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Strategie ritmiche e stilistiche della raccolta

La Terra Santa (1984) di Alda Merini

3. Strategie ritmiche e stilistiche della raccolta

La metrica percussiva.

Tra gli elementi che garantiscono la compattezza della raccolta deve essere annoverato l’andamento ritmico. Nonostante manchi un lavoro di costruzione testuale pienamente controllato dalla poetessa, ciò non significa che i componimenti non siano elaborati o formalmente meno validi. Giacinto Spagnoletti ne La Letteratura italiana del nostro secolo, escludendo una colta e faticosa maestria formale, ha sottolineato che nella poesia di Alda Merini “l’intensità concettuale è raggiunta per via d’istinto con una forza melodica trascinante”.63 Con il termine istinto credo si possa indicare, oltre alla forza creativa ed immaginativa tipica di ogni artista, anche un certo grado di interiorizzazione di tecniche e meccanismi stilistici assorbiti tramite la lettura e l’ascolto musicale. Non bisogna dimenticare che Alda Merini suona il pianoforte e, se è vero che la sua formazione si è limitata ad una scuola professionale, nelle sue letture giovanili è stata pur sempre guidata da maestri come Giorgio Manganelli e Salvatore Quasimodo.64

Pare lecito supporre che i suoi testi vengano realizzati spontaneamente all’interno di strutture già interiorizzate, senza che tutto ciò sia necessariamente guidato da un controllo puntuale nell’atto della creazione. I procedimenti stilistici delle sue opere devono essere quindi analizzati attentamente, senza dimenticare che, per quanto riguarda i testi successivi all’internamento, il contributo del critico è stato determinante

63 Giacinto Spagnoletti, La Letteratura italiana del nostro secolo, Mondadori, Milano 1985, p. 1136.

64 Nel corso di un’intervista la poetessa ha dichiarato: “Sono sempre stata un’autodidatta […] ma non le nascondo che ho avuto maestri illustri come Quasimodo e Manganelli” (Alda Merini, intervista a cura di Antonio Gnoli, A volte mi sento un uomo di carattere, “La Repubblica”, 21 marzo 2001). In un’altra occasione, riferendosi agli incontri cui partecipava ancora adolescente a casa di Giacinto Spagnoletti, Alda Merini ha affermato: “Io ero la più giovane di quei poeti e la meno istruita, e mi fu data la Storia

della letteratura del De Sanctis. La scelta dei testi da leggere in età adolescenziale fu dunque influenzata

dalle indicazioni di Manganelli, Spagnoletti, Erba, Camillo de Piaz, Turoldo, Quasimodo che, di volta in volta, mi raccomandavano le loro letterature preferite. Potei così interiorizzare la cultura di questi grandi personaggi e conoscerli nel loro intimo” (Alda Merini, Reato di vita. Autobiografia e poesia, cit, p. 31). Riferendosi a Giorgio Manganelli e alla fase iniziale della loro relazione la poetessa ha dichiarato: “la sua corte si limitava alla consegna settimanale di quelli che lui chiamava “I librini della Bur”. Mi aveva fatto una piccola biblioteca e mi aveva volta per volta spiegato il contenuto dei testi con tutti i riferimenti allargandosi sulle connotazioni letterarie.” (Alda Merini, La poesia luogo del nulla, cit. pp. 20-21). Circa l’influenza delle traduzioni dei Lirici greci di Savatore Quasimodo sui versi della poetessa, alcuni interessanti rilievi sono stati effettuati da Paolo Saggese nel saggio Alda Merini, Saffo e la passione

d’amore (“Riscontri”, anno XXV, n.1, gennaio-marzo 2003, pp. 67-78). Alice Friscelli ha invece

formulato alcune considerazioni utili per un confronto della poesia di Alda Merini con alcune importanti raccolte del poeta siciliano: Oboe sommerso e Erato e Apollion (Alice Friscelli, L’evoluzione poetica di

per il loro raggiungimento. Scegliendo una versione del testo piuttosto che un’altra, selezionando alcuni componimenti e dando loro un ordine preciso, il curatore ha reso maggiormente visibili determinati aspetti del materiale poetico a sua disposizione. La forte unitarietà de La terra santa edita da Scheiwiller è quindi dovuta in parte alla poetessa, che ha “fabbricato” spontaneamente ed in abbondanza i propri versi, in parte a Maria Corti, che con amorevole cura li ha sistemati in un “libro di poesia”.65

Fatte queste premesse, non si può non rilevare come da un punto di vista metrico e stilistico la raccolta sia particolarmente innovativa all’interno del percorso poetico meriniano. Rispetto alla produzione giovanile, la lingua de La terra santa risulta più distesa e piana: le inversioni tra soggetto e verbo si fanno meno frequenti, l’aggettivazione diventa più sobria, il lessico è meno ricercato e presenta maggior concretezza, mentre il verso tende a corrispondere all’unità sintattica.66 Di fronte alla mostruosità del manicomio, la lingua poetica sembra spogliarsi riducendosi all’essenziale. Il tono prosastico e narrativo non compromette però la permanenza di una specifica impronta ritmica e stilistica sulla quale è bene soffermarsi.

In generale si può asserire che la raccolta si fonda sull’uso di una metrica libera: versi canonici, rime e isostrofismo non svolgono una funzione strutturante.67 Per quanto riguarda più specificatamente la versificazione, solo in rari casi, i testi de La terra santa sono composti interamente da versi regolari, come nel primo componimento che apre la raccolta:

Manicomio è parola assai più grande

65 Enrico Testa, Il libro di poesia: tipologie e analisi macrotestuali, Il Melangolo, Genova 1983. Sul concetto di macrotesto si vedano i fondamentali saggi di Gérard Genot, Strutture narrative nella poesia

lirica (“Paragone”, XVIII, n. 212, 1967, pp. 35-52), Maria Corti, Testo o macrotesto? I racconti di Marcovaldo (“Strumenti critici”, IX, n. 27, 1975, pp. 182-197) e Silvia Longhi, Il tutto e le parti nel sistema di un canzoniere, (“Strumenti critici”, XII, n. 39-40, 1979, pp. 265-300).

66 Rimando a questo proposito al capitolo Appunti per un’indagine sul linguaggio poetico di Alda

Merini compreso nella tesi di laurea di Patrizia Bruni Bossio, Alda Merini: La Terra Santa, relatore:

Professor Franco Contorbia, correlatore: Professor Vittorio Coletti, Università di Genova, anno accademico 1999-2000. In tale studio Patrizia Bruni Bossio ha iniziato ad esaminare linguisticamente la raccolta fornendo alcuni esempi delle sue strutture.

67 È bene ricordare la chiara e semplice definizione di Mengaldo: “Ho proposto di sostituire l’equivoca dizione d’origine francese “verso libero” con la più comprensiva “metrica libera” e di riservare la prima strettamente per ciò che avviene per la versificazione. E ho proposto che si parli di effettiva metrica libera […] quando si verifichino simultaneamente queste tre condizioni: 1. perdita della regolarità e funzione strutturale delle rime, che restano eventualmente “effetti locali” 2. libera mescolanza di versi canonici e non canonici: presenze anche massicci dei primi, endecasillabo compreso, ovviamente non spostano la questione 3. mancanza dell’isostrofismo ma distinguendosene un grado debole (strofe di configurazione versale differente ma con lo stesso numero di versi) e uno forte (strofe anche di differenti dimensioni).” (Pier Vincenzo Mengaldo, Questioni metriche novecentesche in La

delle oscure voragini del sogno, eppur veniva qualche volta al tempo filamento di azzurro o una canzone lontana di usignolo o si schiudeva la tua bocca mordendo nell’azzurro la menzogna feroce della vita. O una mano impietosa di malato saliva piano sulla tua finestra sillabando il tuo nome e finalmente sciolto il numero immondo ritrovavi

tutta la serietà della tua vita. (TS, p. 71)

La lirica è costituita da 12 endecasillabi di cui l’ultimo, spostato graficamente a destra, sottolinea visivamente la condizione di isolamento nella quale avviene la scoperta della “serietà della tua vita”. La struttura ritmica dei versi è regolare, è formata per lo più da endecasillabi canonici a maiore (con ictus sulla 3°, 6°, 10° sede). Eccetto due endecasillabi a minore (versi 3 e 9), gli altri realizzano varianti ritmiche abbastanza frequenti nella tradizione lirica italiana. La regolarità dei versi è inoltre accompagnata da una sovradeterminazione degli elementi fonico-timbrici che assolvono ad una funzione organizzativa del materiale poetico. Così l’apertura del componimento genera effetti musicali modulati sull’opposizione del primo verso, caratterizzato dalla prevalenza della vocale chiara /a/, al secondo verso, dove l’insistenza sulla vocale /o/ attua anche a livello fonico l’idea della profondità del manicomio – voragine, già suggerita a livello semantico.68 L’orchestrazione di suoni e significati che chiude la lirica è inoltre caratterizzata da una successione di alcuni lessemi che riprendono il suono /s/ mimando il sibilo del malato che scocca ed esplode nella rivelazione dell’ultimo verso marcato dalla predominanza dell’esplosiva /t/: “tutta la serietà della tua vita”. La raccolta si apre, dunque, con la parola “manicomio” (ancora più assoluta in quanto priva di articolo) e con una sua definizione sviluppata all’interno di moduli metrici e stilistici piuttosto regolari, che sostengono in modo solenne l’entrata nell’antimondo dell’ospedale psichiatrico.

Diversamente accade nella maggior parte delle altre poesie della raccolta dove versi tradizionali, come endecasillabi e settenari, sono mescolati ad altri tipi di versi. È

68 Il senso di queste allitterazioni ed organizzazioni foniche, dunque figure del significante, è autonomo, non immanente ad esse, declinandosi piuttosto a seconda del contesto. Bisogna infatti tener presente che “ogni risorsa musicale del testo non è una mera entità sonora e fisica in assoluto, ma relativa e funzionale. […] La funzione […] è collegata sia al sistema espressivo del poeta in questione, sia al codice di comunicazione letteraria del tempo”, (Gian Luigi Beccaria, Significante ritmico e significato, in

L’autonomia del significante. Figure del ritmo e della sintassi. Dante, Pascoli, D’Annunzio, Torino,

peraltro la stessa eterogeneità del contesto metrico a rendere difficile l’immediato riconoscimento dei metri regolari utilizzati in modo intermittente. La percezione di un certo ritmo, infatti, è garantita dalla sua ripetizione in una serie, se questa viene a mancare si dissolve la soglia di riferimento che ne permette la riconoscibilità.69 Nella generale polimetria che caratterizza La terra santa il materiale linguistico non sembra tuttavia abbandonato ad un flusso arbitrario. Pare piuttosto organizzarsi secondo strategie metriche diverse da quelle tradizionali, certo non rigide, ma abbastanza frequenti da essere identificabili.70

Biancamaria Frabotta, in una breve presentazione della poesia di Alda Merini, ha parlato di “forza travolgente del ritmo endecasillabico e ossessiva insistenza della metrica percussiva”.71 Se la presenza del ritmo endecasillabico è caratteristica delle raccolte giovanili della poetessa, la percussività emerge in tutta la sua evidenza ne La terra santa. L’uso dell’espressione “metrica percussiva” merita, però, qualche chiarimento. Con tale categoria si intende sottolineare l’importanza che i fenomeni accentuativi acquistano nella raccolta. I versi infatti risultano scanditi dalla ripetizione di un certo numero di ictus piuttosto che da fenomeni di isosillabismo. Il riferimento, seppur tecnicamente improprio, al termine “metrica” permette di sottolineare l'organicità del fenomeno, sebbene sia presente solo su un piano personale non istituzionalizzato né condiviso socialmente.

Ne La terra santa gli accenti modulano l’intensità semantica ed emozionale dei versi. Talvolta il numero di ictus è costante in tutto il componimento, come nel caso seguente dove si costituisce un andamento di tipo ternario. Non bisogna dimenticare però che la presenza di una serie indirizza ad una sorta di “lettura coatta”,che scandisce il singolo verso cercandovi un determinato e costante numero di ictus, secondo “una legislazione momentanea destinata a durare almeno quanto la poesia che si sta

69 “Le forme di versi tradizionali hanno ormai un carattere proprio solo nella misura in cui la ripetizione di ognuno di essi o delle loro combinazioni non è inferiore ad una “soglia” al di là della quale il loro carattere metrico cede di fronte a quello ritmico” (Franco Fortini, Verso libero e metrica nuova (1958), in Saggi italiani 1, Garzanti, 1987, p. 348). La differenza che Fortini individua tra metro e ritmo corrisponde grossomodo alla distinzione tra langue e parole di Ferdinand de Saussure. Secondo Fortini, infatti, il metro è un ritmo che grazie al riconoscimento sociale è diventato istituto.

70 Una sintetica classificazione di queste strategie alternative di versificazione si trova in Franco Brioschi, Costanzo Di Girolamo, Elementi di teoria letteraria, Principato, Milano 1984, pp. 128-133.

71 Biancamaria Frabotta, Poeti del secondo novecento: tre generazioni a confronto, in Walter Pedullà, Nino Borsellino (a cura di), Storia generale della letteratura italiana, volume XI, Motta editore, Milano 1999, p. 384.

leggendo”.72

I versi sono polvere chiusa di un mio tormento d’amore, ma fuori l’aria è corretta, mutevole e dolce ed il sole ti parla di care promesse, così quando scrivo chino il capo nella polvere e anelo il vento, il sole, e la mia pelle di donna

contro la pelle di un uomo. (TS, p. 103)

Dopo i primi tre versi caratterizzati da tre accenti forti, la ripetizione dello schema ternario è spezzata dal verso “così quando scrivo” che proprio a causa della memoria ritmica precedente subisce una lettura rallentata. Scandendo bene la pronuncia delle singole tre parole si ristabilisce la continuità con il resto del componimento. Lo stesso avviene per il penultimo verso “la mia pelle di donna” dove la lettura tende a dare rilievo ritmico all’aggettivo possessivo normalmente atono.

L'andamento percussivo de La terra santa solo in qualche caso però si basa sulla costante ripetizione del medesimo numero di ictus in un intero componimento, di solito infatti si distanzia dal ritmo monotono di Lavorare stanca di Cesare Pavese. Nella raccolta di Alda Merini la scansione e l’evoluzione del verso avviene per lo più secondo battute ed ictus organizzati sull’alternarsi di due principali moduli accentuativi. I componimenti si configurano spesso come un gioco di opposizione e ripresa tra versi a tre e a due battute forti. I testi si muovono quindi da un ritmo solenne e ternariamente cadenzato ad uno duale più rapido. Raramente vengono usati versi lunghi con 4 accenti che, in qualche passaggio, servono comunque a creare una più aperta distensione ritmica. I versi con maggior numero di ictus, inoltre, si trovano solitamente all’inizio o alla fine del componimento dove vanno a costituire una sorta di cornice che contiene i ritmi interni più incisivi. Si tratta di norme e ricorrenze piuttosto elastiche di cui è forse più utile dare concreti esempi testuali piuttosto che astratte teorizzazioni:

Viene il mattino azzurro nel nostro padiglione: sulle panche di sole e di crudissimo legno siedono gli ammalati, non hanno nulla da dire, odorano anch’essi di legno, non hanno ossa né vita,

72 Franco Fortini, Verso libero e metrica nuova, 1958, in Saggi Italiani 1, Garzanti, Milano 1987, p. 347.

stan lì con le mani inchiodate nel grembo

a guardare fissi la terra. (TS, p. 102)

Il componimento è formato da alcuni settenari e da versi di altre misure. Ciò che colpisce della lirica è il ritmo fortemente cadenzato: veloce quando si basa su due accenti forti, più maestoso quando si tratta di tre battute. Dopo un primo verso a tre ictus, una successione di 4 versi a due accenti disegna a ventaglio una scena di vita quotidiana in manicomio (vv. 2-5). Nella parte centrale della lirica una serie di versi a tre battute è sottolineata anche dalla corrispondenza sintattica dei versi 6 e 8 che iniziano con un avverbio negativo seguito dal verbo “avere” coniugato alla terza persona plurale. La vita anonima dei malati è bloccata nella mente del lettore dall’ultimo verso a tre ictus, con il pesante e definitivo “a guardare fissi la terra” che esprime l’eterna condanna dei prigionieri del manicomio. Lla lirica disegna una irrimediabile curva discendente che dall'azzurro del cielo mattutino porta lo sguardo ad abbassarsi in direzione del suolo.

Un altro esempio di questo ritmo percussivo è offerto dalla poesia “Al cancello si aggrumano le vittime”.

Al cancello si aggrumano le vittime volti nudi e perfetti

chiusi nell’ignoranza, paradossali mani avvinghiate ad un ferro, e fuori il treno che passa assolato leggero,

uno schianto di luce propria

sopra il mio margine offeso. (TS, p. 73)

La poesia comincia con un ritmo disteso, subito contratto da un movimento sistolico nel secondo verso dove tre parole si giustappongono, secche e precise. La sequenza dei tre settenari successivi è ancora più incisiva. Ai versi 3, 4 e 5, il ritmo è dato da due accenti di cui il primo cade sempre su un aggettivo: “chiusi”, “paradossali”, “avvinghiate”. Parallelamente, nella seconda parte di questi versi, spicca una serie di sostantivi: le “mani” (v. 4) delle vittime appaiono in tal modo ingabbiate anche ritmicamente tra l’ “ignoranza” (v. 3) della gente e le sbarre che chiudono il manicomio, non a caso espresse tramite la sineddoche “ferro”(v. 5) che esplicita la durezza della prigionia. È il mondo di fuori, quello del treno che passa leggero e pieno di sole, che dà la misura dell’esclusione, che rivela con “uno schianto di luce” l’ingiustizia che il

malato deve sopportare. Il ritmo a tre ictus che chiude la poesia, sottolinea nuovamente la condizione di oppressione nella quale vivono i malati.

Su un metro di questo tipo, fortemente ritmato, si sviluppa gran parte della raccolta. I versi tradizionali che talvolta riaffiorano nel dettato meriniano si mescolano con quelli irregolari e si organizzano secondo una logica percussiva. Gli esempi e i rilevamenti potrebbero continuare ancora a lungo, quelli offerti sono forse sufficienti per dare un’idea il più possibile chiara di come alcuni moduli accentuativi si ripetano e sostengano il contenuto poetico garantendone la “memorabilità”.

Poesia orale e stile biblico: l’uso della ripetizione e del parallelismo

Oltre all'andamento percussivo, spicca ne La terra santa la forte presenza di procedimenti anaforici. Le immagini e le storie raccontate nella raccolta si sviluppano, infatti, attraverso un fitto sistema di riprese di elementi testuali. In un noto passaggio dei Saggi di linguistica generale, Roman Jakobson individua nel parallelismo il problema fondamentale della poesia. Lo studioso investe tale categoria di un significato piuttosto generale, con essa intende infatti definire il sistema di ripetizioni e di variazioni che caratterizza il discorso poetico. Nel 1966 nel saggio Grammatical parallelism and its russian facet, pubblicato per la prima volta nella rivista inglese “Language”, Jakobson fa proprie alcune affermazioni del poeta gesuita Gerard Manley Hopkins secondo il quale “La parte artificiale della poesia,o forse sarebbe meglio dire di ogni artificio si riduce al principio del parallelismo”.73 Il verso, inteso come ripresa di uno stesso ritmo, e la rima, in quanto ripetizione di un’identità di suono a fine del verso, non sarebbero dunque che alcuni esempi particolari di un fenomeno di ripetizione e insieme variazione di portata ben più vasta,74 che coinvolge non solo il piano ritmico e fonetico, ma talvolta anche quello sintattico e semantico.75

Ne La terra santa la coesione della raccolta non è più garantita da strutture istituzionalizzate, ma da strategie testuali poco sfruttate dal codice poetico italiano. Se a livello ritmico il fenomeno più rilevante riguarda l’andamento cadenzato dei versi,

73 Roman Jakobson, Grammatical Parallelism and Its Russian Facet, “Language”, vol. 42, n. 2. Aprile-giugno, 1966, pp. 399-429, ora in Roman Jakobson, Poetica e poesia: questioni di teoria e analisi

testuali, trad. Riccardo Picchio, Einaudi, Torino 1985, pp. 256-300.

74 “La rima non è che un caso particolare, quasi concentrato, di un problema molto più generale, anzi del problema fondamentale della poesia : il parallelismo.” (Roman Jakobson, Saggi di linguistica

generale, [1963] Feltrinelli, Milano 2002, p. 205).

l’insistita presenza di anafore e l’uso abbastanza frequente di una figura retorica tipica della poesia biblica, il parallelismo dei membri, fondano l’organicità della raccolta. Ne La terra santa le anafore permettono di dividere i componimenti in unità testuali minori. La ripetizione di un segmento linguistico, e spesso di una data struttura sintattica, viene inoltre associata ad una progressione semantica del discorso che evita la monotonia. Un chiaro esempio di questo procedere per riprese ed accumulazioni si trova nella poesia che segue:

Affori, paese lontano immerso nell’immondezza, qui si conoscono travi e chiavistelli e domande e tante tante paure, Affori, posto nuovo che quando si conviene ti manda il suo raggio nudo dentro la cella muta. (TS, p. 76)

Il testo, benché costituito da una sola strofa, risulta essere suddiviso in due parti che si aprono su dei versi sintatticamente equivalenti. All’enunciazione della località della periferia milanese dove si trova il manicomio nel quale Merini è stata internata, segue un gruppo nominale che definisce il centro urbano, inizialmente come “paese lontano”, qualche verso dopo, come “posto nuovo”. In tal modo si fissa l’immagine di un mondo che ha la lontananza ed insieme la validità conoscitiva del mito. È un luogo assurdo immerso nell’immondezza, dove tutto si accumula in modo confuso: oggetti, pensieri, sentimenti sono raggruppati indifferentemente su uno stesso piano, si susseguono le travi, i chiavistelli, le domande e le paure. Ma Affori è definito anche come un “paese nuovo”, perché, proprio nel disordine di questa prigione, cade un “raggio nudo”, un modo inedito di vedere la realtà.76 La luce sembra irrompere nell’oscurità del manicomio. La rivelazione è però ancora una volta epifania di un mondo che è esclusione e solitudine e la cella resta muta.