La cogestione imperfetta: il pensiero di Felice Mortillaro
4. La partecipazione dei lavoratori al governo dell’economia ed i rapporti con le istituzioni (1978)
Al tema del «rapporto che si è instaurato fra sindacato ed impresa ed alla se- rie complessa di nodi irrisolti che ancora lo condiziona» Mortillaro dedica nuova attenzione di lì a poco.
«Oggi», scrive nella relazione presentata al convegno Politica del lavoro e svilup- po industriale organizzato a Riva del Garda dall’Associazione degli Industriali di Trento il 19 maggio 1978 (17), «si è soliti risolvere e persino banalizzare
l’argomento, riconducendolo alla vexata quaestio della “partecipazione” dei lavoratori alla gestione dell’impresa. Quale massima sofisticazione, si arriva a parlare di partecipazione dei lavoratori a livello di impresa, lasciando inten- dere che vi sono altre sedi di partecipazione oltre all’impresa stessa […]». «Ma la questione non può essere così limitata, anche se riconosco che il problema di forme istituzionali di partecipazione dei lavoratori al governo dell’economia, o ancora più esattamente al governo dei rapporti economici, rientra senza dubbio nel tema dei rapporti fra sindacati ed istituzioni, anzi ne è parte importante. Il punto da affrontare preliminarmente si colloca tut- tavia prima del problema della partecipazione, anzi è pregiudiziale ad esso, riguardando non tanto la funzione dell’impresa nel sistema politico ed eco- nomico, e quindi non tanto l’impresa come istituzione, quanto piuttosto i rapporti che all’interno dell’impresa si determinano fra le due contrapposte sfere di interessi, le caratteristiche delle relazioni che si sviluppano nell’ambito dell’impresa fra lavoratori da una parte e imprenditore dall’altra. A ben vedere, dallo scioglimento di questo nodo, vale a dire dal come i mo- vimenti sindacali contrapposti riusciranno a scioglierlo, dipende anche, in larga misura, la qualità delle relazioni che essi sapranno instaurare con le isti- tuzioni dello Stato, necessariamente condizionate dalle scelte compiute nella sede dell’impresa».
«[…]. Il modello costituzionale mi pare inutilizzabile proprio perché non è stato capace di risolvere questo nodo fondamentale emergente in modo an- cora più drammatico una volta che si proclamino a tutte lettere le libertà or- ganizzative delle due sfere contrapposte, il sindacato da una parte, l’iniziativa economica dall’altra. O quanto meno di dare indicazioni per ri- solverlo. Linee di indirizzo per la verità si potrebbero cogliere e sono quelle contenute nel troppo spesso dimenticato art. 46 e nell’addirittura sepolto art. 43 che […] descrivono un programma sufficientemente preciso di go- verno dei rapporti economici rimasto lettera morta, nel senso proprio
Scritti di Giorgio Usai
dell’espressione. Gli è che le parti sociali hanno preferito in questi trent’anni affidare ai rapporti di forza lo sviluppo delle loro interrelazioni».
«[…]. È stata, insomma, la razionalizzazione dei rapporti all’interno dell’impresa ad essere costantemente respinta da quelli che possiamo con- venzionalmente definire i due movimenti, perché la razionalizzazione impo- neva un prezzo che ciascuno di essi era impreparato a pagare o che addirit- tura riteneva di poter spostare interamente a carico della controparte. Rifiu- tando la razionalizzazione si ponevano le premesse per lasciare irrisolti o francamente equivoci i rapporti fra sindacati ed istituzioni dello Stato». (18).
«[…]. Certo, si deve [anche] tener conto della tendenza intrinseca dei partiti politici italiani a considerare le organizzazioni dei lavoratori e degli impren- ditori soltanto in termini di semplici strumenti di difesa economica».
«Il disegno di relazioni industriali del Costituente del 1947 è la riprova semmai necessaria, di questo modo di concepire la funzione sindacale, che, ed anche questo non va dimenticato, ha trovato puntuale conferma nei comportamenti realizzati dall’uno o dall’altro dei due gruppi di interesse, per un lungo periodo almeno della storia di quella che dovremmo ormai definire la prima repubblica italiana».
Comportamenti che, negli anni Cinquanta, sono tributari di una «sorta di delega alle istituzioni» che entrambe le parti operano, «affidando ad esse la soluzione di alcuni nodi dei rapporti economici e sociali che entrambe con- fusamente percepivano, ma per i quali non riuscivano e non volevano pro- porre soluzioni originali».
Nei rapporti con le istituzioni entrambi i sindacati avevano assunto un me- todo di approccio che altro non era se non la «conseguenza della reale inca- pacità delle parti di instaurare con le istituzioni un dialogo che non fosse in termini di subordinazione».
Una situazione che muta significativamente negli anni Sessanta quando i sindacati dei lavoratori scelsero, da un lato, «la via contrattuale della riforma della società» e dall’altro assunsero «nei confronti delle istituzioni (governo, magistratura, partiti, parlamento) una posizione di rappresentanza non sol- tanto del gruppo ad essi sottostante, ma in senso più ampio dei cittadini in quanto lavoratori».
Ed è questa situazione che conduce anche gli imprenditori a considerare «sotto una luce diversa i propri rapporti con le istituzioni dello Stato». Si percepisce cioè che, «tramontato definitivamente il modello della delega ai
(18) Ne sono esempi “illuminanti”, secondo Mortillaro, «la breve stagione dei consigli di
Giorgio Usai
partiti o al partito, sono le organizzazioni imprenditoriali che devono saper proporre linee non solo di politica economica, ma anche di politica ammini- strativa che siano congeniali alle loro finalità».
Con riguardo alla situazione del maggio del 1978, Mortillaro ritiene lecito porre la domanda se non «si stia delineando una regressione nei rapporti fra sindacato dei lavoratori e partiti» specie dopo l’accordo che ha immesso nel- la maggioranza il Partito comunista. Sul versante degli imprenditori, invece, il rapporto con i partiti ed il Governo «risulta meno semplice e, sotto certi aspetti, ricco di maggiori implicazioni di reale novità rispetto a quello del sindacato dei lavoratori, proprio perché per la prima volta nella sua storia l’organizzazione degli imprenditori affronta il problema di un rapporto au- tonomo con le istituzioni, fondato su una sorta di “strategia dell’attenzione” intorno ai comportamenti delle forze politiche riunite intorno al programma di Governo».
«È il principio della valutazione del governo in funzione dei risultati positivi del suo operare, che sottolinea la volontà di mantenere un rapporto con le istituzioni in cui il sindacato degli imprenditori non concede deleghe, riser- vandosi di valutare volta per volta se il “prodotto” delle istituzioni sia con- geniale ai suoi obiettivi».
«Lo stesso proporsi (e riproporsi) con insistenza del metodo di governo de- gli incontri triangolari, sottolinea le caratteristiche delle nuove relazioni fra sindacato, imprenditori e istituzioni dello Stato».
«Da questo delinearsi di rapporti, potrebbe riaffiorare la tentazione dell’alleanza delle classi produttrici, operai ed imprenditori, escludendo i gruppi parassitari-burocratici. Sarebbe la tentazione di un nuovo corporati- vismo in cui l’interesse superiore dello Stato viene sostituito dalla sintesi de- gli interessi dei due gruppi contrapposti. Se, parlando nel contingente, ciò potrebbe rappresentare un indubbio miglioramento rispetto alla situazione del momento, nel tempo significherebbe l’ulteriore deterioramento degli equilibri che faticosamente si sta cercando di ricomporre, nel senso cioè che si determinerebbe una nuova fase di subordinazione delle strutture istitu- zionali agli interessi di un gruppo, poco importando che esso pretendesse di rappresentare gli interessi generali del paese sotto l’aspetto della massimiz- zazione dei risultati economici. Si produrrebbe, in altri termini, una nuova fase di tensione di cui sarebbero ancora le istituzioni a farne le spese. Per- ché, e sarebbe grave errore non cogliere questo aspetto del problema, la stessa struttura pluralistica e parlamentare dello Stato repubblicano verrebbe messa in gioco. I rapporti dialettici che sostengono, sono struttura della no- stra società, cederebbero ad una stabilità che presto si trasformerebbe in immobilismo».
Scritti di Giorgio Usai
5. Il sindacato prosegue la “politica del conflitto” fuori da “logiche