il sonno.