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E VIDENZE EMPIRICHE IN ACCORDO CON IL MODELLO DI F OULKES

III. ASPETTI QUANTITATIVI E STRUTTURALI delle ATTIVITÀ

3.1 Il Modello Cognitivo-Psicologico di Foulkes

3.1.1 E VIDENZE EMPIRICHE IN ACCORDO CON IL MODELLO DI F OULKES

Per quanto riguarda il primo livello, alcuni metodi si sono rivelati particolarmente utili per far luce sulla natura di quelli che Foulkes chiama “focus mnemonici”, di volta in volta attivati per costituire la dream imagery, tra cui:

 Lo studio dell’incorporazione di stimoli presentati prima del sonno (presleep stimuli). In

questo caso vengono manipolate le informazioni apprese nel periodo immediatamente precedente il sonno, che si vanno ad aggiungere ai day-residues, nella terminologia di Freud (1900). Con questa strategia è stato dimostrato, ad esempio, che le proprietà linguistiche degli stimoli verbali, come la correttezza semantica delle frasi, sono più importanti nel determinare le caratteristiche dei contenuti delle AMS rispetto al tipo di sonno in cui lo stimolo viene elaborato o alla lunghezza dell’intervallo di tempo che precede il risveglio (Cipolli et al., 1983a, 1983b, 2004b).

 Lo studio delle libere associazioni fatte dai volontari in relazione ai contenuti delle AMS riferite (postsleep free associations). Questo metodo ben noto nella pratica clinica, nell’ambito

della ricerca sull’AMS è stato applicato con lo scopo di ricostruire le fonti dei contenuti delle AMS legate alle esperienze passate dell’individuo, principalmente chiedendo ai volontari, nel corso della giornata successiva al report, di associare liberamente ciascuna unità tematica, in cui il resoconto viene preventivamente suddiviso, ai propri ricordi o conoscenze (Cicogna et al., 1986). Il materiale associativo così ottenuto può essere classificato secondo vari criteri, tra cui il più utilizzato deriva da un adattamento del modello originale di Tulving (1972) e prevede tre tipi di fonti mnestiche:

•episodiche: ricordi autobiografici con precise coordinate spazio-temporali (a loro volta suddivisibili a seconda che si riferiscano al giorno precedente, al passato recente o remoto oppure ad eventi futuri, facenti parte della memoria prospettica);

•riferimenti astratti al sé: informazioni non legate ad alcun contesto in particolare, ma alla conoscenza che l’individuo ha di se stesso e delle proprie abitudini;

•semantiche: elementi di conoscenza generale del mondo, compresi episodi appartenenti a biografie di altre persone.

La proporzione con cui queste diverse fonti vengono utilizzate per comporre lo scenario onirico varia a seconda della fase e del ciclo di sonno, anche se in maniera non ancora del tutto chiara. Baylor e Cavallero (2001) hanno condotto una meta-analisi su tre studi di laboratorio (Cavallero et al., 1990, 1992; Cicogna et al., 1991), mirati a far luce su questo problema. Ne risulta uno stage effect per quanto riguarda la percentuale media di fonti mnestiche di tipo semantico (generico, non distinto tra semantico in senso stretto e conoscenze generali relative al sé), che si riscontrano maggiormente nei REM reports, e quelle di tipo episodico, che sono maggiormente rappresentate nelle unità temporali estratte dai NREM reports, compresi gli Sleep Onset reports. Tuttavia, l’effetto scompare per le fonti semantiche di entrambi i tipi, mentre si mantiene per quelle episodiche, se si

corregge l’analisi con un indice della densità del tipo di fonte per unità temporale, che di fatto elimina la componente della lunghezza dei resoconti (generalmente a favore dei REM reports).

Altri studi hanno cercato di fare luce sui meccanismi che operano al secondo livello, indagando in particolare:

 l’incorporazione nelle AMS di vari tipi di stimoli somministrati durante il sonno. Questa

strategia permette di studiare in che modo nuove informazioni vengono inserite in un’esperienza mentale in corso, presentando ai volontari stimoli (generalmente di tipo tattile o uditivo) durante il periodo di sonno con lo scopo di interferire con la pianificazione dell’esperienza mentale presumibilmente già avviata dal sistema. L’eventuale incorporazione dello stimolo somministrato, che può emergere dal successivo resoconto, consente di comprendere le modalità con cui le informazioni vengono man mano inserite nell’AMS, superando il limite dell’inconoscibilità del materiale originariamente attivato in memoria. I lavori di Berger (1963) e di Kramer et al. (1983) suggeriscono ad esempio che l’incorporazione di stimoli verbali nell’AMS avviene prevalentemente a livello fonetico, fenomeno molto raro per l’incorporazione dei presleep stimuli, che invece avviene in base a caratteristiche lessico-sintattiche.

 l’interrelazione (interrelatedness) tra i contenuti di AMS differenti raccolte nella stessa notte di sonno. Questo metodo è stato usato per studiare la continuità tematica di esperienze

mentali del sonno temporalmente vicine. Da una prospettiva HIP, la somiglianza tra i contenuti di diversi dream reports raccolti nella stessa notte può essere considerata come una prova di un processo iterativo nell’accesso e nell’elaborazione della stessa informazione in AMS consecutive. È stato dimostrato, ad esempio, che le unità linguistiche ripetute sono più frequentemente di tipo lessicale (singole parole) che proposizionale, e le relazioni fra esse più frequentemente paradigmatiche (con sostituzione di unità linguistiche della stessa categoria grammaticale) che sintagmatiche (combinazione di unità linguistiche di classi grammaticali differenti), suggerendo che le informazioni recuperate da esperienze mentali precedenti vengono inserite prevalentemente per la compatibilità delle loro caratteristiche lessicali con la struttura narrativa dell’esperienza in corso (Cipolli et al., 1987).

I lavori condotti con queste metodologie e con gli scopi sopracitati hanno contribuito a far luce sul possibile ruolo del sonno nella consolidazione delle informazioni apprese durante la veglia, una questione attorno alla quale si è sviluppato da anni un vivace dibattito scientifico e che ha ricevuto supporti tanto da studi comportamentali sull’apprendimento a seguito di periodi di sonno o di deprivazione di sonno, quanto da ricerche incentrate sui meccanismi neurobiologici all’origine di questi fenomeni (per una rassegna vedi Cipolli [1995, 2005] e Stickgold et al. [2001a]). L’AMS potrebbe essere legata a questi processi di consolidazione, anche se un rapporto causale tra esperienze mentali del sonno e memoria deve ancora essere dimostrato. Secondo Nielsen e Stenstrom (2005) esistono diverse possibili spiegazioni, tra cui le due ipotesi più plausibili, che comunque non si escludono a vicenda e possono essere considerate complementari, sono: (a) la comparsa di qualsiasi elemento mnestico nelle AMS potrebbe promuoverne l’apprendimento

semplicemente riattivandolo nella sua forma originale, ovvero come era stato percepito in veglia; questo rafforzerebbe e faciliterebbe il successivo recupero in memoria di quel materiale; (b) il legame fra elementi differenti che viene promosso nella costruzione dell’esperienza mentale durante il sonno, forse attorno a temi rilevanti dal punto di vista emozionale, potrebbe avere come conseguenza il rafforzamento e la consolidazione di quegli stessi elementi (Paller e Voss, 2004). Da un lato, quindi, i singoli elementi riattivati in memoria, dall’altro i legami fra questi “nodi” di informazione. Sono proprio questi legami che vengono studiati al terzo livello del modello di Foulkes, nel quale si ipotizza l’esistenza di un sistema di organizzazione cosciente dell’AMS, in grado di strutturare i contenuti di volta in volta attivati in forma di narrazioni relativamente lunghe e coerenti di eventi abbastanza verosimili e complessi (Foulkes, 1982). È plausibile ritenere che tale organizzazione narrativa interagisca in vari modi con l’imagery visuo-spaziale dell’AMS per determinare la forma ultima con la quale l’esperienza mentale viene vissuta dal sognatore. In particolare, si può pensare che, pur prendendo l’avvio dall’attivazione delle fonti mnestiche, i processi operanti ai tre livelli ipotizzati da Foulkes in realtà non si inneschino in modo rigidamente sequenziale e unidirezionale, ma possano trainarsi l’uno con l’altro mediante meccanismi a feedback nel rispetto dei vincoli imposti da ciascun livello, per creare la “storia” dell’AMS. In questo caso, la simulazione per mezzo di reti neurali ha maggior potere esplicativo nel rappresentare il funzionamento del sistema di produzione delle AMS: il modello a rete ricorrente di Antrobus (1991), noto come DREAMIT, ovvero Distributed Recurrent Activation Model of Imagery and Thought, illustra ad esempio come l’attivazione tra i nodi dei diversi livelli che dall’input portano all’output possa propagarsi sia “in avanti” (forward propagation) che “indietro” (backward propagation). La coerenza temporale dell’esperienza mentale del sonno viene in questo caso garantita dai vincoli imposti dall’attività di ciascuna rete, il cui output va a costituire uno degli input della rete successiva, secondo una sequenza di costruzione in parallelo di schemi percettivi statici. Rispetto ai modelli connessionisti, tuttavia, la Teoria Psicologico-Cognitiva di Foulkes ha il merito indiscusso di aver sottolineato come al terzo livello la struttura narrativa imposta all’esperienza mentale del sonno durante il suo sviluppo possa avere una forte influenza sui processi che operano ai livelli più bassi del sistema e sul successivo processo di dream recall. Se da una parte le informazioni reclutate in memoria per costituire la dream imagery sono inizialmente attivate in modo casuale, man mano che l’esperienza progredisce diminuisce la probabilità che vengano introdotti nuovi elementi a causa non solo dei vincoli imposti dallo scenario onirico fino a quel momento sviluppato, ma anche degli schemi generali attivati per garantire la coerenza sequenziale e gerarchica degli eventi (Foulkes e Schmidt, 1983). Foulkes interpreta questo dato come prova di un controllo top-down sullo sviluppo della dream imagery da parte dell’organizzazione narrativa imposta alla natura e all’influenza delle nuove informazioni che possono venir attivate.

I paradigmi di ricerca sopra-descritti sono stati molto utili per individuare i meccanismi di attivazione e pianificazione dei contenuti delle AMS, processi operanti rispettivamente al primo (low-level) e secondo livello (mid-level) del modello di Foulkes. Parallelamente a questi, un altro

filone di ricerca ha tentato di studiare le proprietà relative all’organizzazione gerarchica e sequenziale (high level) di tali contenuti, mediante l’analisi della composizione testuale e dei legami strutturali dei dream reports (vedi § 3.2.2). In questo contesto, gli indici di lunghezza e complessità si sono rivelati informazioni indispensabili per poter formulare ipotesi attendibili sui meccanismi di produzione delle esperienze mentali del sonno, ma nel tentativo di indagare i fattori psicofisiologici all’origine delle differenze riscontrate in tali caratteristiche (§ 3.3), occorre innanzitutto controllare la variabilità dovuta a fattori legati alle procedure sperimentali, quali le modalità di raccolta e di analisi dei resoconti (§ 3.2).

Oltre a quelli menzionati, altri fattori, come quelli legati alle capacità linguistiche e allo stile narrativo dei partecipanti ad una ricerca, potrebbero determinare differenze nella lunghezza e nella ricchezza di particolari. Tuttavia, alcune considerazioni possono indurre a ritenere che eventuali differenze interindividuali nelle abilità narrative non influenzino in modo determinante la variabilità nella capacità di ricordare e riferire un’esperienza: (a) in qualsiasi studio siano emerse correlazioni positive tra abilità verbali e lunghezza dei resoconti, rimane comunque difficile separare la componente mnestica da quella linguistica (in altre parole: se un soggetto ha migliori performances in un compito con materiale verbale, resoconti più lunghi e dettagliati delle proprie AMS potrebbero sempre essere dovuti a migliori capacità di memoria, e non necessariamente alla competenza linguistica); (b) l’aumento della DRF nel corso dell’infanzia, che raggiunge quella degli adulti verso i 10 anni di età, è maggiormente dovuto a un miglioramento della capacità di produrre esperienze mentali durante il sonno rispetto a un semplice miglioramento della capacità di verbalizzarle (Foulkes, 1982b; Foulkes et al., 1990; a questo proposito vedi anche lo studio di Pinto e Salzarulo, 1998); (c) l’utilizzo di un protocollo di intervista dettagliato può diminuire l’effetto legato alla loquacità dei partecipanti, sollecitando anche i più laconici ad aggiungere particolari (vedi § 3.2.1); (d) adottare una strategia di analisi dei reports basata sull’individuazione di unità di contenuto concettuali e non lessicali permette di ricavare indici di tipo quantitativo annullando l’influenza dovuta all’uso di un numero maggiore o minore di parole per esprimere lo stesso concetto. Infine, il fatto che tanto il ricordo quanto il resoconto verbale siano enormemente influenzati dall’organizzazione sequenziale con la quale gli eventi dell’esperienza originaria sono stati percepiti o vissuti (Yussen et al., 1988) ci induce a ritenere che lo studio delle proprietà qualitative e strutturali del dream reports sia una strategia efficace per accedere alle caratteristiche dell’attività mentale occorsa prima del risveglio, indipendentemente dalle differenze interindividuali nelle capacità narrative, che assumono un ruolo marginale e trascurabile.