Impromptu (1981) di Amelia Rosselli
1. Inseguendo l’ultimo libro di Amelia Rosselli
Improvvisa e inaspettata poesia.
Dopo sette anni di silenzio, in un’assolata mattina di dicembre del 1979, Amelia Rosselli1 inizia a scrivere un breve poemetto intitolato Impromptu.2 Si tratta di un lavoro intenso, di grande ispirazione e felicità, dal quale uscirà una prima pubblicazione sulla rivista “Nuovi Argomenti” nel 1980,3 seguita, l’anno successivo, dalla stampa di un volume autonomo presso una piccola ma prestigiosa casa editrice genovese, San Marco dei Giustiniani.4 Poi, il silenzio. Amelia Rosselli non scriverà più niente, abbandonata dalla poesia cui pure aveva dedicato l’intera esistenza preferendola all’altra sua grande passione, la musica,5 e scegliendo di non sposarsi per consacrare alla scrittura tutte le proprie energie.6 Da allora in poi solo dei componimenti scartati da precedenti raccolte e alcuni testi in prosa risalenti agli anni sessanta7 saranno pubblicati prima della morte che Rosselli sceglierà l’11 febbraio 1996. Improvviso, come una 1 I riferimenti bibliografici relativi ai versi di Amelia Rosselli saranno indicati tra parentesi usando la sigla dell'opera in questione seguita dalla pagina corrispondente. Per la maggior parte delle opere dell'autrice si farà riferimento al volume Le poesie pubblicato per Garzanti nel 1997. Le raccolte incluse nel volume verranno indicate con le seguenti sigle: Primi Scritti (PS); Variazioni belliche (VB); La
libellula (LIB); Serie ospedaliera (SO); Documento (DOC) Impromptu (IMP). Per la raccolta Appunti sparsi e persi (1966-1977) pubblicata per la prima volta nel 1983 per Aelia Laelia si è fatto riferimento
alla nuova edizione dell'opera pubblicata per la casa editrice Empiria nel 1997: ASP. La poetessa ha pubblicato anche un libro di prose, Diario ottuso (DO), per il quale si citerà l'edizione postuma curata da Daniela Attanasio: Diario ottuso, Empiria, Roma 1996.
2 La data dell’8 dicembre 1979 è ricordata dalla stessa Rosselli in varie occasioni ed appare anche in due dattiloscritti conservati al Fondo Amelia Rosselli del Centro Manoscritti dell’Università di Pavia e catalogati con le sigle “IM. 5 Ff 10” e “IM. 2 Ff 9”. Giovanni Giudici, facendo riferimento ad un incontro avvenuto nel 1980, ha dichiarato: “avevo avuto varie occasioni di trovarmi a Roma per ragioni di lavoro e, in una di quelle occasioni, Amelia mi aveva mostrato il suo poema Impromptu scritto quasi di getto dopo una settennale (mi disse) periodo di silenzio. Ordinati in tredici sezioni, erano trecentocinquanta versi da lei furiosamente e felicemente composti nello spazio di una tersa mattinata romana di quasi inverno” (Giovanni Giudici Per Amelia l'ora infinita, Prefazione a Amelia Rosselli, Le poesie, Garzanti, Milano 1997, p. VII).
3 Amelia Rosselli, Impromptu, “Nuovi Argomenti”, n. 64-65 gennaio-giugno 1980.
4 Amelia Rosselli, Impromptu, San Marco dei Giustiniani, Genova 1981.
5 “Ho smesso: non si può fare poesia e musica. Entrambe sono discipline severe”. (Amelia Rosselli,
Cuore maestro di poesia, intervista a cura di Adele Cambria, “Quotidiano Donna”, 20 marzo 1981).
6 “Prima avevo la poesia. Ho scelto di non sposarmi per non distrarmi da lei. Ma ora che la scrittura mi ha abbandonata non ho più nulla.” (Amelia Rosselli, Non mi chiedete troppo, mi sono perduta in un
bosco, intervista a cura di Sandra Petrignani, “Il messaggero”, 23 giugno 1978, poi in Id., Una scrittura plurale, a cura di Francesca Caputo, Edizioni Interlinea, Novara 2004, p. 291).
7 Si tratta di Appunti sparsi e persi (1966-1977) uscito per la prima volta per Aelia Laelia, Reggio Emilia 1983; Sonno-Sleep (1953-1966) traduzioni di Antonio Porta, Rossi & Spera, Roma 1989 e Diario
ottuso (1954–1968), la cui prima edizione è stata pubblicata presso l'Istituto Bibliografico Napoleone,
Roma 1990. L'unico componimento poetico scritto dopo Impromptu risale al 1995, è intitolato Pavone /
Prigione (“La terra vista dalla luna”, n. 5, 1995, p. 123) ed è stato ristampato nel volume: Andrea
meteora, il poemetto sembra illuminare solo per un attimo la traiettoria terrena della poetessa per essere poi risucchiato nel vuoto. Un vuoto che è innanzitutto biografico ed esistenziale.
Aldo Rosselli, cugino di Amelia, ha ricordato recentemente come sia doveroso nel caso della poetessa affrontare anche la questione della sofferenza psichica.8 È un dato di fatto che l’autrice non si riferisca mai esplicitamente alla propria schizofrenia, preferendo fin da giovane dichiararsi affetta dal morbo di Parkinson.9 È nelle interviste degli anni settanta che inizia ad accennare alle proprie “noie” per indicare le persecuzioni dei fascisti e della Cia che non le davano tregua. In un “incandescente e perturbante referto autobiografico”10 risalente al 1977,11 Amelia Rosselli descrive con precisione le torture psicologiche e fisiche subite quotidianamente per mezzo d’irraggiamenti elettromagnetici e finti incidenti stradali realizzati da presunti nemici politici. Sempre più intenta a difendersi da questi attacchi, la poetessa trova con difficoltà la concentrazione necessaria per leggere e scrivere. L’unica salvezza è rappresentata dalle piccole faccende domestiche che le permettono di aggrapparsi provvisoriamente a qualcosa e andare avanti.12
Come dimenticare però che i fantasmi che l’affliggono sempre più non sono solo ossessioni personali, ma coincidono con le laceranti ferite del nostro Novecento? Amelia Rosselli, e lo dirà lei stessa, è figlia della seconda guerra mondiale, rifiuta per sé la definizione di cosmopolita che la critica ha abbondantemente invocato,
8 “Della malattia psichica di Amelia bisogna parlare, bisogna poter nominare anche queste cose, nel caso di Sylvia Plath, che Amelia ha tradotto e su cui ha scritto, lo si è fatto. Non bisogna avere paura dell'argomento [...] Bisogna dare un'identità a Amelia anche sugli aspetti scomodi, sugli aspetti scottanti della sua esistenza.” (Siriana Sgavicchia (a cura di), Fotobiografia. Conversazione con Aldo Rosselli, in
Dossier Amelia Rosselli, “Caffè illustrato”, n. 13-14 luglio ottobre 2003 ora in Andrea Cortellessa (a cura
di), La furia dei venti contrari, cit. pp. XX).
9 È probabile che i farmaci antispastici regolarmente prescritti alla Rosselli non servissero a curare il morbo di Parkinson, bensì gli effetti dannosi che i frequenti elettroshock avevano prodotto sul suo sistema muscolare.
10 Francesca Caputo, Cercare la parola che esprima anche gli altri, in Amelia Rosselli, Una scrittura
plurale, cit. p. 12.
11 Amelia Rosselli, Storia di una malattia, in “Nuovi Argomenti”, n.56, ottobre-dicembre 1977, ora in
Una scrittura plurale. cit. pp. 317-326.
12 “Purtroppo dovetti interrompere quasi del tutto ogni scrittura creativa dal ’73 al ’79, poi anche sino a oggi. Le ragioni le conosci. Vengo svegliata troppo presto […] Sono obbligata all’attività pratica perché posso leggere qua e là solo qualche articolo su un giornale. Mi è capitato di leggere un libro, facevano di tutto per non lasciarmi leggere. E ultimamente mi era impossibile proseguire per più di quindici minuti. La mia giornata prende l’avvio dalla casa. La pulisco e cerco di difendermi da ogni attacco per non cadere in miseria.” (Giacinto Spagnoletti, Intervista ad Amelia Rosselli, in Amelia Rosselli, Antologia
dichiarandosi piuttosto una rifugiata.13 Nata a Parigi nel 1930, è figlia dell'inglese Marion Cave e dell'intellettuale antifascista Carlo Rosselli, autore del saggio Socialismo liberale e fondatore del movimento “Giustizia e libertà”. L'esistenza della poetessa è stata segnata in profondità dall’esilio e dai frequenti spostamenti che, dopo il soggiorno in Francia, portarono la famiglia Rosselli in Inghilterra e negli Stati Uniti. Ma è la tragica scomparsa del padre, assassinato per ordine di Mussolini nel 1937,14 ad aver forse lasciato, nella sua vita, l'impronta più indelebile.15 Emblematica è a questo proposito la testimonianza di Sara Zanghì che sul “Caffè illustrato” del 2003 ha ricordato una breve vacanza in montagna durante la quale la poetessa rievocò la morte del padre colpito da 27 pugnalate. Queste le parole dell’amica romana:
“La notte successiva, affacciandomi nel corridoio, per un forte odore di fumo, vidi una nube densa uscire dalle fessure illuminate della porta della camera di Amelia. Bussai e aprì, mi disse che aveva fumato tanto perché non poteva dormire. Si rimise sotto le coperte e tornò a parlare delle pugnalate inferte al padre e allo zio dagli assassini, quelle ferite disse, portandosi la mano alla testa, mi sono rimaste qui”.16
Il silenzio sul quale si staglia Impromptu è innanzitutto quello del dolore della malattia, dei traumi di una Storia che non si può dimenticare, dalla quale non si sfugge. Eppure questo silenzio è allo stesso tempo anche altro. Basta citare la perentoria 13 “La definizione di cosmopolita risale ad un saggio di Pasolini che accompagnava le mie prime pubblicazioni sul “Menabò” (1963), ma io rifiuto per noi questo appellativo: siamo figli della seconda guerra mondiale. Quando sono tornata in Italia, mi sono legata a Roma. Cosmopolita è chi sceglie di esserlo. Noi non eravamo dei cosmopoliti; eravamo dei rifugiati”. (Amelia Rosselli, Ma la logica è il
cibo degli artisti, intervista a cura di Paola Zacometti,“Il Giornale di Napoli” 12 maggio 1990 ora
ripubblicata in Andrea Cortellessa (a cura di) La furia dei venti contrari, cit., pp. 220-222). Andrea Cortellessa nel suo articolo intitolato Amelia Rosselli, La figlia della guerra approfondisce il problema del rapporto tra storia e poesia nel caso di Amelia Rosselli ricordando le parole di Pierre Jean Jouve, secondo il quale “la vera poesia interiorizza la storia” (“Poesia”, n. 205, maggio 2006, p. 46). Alcuni critici hanno ricordato a proposito anche un’illuminante affermazione di Ingeborg Bachmann, secondo la quale nel Novecento “l’io non è più nella storia, ma è la storia, ora, ad essere nell’io” (Ingeborg Bachmann, Letteratura come utopia, Adelphi, Milano 1993, p. 71).
14 A proposito della storia della famiglia Rosselli, si veda il libro di Giuseppe Fiori, Casa Rosselli.
Vita di Carlo e Nello, Amelia, Marion e Maria, Einaudi, Torino 1999. Paolo Bagnoli ha recentemente
curato un volume di documenti inediti intitolato Una famiglia nella lotta. Carlo, Nello, Amelia e Marion
Rosselli: dalle carte dell’archivio dell’Istituto storico della Resistenza in Toscana, Polistampa, Firenze
2007 (di particolare interesse è la seconda parte del libro dedicata alle lettere familiari).
15 Si vedano però in proposito anche le dichiarazione della cugina della poetessa, Silvia Rosselli, secondo la quale il trauma legato alla morte del padre di Amelia non può essere dissociato dal difficile rapporto avuto con la madre: “Molti pensano che all'origine dei problemi di Amelia ci fosse la tragica morte del padre ma io ho sempre creduto che la vera difficoltà, il primo vero trauma derivasse dal rapporto mancato con la madre, Marion. Quando Melina nacque, Marion pianse perché avrebbe voluto un altro maschio. Per Marion il figlio amato e prediletto è sempre stato John, Mirtillino. Era quindi difficile per Melina competere con lui. Non so quanto possa aver influito sulla sua psiche l'assassinio del padre, è difficile dirlo, ma in lei c'era già una fragilità di fondo.” (Silvia Rosselli, Gli otto venti, Sellerio, Palermo 2008, p. 236).
16 Sara Zanghì, Materne Praterie, in “Il caffè illustrato”, n. 13-14, luglio ottobre 2003, p. 48. È opportuno precisare che Amelia Rosselli non assistette all'assassinio del padre, ma vide probabilmente delle fotografie della salma sui giornali.
affermazione che la poetessa fa nel 1978: “Scrivere è chiedersi come è fatto il mondo: quando sai come è fatto forse non hai più bisogno di scrivere.”17 Tutta la poesia di Amelia Rosselli è un'intensa ricerca di senso e di realtà. Gli spericolati esercizi plurilingui degli anni Cinquanta sono stati fondamentali per raggiungere la consapevolezza linguistica del primo libro, Variazioni belliche (1963). Ed è la profonda fiducia nel valore semantico delle parole che, nonostante la consapevolezza del male e della violenza del mondo, guida la stesura di opere importanti come La Libellula e Serie ospedaliera (1969). Con Documento (1976) questa fiducia sembra iniziare ad incrinarsi: il linguaggio potrebbe essere soltanto una finzione. La composizione di Impromptu si presenta come un'inaspettata esperienza di gioia, ma non riesce a sconfiggere la sofferenza. Dopo il poemetto la poetessa non scriverà più niente. All’atteggiamento di ricerca che la scrittura per lei incarnava si sostituisce irrimediabilmente “una diffusa stanchezza di vivere”,18 una progressiva rassegnazione davanti al mondo e alla sua ottusità.
Da questo punto di vista il poemetto sembra costituire un ultimo tentativo di comprensione della realtà, l’ultimo decisivo salto in avanti nella difficile avventura della conoscenza. È la stessa poetessa a evidenziare il particolare valore del poemetto nell’arco della propria produzione letteraria in una nota contenuta nella traduzione francese dell'opera: “au milieu d’une longue période silencieuse, j’avais écrit la suite Impromptu en effectuant il me semble un saut stylistique important, au-delà de mes précédentes intentions linguistiques et de contenu”.19 Se proprio in virtù di questo “salto stilistico” e della tensione conoscitiva che l'accompagna, il poemetto può essere considerato come una sorta di testamento spirituale, allora è un altro silenzio, il silenzio critico che lo circonda, a generare quantomeno stupore. Nella stessa edizione del 1981, Impromptu è introdotto da una nota di Giovanni Giudici che, sebbene sia particolarmente acuto nell’inquadrare i tratti fondamentali della poetica rosselliana nel suo complesso, di fatto non entra quasi mai nel merito dello specifico poemetto. E certo stupisce che, tranne alcune circoscritte e interessanti osservazioni di Nelson Moe e di Emmanuela Tandello, Impromptu venga menzionato dalla critica in modo rapido e
17 Amelia Rosselli, Non mi chiedete troppo, mi sono perduta in un bosco, cit. p. 290.
18 Sono parole del cugino di Amelia Rosselli raccolte in Gabriella Palli Baroni, Amelia Rosselli
assetata d’amore: colloquio con Aldo Rosselli in Giorgio Devoto, Emmanuela Tandello (a cura di), Amelia Rosselli, “Trasparenze”, numero 17-19, San Marco dei Giustiniani, Genova 2003, p. 64.
generalmente superficiale.
Una delle cause di questo silenzio critico è probabilmente da ricercarsi nella natura stessa del poemetto che, seppur abbastanza breve rispetto ad altre opere rosselliane dal respiro fortemente poematico, affronta delle questioni tanto complesse quanto apparentemente distanti. Mi riferisco al problema del rapporto del poeta con la società, ma penso anche alla questione della soggettività femminile in poesia ed all’altrettanto fondamentale discorso sulla componente irrazionale della letteratura e dell’arte. Decisivi per il dibattito poetico degli anni 70, ma non solo, questi tre discorsi s’intrecciano continuamente in Impromptu attraverso un compatto sistema di coincidenze e rovesciamenti. Il poeta sembra correre più svelto del lettore, lasciando dietro di sé delle tracce illuminanti e insieme enigmatiche.
Il poemetto come risposta ad alcuni dibattiti critici.
Non è irrilevante notare che gli aggettivi più frequentemente impiegati in sede critica per descrivere la poesia rosselliana siano oscura, enigmatica, sibillina. In un’intervista del 1977 Elio Pecora affronta direttamente la questione chiedendo alla poetessa se fosse d’accordo con i recensori che parlavano di sibillinità a proposito della sua scrittura. La poetessa replica in modo sintetico e risoluto affermando: “La rifiuto come programma, ma la accetto come situazione non voluta, come fuori programma.”.20 Questa precisazione sembra riprendere implicitamente le critiche che la poetessa aveva mosso a suo tempo ai membri della neoavanguardia, alla loro calcolata oscurità e al loro programmatico abbandono all’insignificanza e all’informe.
Negli anni Sessanta la poetessa aveva partecipato ad alcune riunioni del Gruppo 63,21 mantenendo una certa distanza e autonomia di pensiero. Le perplessità della poetessa riguardavano essenzialmente il carattere professorale delle sperimentazioni linguistiche del gruppo. Le sue critiche si concentravano attorno a due punti fondamentali. Da un lato condannava la mancanza d’autenticità dei loro esercizi linguistici, decisamente provinciali per chi come lei aveva ricevuto una formazione straniera.22 D'altra parte, era 20 Elio Pecora, Un incontro con Amelia Rosselli, in Daniela Attanasio, Emmanuela Tandello, Amelia
Rosselli, “Galleria”, a. 48, n. 1/2, Sciascia, Caltanisetta, 1997, p. 152.
21 Nell'ottobre del 1963 Amelia Rosselli aveva partecipato alla prima riunione del gruppo 63 a Palermo, in seguito, nel 1966, aveva letto alcune poesie al quarto congresso del gruppo che si tenne a La Spezia (Nanni Balestrini, Alfredo Giuliani, Gruppo 63 L’antologia, Testo Immagine, Torino 2002, pp. 319-320).
22 Di provincialismo la poetessa parla apertamente in un articolo dedicato ad una raccolta di Giuseppe Guglielmi (Amelia Rosselli, L’accusa di provincialismo turba troppo gli italiani, “Paese sera”, 1
convinta che tali sperimentazioni rischiavano di creare un fossato ancora più profondo tra il poeta e il pubblico, non preparato dal punto di vista linguistico.23 La sua poesia, in effetti, sembrava muoversi in direzione decisamente opposta situandosi in uno spazio di difficile eppure continua mediazione tra esigenze di comunicazione, di condivisione con il pubblico, e allo stesso tempo di fedeltà all’esperienza, anche nel suo carattere incomprensibile e contraddittorio. Le sue invenzioni analfabete e plurilingui non intendevano programmaticamente mimare l'insignificanza del linguaggio, ma al contrario costringere la lingua a dire di più.
Se il problema della lingua, del suo rapporto con la realtà e con la società è fondamentale per capire il dibattito letterario che si sviluppa a partire da “Officina” e dal “Verri” attraverso una parte considerevole del secondo Novecento italiano, la voce di Amelia Rosselli si staglia in questo contesto con un’assolutezza che non ha pari. Essa si pone al centro di un inestricabile sistema di paradossi dove parola ed esperienza, letteratura e vita vengono incessantemente messe una di fronte all’altra, con una ripetuta constatazione di ciò che in entrambe vi è di vitale e mortifero, di allegro e violento. La parola poetica è, da questo punto di vista, qualcosa che salva l’esperienza perché cerca di contenerla e comunicarla, ma è anche paradossalmente una rinuncia alla vita in quanto necessità di isolamento e di astrazione. In modo speculare l’elemento irrazionale della vita, il caos che l’esperienza può liberare è qualcosa che scardina le categorie falsificanti della tradizione letteraria, ma questa spinta disgregante non è vissuta dalla poetessa con un abbandono orfico o panico, perché in essa si cela egualmente un grave pericolo: quello della perdita totale di senso, che è poi disgregazione del sé e impossibilità di comunicazione.24
settembre 1967, ora in Id., Una scrittura plurale, cit. pp. 79-80). In un'intervista del 1984 si riferisce in questi termini alla sua partecipazione alle riunioni del gruppo 63: “Stavo a sentire, tutto quel chiacchiericcio critico era un po’ pesante. Scoprivano Pound, Joyce tanti altri che io avevo letto mille volte, che io avevo scoperto tanti anni prima, per via della mia formazione non italiana” (Amelia Rosselli, Il dolore in una stanza, intervista con Renato Minore,“Il Messaggero”, 2 febbraio 1984). “Usano tecniche superatissime. È necessario passare per molte tecniche, ma è obbligatorio, prima di pubblicare i propri versi, conoscere quel che è stato detto e scritto nel passato prossimo e remoto. Il surrealismo è consunto. È bene aggiornarsi viaggiando e leggendo gli stranieri in lingua originale.” (Elio Pecora, Un incontro con Amelia Rosselli, in Daniela Attanasio, Emmanuela Tandello (a cura di), Amelia
Rosselli, “Galleria”, a. 48, n.1/ 2, 1997, p. 153. Intervista del 16 settembre 1977).
23 Ibidem.
24 Per la poetessa, il problema della libertà e quello opposto della necessità di un limite sono strettamente legati l’uno all’altro e rispondono ad una ricerca di tipo anche morale. A tale riguardo mi permetto di segnalare il mio saggio Intorno a libertà e prigionia: alcune riflessioni su “Variazioni
belliche” di Amelia Rosselli, apparso nel numero monografico Forma e antiforma nella poesia del Novecento di “Ri.L.Un.E.”, Revue des Littératures de l'Union Européenne, rivista elettronica
Parlare della poesia di Amelia Rosselli significa necessariamente affrontare la questione della componente irrazionale presente nella sua scrittura, ma non si può dimenticare come la poetessa l’accompagni sempre ad una ricerca opposta che lei stessa ama definire scientifica. Esemplare è a questo proposito il saggio Spazi metrici (1962) nel quale la poetessa definisce il programma metrico che guiderà, a livello di intenzioni, l’intera sua opera in versi.25 Nella sua poesia il flusso delle idee, delle percezioni e degli oggetti è compresso all’interno di un quadro spaziale e temporale assoluto, determinato durante la stesura del primo “rigo” al quale i versi successivi devono adattarsi.26 Non si tratta soltanto di una sistematizzazione grafica che modella la materia verbale in geometrici blocchi ritmici, ma, come ha sottolineato Amelia Rosselli nel 1993, in un’introduzione al saggio, è un tentativo “di sensibilizzare il poeta ad altre discipline, quali quella dell’operatore cinematografico, la fisica moderna, l’aerodinamica”.27 Grazie agli strumenti scientifici di altre discipline il poeta può infatti interrogarsi sui modi attraverso i quali registrare il più esattamente possibile il pensiero e la realtà. Ed è da questa volontà di precisione che nasce, ad esempio, il bisogno di ricorrere alla carta millimetrata per gli appunti di Primi scritti, ma anche la scelta dell’uso della macchina