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Innovazione tecnologica e rapporti di “cooperazione” (1985) Nella seconda metà degli anni Ottanta la trasformazione della società indot-

La cogestione imperfetta: il pensiero di Felice Mortillaro

7. Innovazione tecnologica e rapporti di “cooperazione” (1985) Nella seconda metà degli anni Ottanta la trasformazione della società indot-

ta dall’innovazione tecnologica e dal tramonto dell’industrialismo, «inteso come la fase economica in cui all’industria era assegnato il compito di essere il motore dell’occupazione e, conseguentemente, dei consumi, segna la con- clusione di un ciclo, sociale prima ancora che economico, dominato dai bi- sogni collettivi, di massa, che si evolvevano in rapporto alla capacità del set- tore industriale di produrre e contemporaneamente di distribuire». (24).

«Le relazioni di lavoro in una società complessa – con prevalenza del lavoro autonomo su quello subordinato, con la moltiplicazione delle iniziative eco- nomiche, e corrispondente selezione darwiniana delle imprese, con la diffu- sione capillare delle tecnologie labour saving, con la riduzione ed anche il ri- fiuto del lavoro protetto – sono assai diverse da quelle proprie delle società ad alta concentrazione industriale (le società delle “quantità” più che delle “qualità”, imperniate su organismi tendenzialmente autosufficienti, forte- mente verticalizzati, ad alta concentrazione di forza lavoro, che applicano tecnologie fondate principalmente sulla memoria dell’esperienza e sulla tra- dizione orale)» (25).

«Il metodo della codeterminazione che formalmente (Germania, Austria) o informalmente (Gran Bretagna, Italia) ha dominato la vita sociale nel ven- tennio 60-70, con vicende alterne, apparentemente contraddittorie fra loro (in fondo il movimento del ‘68, in Italia, voleva più che fare la rivoluzione, contrattare continuamente in ogni sede, per qualsiasi argomento e con “ga- ranzia di risultato”, con la garanzia, cioè, di veder accolte, sempre e rapida-

“patto sociale”, mantiene «il primordiale contenuto di “contratto” fra sindacati contrapposti, stipulato a precaria conclusione di una controversia tipicamente sindacale, quale era quella innescata dalla disdetta della Confindustria al contratto collettivo interconfederale che regolava il funzionamento della “scala mobile” dei salari», si veda F. MORTILLARO, Abbiamo fatto l’accordo cornice adesso dipingiamo il quadro, in Il Sole 24 Ore, 24 febbraio 1983, ora anche in G.SAPELLI (a cura di), op. cit., 433.

(24) F.MORTILLARO, L’operaio non fa più massa. La difesa degli interessi individuali prevale ormai nettamente sulle rivendicazioni collettive, in Il Sole 24 Ore, 25 ottobre 1985, ora anche in G.

SAPELLI (a cura di), op. cit., 477.

(25) F. MORTILLARO, L’ombra del “patto sociale”, in Relazioni Industriali – Rassegna di Politica Sindacale e di Problemi del Lavoro, 1984, n. 4, 175.

Scritti di Giorgio Usai

mente, le sue richieste), risulta inutilizzabile per la società complessa che è nata sulle ceneri dell’industrialismo statalista o criptostatalista e del suo di- scendente diretto il welfare state, perché, ormai, esso opererebbe, con i soliti altissimi costi, soltanto nei confronti del segmento “marginale” della società – in termini di efficienza, di reddito, di capacità di inventiva, di propensione al rischio – lo stesso ridotto segmento che seppure con grandi difficoltà, i sindacati tradizionali riescono ancora a rappresentare».

«La crisi dei sindacati industriali è dunque una crisi storica (26); […] il punto

è che dentro [ i luoghi di lavoro] non ci sarà un proletariato in attesa del ri- scatto, ma gli operatori dei sistemi informatici, gli esperti finanziari, i dise- gnatori di circuiti, i padroni delle nuove professioni, portatori di interessi di- versi, individuali o di piccoli gruppi, pronti a farli valere, ma inclini a non delegare ad altri ciò che sono in grado di fare da se stessi, proprio al contra- rio dell’operaio “senza mestiere” che si annullava nella cultura di classe. […]. Né da questa situazione si esce cercando di attribuire ai sindacati com- piti nuovi e perfino stravaganti […] o perdendosi nel miraggio della codeci- sione che, almeno in Italia, non ha le condizioni per realizzarsi, prima fra tutte la mancanza di un partito socialdemocratico che possa competere se- riamente per l’alternanza di governo».

«Le relazioni industriali […] sono diventate lo strumento di gestione di inte- ressi diretti, alla portata degli attori ed estranei agli addetti delle organizza- zioni sindacali, dalla cui risoluzione derivano conseguenze immediate e tan- gibili per entrambe le parti. Interessi comprensibili, perché da essi dipendo- no per gli uni (i datori di lavoro) l’essere competitivi sul mercato – fare semplicemente il mestiere dell’imprenditore, per gli altri (i lavoratori) il dare prospettiva alla propria offerta di lavoro […]» (27).

Si può quindi affermare che le relazioni industriali si sono “depoliticizzate” e se ne ha ulteriore conferma «guardando al tema dell’informazione impre- sa-dipendenti che, a suo tempo, aveva anch’esso assunto forti connotazioni ideologiche […], immaginato, al tempo della solidarietà nazionale, come strumento per la “transizione” dal capitalismo al socialismo, nella forma del “piano di impresa”, atto congiunto impresa-sindacati, che avrebbe dovuto costituire la condizione necessaria per l’erogazione delle sanzioni positive dello Stato (facilitazioni produttive, accesso ai finanziamenti agevolati) in veste di “governatore” dell’economia».

(26) F.MORTILLARO, L’operaio non fa più massa. La difesa degli interessi individuali prevale ormai nettamente sulle rivendicazioni collettive, cit., 479.

Giorgio Usai

Dal rapporto elaborato dalla Federmeccanica sulle relazioni industriali risul- ta infatti che le “informazioni” vengono date in quasi tutte le imprese e che la qualità delle relazioni con le rappresentanze sindacali dei lavoratori in azienda è, in assoluta prevalenza, considerata “di collaborazione”. Questi dati dimostrano che «la rappresentanza collettiva degli interessi dei lavorato- ri non è scomparsa […] ma si è aziendalizzata. Nel senso che, mentre si ri- duceva progressivamente il “confronto” in sede centrale […], le relazioni sui luoghi di lavoro passavano dalla dura contrapposizione degli anni 70 ad un riconosciuto stato di “cooperazione”. Che, nel caso specifico, equivale mol- to probabilmente ad una “amministrazione concertata” delle questioni che si determinano, giorno per giorno, nella normale attività aziendale; una “amministrazione concertata” che tende ad applicarsi quando sono in gioco operazioni di innovazione delle tecnologie e di ristrutturazione degli organi- ci» (28).

A questa situazione in azienda fa seguito una insistita richiesta, da parte delle imprese del campione, di maggiore contrattazione di categoria, si chiede, cioè, più “quadro generale” perché si sente che «i problemi che toccheranno in futuro le imprese italiane avranno una configurazione assai diversa e mol- to più complessa di quelli che fanno capo per tradizione all’area sindacale, essendo collegati all’applicazione di nuove tecnologie di processo e di pro- dotto che rimettono in discussione la stessa impostazione imprenditoriale» (29).

«I sistemi codecisionali classici, tedesco, svedese, austriaco, traggono e trae- vano la loro forza e la loro capacità di assicurare gli obiettivi che li giustifi- cano, proprio da un’estesa contrattazione centralizzata, ripetuta a scadenze brevi (un anno), cui si affida o si affidava, il compito di tenere sotto control- lo le dimensioni macroeconomiche della distribuzione del reddito, lasciando alla gestione aziendale l’amministrazione dei problemi sociali, quelli cioè che riguardano direttamente i lavoratori: la formazione professionale, la sicurez-

(28) Ivi, 69. Il significato che gli imprenditori intervistati attribuiscono al termine

“concertazione” indica con chiarezza che «per alcune materie – e fra esse l’occupazione e la riduzione degli organici – si sviluppa una trattativa che ha lo scopo di raggiungere un accordo che realizza una sorta di compromesso fra i due interessi contrapposti». Se però, prosegue Mortillaro (ivi, 78), alle imprese che la praticano di fatto, «fosse chiesto di esprimere un parere intorno ad un’iniziativa».

(29) Ivi, 94. D’altronde, osserva ancora, la domanda di centralizzazione della contrattazione

è indotta dal fatto che «i tentativi di mettersi su questa strada (praticati dal protocollo ministeriale del 22 gennaio 1983 e proseguiti con l’“accordo separato” del 14 febbraio 1984) non hanno determinato stati di apprezzabile tensione nel Paese e nei luoghi di lavoro, a giudicare dalla condizione di pace sociale che da allora l’Italia ha conosciuto, nonostante i suddetti provvedimenti abbiano in qualche modo frenato la crescita del potere di acquisto dei salari, cui il Paese si era avvezzato da un decennio».

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za, le incentivazioni, i licenziamenti, toccano necessariamente l’unità produt- tiva».

«Naturalmente perché questa impostazione possa realizzarsi, è necessaria una stretta applicazione della disciplina contrattuale definita al centro, che diventa strumento esclusivo delle relazioni industriali, proprio il contrario di quanto avveniva in Italia durante gli anni Settanta. […]. Ma il sistema regge se e in quanto il prodotto dell’autonomia delle parti non sia continuamente rimesso in discussione con il ricorso metodico alla giurisdizione e, ancor di più, se con le sue decisioni il giudice non si sostituisca abitualmente alla vo- lontà delle parti» (30).

«In altri termini, la domanda di contratto collettivo che viene dalle imprese» è in funzione del fatto che «il contratto collettivo viene considerato una semplice sezione del quadro di assieme, nella realtà assai più complesso, nel quale le aziende operano, in cui professioni, interessi, rapporti di forza, si compongono e si scompongono, come in uno straordinario caleidoscopio». A fronte della introduzione delle nuove tecnologie e dei nuovi metodi di la- voro che possono avere, quale conseguenza diretta, la perdita di posti di la- voro o la trasformazione dei posti di lavoro, con la sostituzione di nuove professionalità ai mestieri tradizionali, «il rafforzamento del contratto collet- tivo di categoria dovrebbe allora sgombrare il campo dal conflitto intorno alla gestione quotidiana, per favorire un clima di “codecisione materiale”, di “cooperazione” che permetta, infine, di evitare l’imposizione unilaterale di decisioni che si reputano tuttavia necessarie».

Una ipotesi che «apre una problematica più ampia, perché impone […] una riflessione sugli attori di questa codecisione: i sindacati, i lavoratori, le rap- presentanze dei lavoratori, o, infine, le rappresentanze sindacali definite dal- lo Statuto?» Ma non solo, perché si tratterebbe anche di capire «quanto c’è di volontà effettiva di codecidere, accettando i vincoli di questa pratica, e quanto di trovare intese di interesse, in una sorta di sinallagma sociale, per il rafforzamento della capacità di decisione imprenditoriale».

In questo quadro «ritornano le domande inespresse, ma presenti, relative al potere reale che l’imprenditore italiano sarebbe davvero disposto a cedere ai sindacati in termini di controllo alla propria attività e al che cosa accadrebbe se si dovesse parlare seriamente di codecisione, in rapporto alle nuove tecnologie e di gestione comune del passaggio dal vec- chio al nuovo metodo di produzione» (31).

«La risposta al secondo quesito (il primo resta ancora irrisolto) è che, pro- babilmente, il passaggio medesimo diventerebbe troppo costoso, essendo impensabile che i sindacati italiani, con le loro tradizioni – ma questa consi-

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derazione è applicabile a qualsiasi altro sindacato – accettino di essere corre- sponsabili della perdita del posto di lavoro, anche di uno solo dei loro rap- presentati. […]. A meno che non ci si accontenti di considerare “consenso sindacale”, l’applicazione della cassa integrazione […]. Lo stato di “coge- stione imperfetta” è tutto in questo nec tecum, nec sine te che sembra permeare il problematico rapporto fra imprese e sindacati (32) e che – come in una tormentata

eppure indissolubile “storia” amorosa – si esprime in continue attrazioni e ripulse, in improvvise riappacificazioni e in altrettanti improvvisi contrasti, in recriminazioni ed in promesse» (33).

8. Verso la partecipazione solo se risponde ad esigenze reali ed a

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